14 – Cos’è il bene comune
Il pubblico ministero aggrottò le sopracciglia. Sguardo indagatore e denti che mordicchiavano il labbro. «Qualcosa non mi torna. Finora ha parlato di individualità. E l’individuo fa questo, e l’individuo fa quello, e l’individuo su e l’individuo giù. Ora parla di umanità. Mi sembra una contraddizione!»
«Una contraddizione?» chiesi.
«Manganello, lei non ci vede una contraddizione?»
«Dotto’». Il maresciallo si compresse. «Io so solo che devo andare in bagno!»
Lo seguimmo trotterellare verso la porta.
«Collega, devo passare!» si rivolse alla Sfinge davanti ad essa, che sembrava non avere alcuna intenzione di scansarsi. Gli batté la mano sulla spalla, gli pizzicò la guancia, gli tintinnò il pacco, gli puntò la pistola in un occhio. Niente.
«Bravo figliuolo, fossero tutti ligi come te!». Gli schiaffeggiò bonariamente la faccia. «Però adesso fammi il piacere…!»
«Maresciallo?». Pottutto lo richiamò.
«Sì, dottore?… Là, dottore?». Indicò la porticina che stava fra la segretaria e la parete. «Ma è alla turca!» eccepì. «Mi arrangio!». Si chiuse dentro. La riaprì. «Spiace se la tengo aperta? Manca la luce!»
«Torniamo a noi» bramì il PM. «Mi stava dicendo?»
«Mi ha chiesto perché sono passato dall’individuo all’umanità. La risposta è molto semplice: l’anarchico tiene alla libertà più di ogni altra cosa, dice Gaston Piger1. Ma è cosciente che se fosse finalizzata al sé, la vita sarebbe un vagare senza approdo. L’individuo, infatti, prova un senso di compiutezza solo quando si percepisce come parte di un tutto. Questo tutto è l’umanità, cioè la vita, che scorre e diviene insieme alle cose del mondo. In altre parole, egli coglie la propria essenza quando non agisce spinto dall’egoismo, ma dal desiderio di realizzare il bene comune. E il bene comune è l’interesse condiviso. Innanzi tutto condivisione dell’antiautoritarismo, principio supremo che accumuna i ribelli e salda il pluralismo fra comunità. Ma anche lo scopo che unisce i membri di una comunità, non necessariamente affine a quello di un’altra, benché accumunati dalla lotta contro ogni forma di dominio. Questa è la nostra idea di giustizia. Una concezione che, senza remore, si impregna di ottimismo antropologico, per cui l’uomo è cooperativo e capace di controllare la propria aggressività, come direbbe Alfie Kohn, e non aspetta altro che godere della propria essenza».
Sbatté la porta del bagno e il maresciallo trotterellò nella stanza: «Mi sono perso qualcosa?»
«Stavo per citare Bakunin».
Tornò dentro e chiuse a chiave. Qualche secondo e riaprì.
«Scherzavo!» disse divertito.
«Dice il filosofo: “Noi crediamo nei diritti degli uomini, nella dignità e nella necessaria emancipazione della specie umana. Noi crediamo nella libertà e nella fraternità umana fondata sulla giustizia. In una parola, crediamo nel trionfo dell’umanità sulla terra”.»
«Che sarebbe?»
«Che sarebbe?» ripetei. «Cosa vuol dire essere uomini secondo voi?».
Pottutto liberò un’espressione tipo Franco Califano di fronte a una bella donna. «Glielo devo proprio dire?»
«E lei?» chiesi a Manganello.
«Ho sei figli… Non c’è bisogno di molte spiegazioni!»
«Bella visione maschio-centrica!» mi complimentai con entrambi. «L’uomo è un corpo». Mi sfiorai il braccio. «Dentro il corpo cosa c’è?»
«Ci sono gli organi» rispose Pottutto.
«Sicuramente. Oltre quelli?»
«Le vene?» ci provò Manganello.
«Siamo fatti di intelletto, istinto, sentimenti. In una parola: volontà. Siamo gli unici esseri viventi a possederlo?».
Entrambi finsero di non aver capito.
«Probabilmente no. Di sicuro però siamo la specie più evoluta, nel senso che può sfruttare la consapevolezza di sé per progredire. E come si progredisce?»
«Che lo chiede a noi?»
«È una domanda retorica» dissi. «Premendo un bottone dalla mattina alla sera e vegetando stremati il resto del tempo davanti a uno schermo per dimenticare, chi si è? Indebitandosi fino alla tomba per quattro mura? Bramando quell’ammorbidente di cui il comico sembra non possa fare a meno? Non scