9- Morale e etica

«Ma c’è di più!» li presi in contropiede.

«Ci vuole dire dove tenete le armi?». Pottutto si eccitò.

«Le nostre armi sono le parole!» scherzai.

Dalla tasca interna della giacca, la stessa da cui prima aveva tirato fuori il castagnaccio, prese una clessidra. «Le do due minuti!». La sabbia cominciò a cadere. «Uno e cinquanta, uno e quarantanove, uno e quarantotto…».

Presi fiato. «L’anarchia è una scelta etica» sentenziai. «Conoscete la differenza fra etica e morale?» chiesi.

«La morale è andare a messa!». Il pubblico ministero improvvisò.

«Commettere un reato è immorale!» aggiunse il maresciallo per non essere da meno.

«La differenza è molto semplice: la morale è quel complesso di valori, ideali, tradizioni culturali e religiose che una società si dà per soddisfare il bisogno di sopravvivenza. E la società cos’è? È quella somma di persone riunite da un potere sovrano a cui viene detto che solo realizzando il suo interesse potranno conseguire il proprio. Quindi la morale è data dai valori, ideali, eccetera eccetera, che tale Potere crea e impone per legittimarsi e perpetuarsi. In altri termini, la morale è uno strumento di controllo: devi fare quello, non devi fare quello!».

 Conclusi: «E se per i primitivi queste prescrizioni si saldavano nelle consuetudini, in epoca medioevale negli imperativi religiosi, oggi che Dio è morto…»

«Come è morto?». Manganello sobbalzò sorpreso.

«È un po’ che è morto!» replicò saccente il pubblico ministero.

«Lo sanno tutti che la civilizzazione gli ha dato il colpo di grazia!» dissi.

«Ma dai!»

«La tecnologia ha ucciso l’immaginazione e senza immaginazione…». Non c’era bisogno che terminassi la frase. «Morto Dio, il suo posto è stato preso dallo Stato prima, dal capitalismo scientifico poi. Non cambia granché: una volta l’autorità stava lassù, oggi sta qua giù, in mezzo a noi. E non c’è autorità che non esprima la sua morale». Mi presi una pausa. «Ma, oltre a consentirle la conservazione, perché l’autorità ha bisogno della morale?»

«Per essere più giusta?»

«Wow, il nostro Manganello!» giubilai. «Soprattutto perché senza morale non ci sarebbero gli ingiusti, e senza ingiusti, il Potere non potrebbe proclamarsi giusto!». Schiarii la voce. «Non è detto, però, che un comportamento moralmente corretto sia anche oggettivamente corretto. Faccio un esempio: mio padre, oltre a essere un bevitore numero uno, aveva il vezzo di dimostrarci il suo amore con delle sane labbrate. Un giorno vidi mio fratello che frugava nel suo armadio. Colto in flagrante, confessò che stava cercando qualche spicciolino per uscire con gli amici. L’avessi riferito al babbo, cioè avessi raccontato la verità, avrei tenuto un comportamento moralmente corretto, ma mio fratello avrebbe preso una tale vagonata di botte che non lo avrei più riconosciuto. Non avessi detto la verità, sarei stato complice, cioè avrei tenuto una condotta moralmente improba, e il vecchio avrebbe cambiato i connotati anche a me.»

«Scommetto che non ha detto niente!». Pottutto sogghignò.

«I soldi li ho presi io senza dire nulla. Così mio padre non è impazzito e mio fratello non ha rischiato la vita… e sono andato al cinema con la mia ragazza!».

Il pubblico ministero mi fissò interdetto. Poi: «Mi spiace, ma la clessidra…». La indicò per mostrare che la sabbia era scesa completamente.

«C’è l’extra-time» dissi. «Mi avete interrotto più volte!».

Alzarono le mani.

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«L’etica, dal greco ethos, cioè carattere, comportamento, ha un significato più ampio. Di fronte a una determinata situazione, a una condotta da tenere, una scelta da fare, l’individuo si interroga su cosa è giusto e cosa è sbagliato. Attiva quindi un ragionamento che tenga conto degli aspetti personali, sociali, ambientali, altro, che lo portano a una soluzione che contempli la sua personale idea di giustizia». Li vidi dubbiosi. «Faccio un esempio. Se mi trovo in un bosco, posso buttare la sigaretta accesa fra le sterpaglie rischiando un incendio, oppure posso spengerla con le dita e metterla in tasca. Decido per questa seconda alternativa in quanto valuto che, se provocassi un incendio, non solo violerei la legge, cosa di cui mi fregherebbe il giusto, ma ucciderei gli alberi, gli animali, la natura circostante, cosa di cui non mi darei pace. Attraverso un giudizio razionale-emotivo, quindi, scelgo un comportamento che realizza il mio senso di giustizia, ovvero proteggere madre natura. Questa è l’etica.»

«No, questa è la morale!» replicò Pottutto piccato.

«No, è etica!» ribattei.

«È morale!» insistette.

«Etica!». E siccome le vene cominciavano a gonfiarsi: «Prego!» Gli passai la pallina di pongo. «Se non si arrabbia, glielo spiego in un altro modo!» dissi conciliante.

«Già, lo spieghi anche a me, perché non ho mica capito tanto bene!» sibilò il maresciallo.

«Lo spiego a entrambi, contenti?». Mi voltai verso le segretaria gobboni sul computer. «Lo spiego anche a lei, signorina?».

Fece no col ditino.

«Ho detto che il Potere impone alla società la sua morale per non estinguersi. Ma chi o cos’è questo Potere?» chiesi a bruciapelo. «Ve lo dico io!» li soccorsi. «È il potere economico: chi ha i soldi. In una società autoritaria, sempre loro comandano!» dissi con la faccia dell’ovvietà. «Quindi la morale è quell’insieme di linea guida a cui le persone devono conformarsi per soddisfare il potere economico che si ramifica nelle molteplici strutture di dominio. Fin qui ci siamo?».

Proseguii: «Con l’etica la situazione si ribalta: è l’individuo che giudica, dubita, valuta, sceglie. Non è più un soggetto passivo, ma diventa attore, interprete e giudice della contingenza. Stabilisce cosa è giusto e cosa è sbagliato. E lo fa attraverso un processo razionale ed emotivo, sottolineo emotivo perché non esiste ragione senza sentimento, che tenga conto del carattere, delle esperienze, delle conoscenze, degli affetti, di tutto ciò che forma la sua personalità in divenire.»

«Mi sa di già sentito!» eccepì il pubblico ministero convinto.

«Probabile in quarta liceo!» chiarii. «Il concetto ha radici, infatti, nell’illuminismo.»

«Ecco, nell’illuminismo… Ce l’avevo sulla punta della lingua!». Il PM gongolò. «Grozio?».

Non mi sembrò il caso di spiegare che Grozio era un giusnaturalista. Mi limitai a un Kant detto sottovoce per non mortificarlo. «L’anarchia, infatti, coglie, e in alcuni casi estremizza, i principi illuministici. A proposito…»

«Mi perdoni». Il magistrato indicò ancora la clessidra: «Ormai abbiamo superato l’extra-time, i supplementari e i calci di rigore!»

«Chiudo velocemente!» lo rassicurai. «Nel 1781…»

«Allora mi prende in giro? Dice di fare veloce e va indietro di tre secoli?»

«Mi faccia finire, vedrà che… Nel 1781 Kant scriveva quel Vangelo contemporaneo che è la Critica della ragion pura. Per farla breve, egli distingueva fra il fenomeno e il noumeno. Il fenomeno è la conoscenza empirica data dall’esperienza. Il noumeno è la conoscenza della cosa in sé, che può avvenire soltanto attraverso la ragione pura, cioè un giudizio emancipato da ogni determinazione morale, normativa, eccetera. Un processo razionale che sfocia nell’idea. Etico, quindi. In maniera simile ragiona l’anarchico, che può considerarsi l’ultimo degli illuministi, quando critica l’ordine esistente per tendere alla propria idea assoluta di giustizia suprema. Egli rifiuta la legge e la morale per creare un proprio codice che tenga conto della sua personalità, dei suoi interessi, delle sue aspirazioni. Si affranca così dai condizionamenti esterni per porre in essere scelte autonome. Come diceva Ghandi, infatti, l’etica sta nel scegliere la propria strada e percorrerla senza paura. Ed è proprio in virtù di quell’ideale supremo, di quel giudizio di valore che guida ogni decisione personale che Malatesta attribuisce al sentimento di amore che nasce dal soffrire quando gli altri soffrono, il fondamento dell’essere anarchico. Perché cosa è più etico di voler eliminare ogni sorta di ingiustizia?»

«Non ho capito una cosa». Pottutto borbottò guardando Manganello, che gli rispose con un’espressione da: «Solo una?». Giochicchiò con il tappino della penna. «Lei parla di giustizia, di bene e male, ma non ho capito a cosa si riferisce. E soprattutto, è un’ora che siamo qui e ancora non mi ha fatto un nome! Per me, ad esempio, a questo punto potrebbe essere giusto applicarle due elettrodi… Dove va, Manganello?»

«A prendere il generatore coi cavi elettrici!» bofonchiò il maresciallo. «Non ha appena detto che…?»

«Si metta a sedere!».

Ringraziai il pubblico ministero per la clemenza e gli feci presente che non sarebbero bastati due giorni per riassumere tremila anni di storia di filosofia etica.

«Allora mi dica quale è la vostra idea di giustizia e tagliamo la testa al toro!».

 

Dipinto: Minjun Yue, Free and leisure, 2003

Editing a cura di Costanza Ghezzi, www.costanzaghezzi.com, costanzaghezzi@gmail.com

 

8- Anarchia e nichilismo: distruggere ed edificare

Il PM sbirciò nuovamente l’immagine della showgirl.

«Andiamo avanti con l’interrogatorio?» dissi. Non capivo se la sua espressione fosse dovuta alla consapevole rassegnazione che non gli sarebbe mai toccata oppure a quel tipo di biasimo che neanche anni di liberazione sessuale con Wilhelm Reich1 avrebbero sanato. «Vorrei sottolineare un altro aspetto…»

«Su di lei?». Puntò il dito sulla soubrette.

«Dell’anarchia.»

«Giusto, dell’anarchia. Di quello parlavamo!»

«In tanti associano erroneamente l’anarchia al nichilismo. Sono due cose completamente diverse» sentenziai.

«Diverse!». Pottutto gorgogliò ancora imbambolato.

«Benché abbiano tratti comuni…»

«Comuni.»

«Granciporro» dissi per vedere se ripeteva anche quello.

«Come?»

«Dicevo che il nichilismo e l’anarchia sono due cose completamente diverse. Il nichilismo è una dottrina filosofica che…»

«Mi scusi se la interrompo» mi fermò il magistrato.

«Non si preoccupi, sarò breve!» avendo intuito cosa volesse chiedere. «Il nichilismo nasce verso la metà del XIX secolo. Si sviluppa in Russia e si diffonde in Europa come critica radicale della società, dei suoi valori, delle sue leggi, della metafisica, della morale. Molti dei suoi esponenti, infatti, pianificavano di sovvertire i regimi uccidendo i tiranni. Ma il nichilismo è anche una filosofia. Afferma che, se il reale non è reale, non è possibile conoscerlo, quindi la realtà è nulla.»

«Non fa una piega!» disse Manganello.

«Zitto un po’!» Pottutto pensieroso. «Tipo Gorgia? Anche lui, se non sbaglio…»

«Si vede che ha fatto il classico!» lo adulai. «E ha ragione, perché la filosofia è come un bravo cuoco, non butta via niente!» dissi. «A proposito di cucina, mi raccomando i complimenti alla mammina per il castagnaccio. Veramente buono!» unsi ancora. «Tornando al nichilismo, esso nasce in reazione alla fede irrefutabile che l’illuminismo riponeva verso la ragione e trova in Artur Schopenhauer uno dei maggiori sostenitori. Egli afferma che il mondo non esiste perché è pura apparenza, però la volontà può percepirlo attraverso la propria negazione. Un po’ contorto, lo so. Ma Il mondo come volontà e rappresentazione è un libro bellissimo2. Anche Stirner, l’ho citato prima, può considerarsi un nichilista…»

«L’albanese?»

«Il filosofo!»

«Anche Stirner, dicevo, è considerato un teorico del nichilismo, soprattutto per le sue posizioni antireligiose e negazioniste. Ma l’elenco dei sostenitori è lunghissimo. Pensate che alcuni anarchici, in gran parte anarco-individualisti, si dichiaravano nichilisti per distinguersi dalla corrente sociale dell’anarchismo. Mi viene in mente Renzo Novatore, che si vantava di negare qualunque cosa e lo faceva, parole sue, con entusiasmo dionisiaco che irride qualsiasi prigione teoretica, scientifica, morale. Un rifiuto del mondo che lo portava a lottare contro le strutture coercitive per affermare la propria capacità di potenza3.» 

«Sembra Nietzsche!»

«Novatore si è molto ispirato al grande filosofo. Parla di capacità di potenza da realizzare attraverso azioni di lotta individuale, spesso anche violenta, contro il sistema…»

«Un rompipalle, insomma!»

«Coi controfiocchi!»

«E dov’è che abita questo Novatore?»

«Abitava!»

«Si è trasferito?»

«Anche lui è morto.»

«No!» tuonò Manganello candidamente deluso.

«Commissario» lo rasserenai, «mica li può arrestare tutti!».

++++

«Se il nichilismo nega pervicacemente la società, Dio, l’uomo, l’essere, l’anarchia si sviluppa in tutt’altro modo. Essendo una dottrina pratica che ambisce al progresso della condizione umana, contempla la distruzione dell’ordine esistente per sviluppare una realtà alternativa, diversa, migliore. Diceva, infatti, Proudhon: destruam et aedificabo4. Ovvero: distruggerò e edificherò. Gli anarchici abbattono per creare. Non per piacere o bisogno o semplicemente per negare, ma per realizzare il fine etico di una società più giusta. E quando anche Bakunin afferma che la passione per la distruzione è anch’essa passione creatrice è convinto, come lo sono tutti gli anarchismi, dell’importanza di cancellare gli impianti, gli apparati, le dottrine, l’ideologia, la morale, qualunque dogmatismo che regge il sistema per crearne uno nuovo fondato su una libertà ed eguaglianza che siano finalmente reali, concrete, incondizionate, reciprocamente godibili, non speciosamente concesse dall’alto.»

«E così si ritorna all’autorità!». Manganello sollevò la testa.

«Sempre là si va a finire!». Il pubblico ministero mugugnò con un’espressione sufficiente.

«Quindi l’anarchia non è nichilismo. Non vuole distruggere punto e basta. Vuole sì eliminare ogni forma di autorità che deturpa lo spirito umano, ma vuol anche costruire un mondo antiautoritario e paritario. Destruam et edificabo, appunto! Distruggere le dipendenze alienanti per diventare padroni di se stessi. Finalmente attori principali della propria vita. Questa è l’anarchia».

 

NOTE

1 – Reich, assertore della liberalizzazione sessuale per eliminare la “corazza caratteriale” che impedisce alle persone di essere felici.

2 – Artur Shopenhauer, Il Mondo come volontà e rappresentazione, 1819.

3 – Renzo Novatore, da Anch’io sono un nichilista, articolo scritto nel 1920.

4 – Proudhon, Il sistema delle contraddizioni economiche, 1846.

Dipinto: Cornelis Escher, Occhio, 1955.

Editing a Cura di Costanza Ghezzi, www.costanzaghezzi.it, costanzaghezzi@gmail.com

7- Trilussa

A proposito di socialismo, mi venne in mente una poesia di Trilussa.

«Vogliamo farci una risata?» proposi al pubblico ministero.

«Ci dice tutti i nomi degli anarchici che hanno collaborato con lei?»

«Molto meglio!»

«Ha deciso di iscriversi al concorso per allievi ufficiali?»

Il pubblico ministero sfogliò le pagine del blog fino ad arrivare a quella che avevo indicato.

Mi bastarono due versi per capire che manco la filastrocca del pulcino aveva mai letto.

«Dia a me!» lo esortai.

«Provo io?». Manganello si propose.

«No!» rispose un coro che comprendeva oltre al sottoscritto e il pubblico ministero, anche la segretaria e, seppur con un sibilo informe, la Sfinge davanti alla porta.

«Mi raccomando, silenzio finché non ho finito!» li istruii. Cominciai:

«Un Gatto, che faceva er socialista

solo a lo scopo d’arivà in un posto,

se stava lavoranno u pollo arrosto

nella cucina d’un capitalista.

 

Quanno da un finestrino su per aria

S’affacciò un antro Gatto: Amico mio,

persa – je disse – che ce so pur’io

ch’appartengo a la classe proletari!

 

Io che conosco bene l’idee tue

So certo che quer pollo che te magni,

se vengo giù, sarà diviso in due:

mezzo a te, mezzo a me… Semo compagni!

 

-No, no: – rispose er Gatto senza core

Io nun divido gnente cò nessuno:

fo er socialista quanno sto a diggiuno,

ma quanno magno so conservatore!1».

 

Terminata la lettura seguì qualche secondo in cui il pubblico ministero e il maresciallo non batterono ciglio. Fu la segretaria la prima a strozzare un abbozzo di risata. Bastò perché Pottutto gorgogliasse un: «Ah!» vibrato, a cui seguì l’eh, eh! di Manganello che lo fissava per capire se e quanto osare.

«Carina!» disse il primo sospettoso. «Socialista quando ha fame… conservatore quando mangia…»

«È geniale!» replicai deluso da quella reazione asfittica. «Carina è una felpa con un bel disegno. Carina è la giraffa di peluche che si vince al Luna Park. Carina può essere Elisabetta Canalis!»

«No, quella è bona!». Il maresciallo sciolse gli istinti.

«Manganello!». Pottutto lo riprese. E parlandogli con la mano davanti alla bocca: «Chi è Elisabetta Canalis?»

«Non la conosce?»

«Dovrei?».

Il maresciallo smanettò il cellulare e gli mostrò una foto in cui la soubrette era avvolta da pizzi e trasparenze.

«Simpatica!» il PM frinì. «Simpatica e intelligente!»

«Suvvia, dottore!» Manganello gli fece gomitino. «Si lasci andare. Altro che simpatica, questa è proprio bona!».

 

NOTE

1, Trilussa, Er compagno scompagno.

 

Dipinto: Enrico Robusti, Rane fritte, 2002.

Editing a cura di Costanza Ghezzi – www.costanzaghezzi.com, costanzaghezzi@gmail.com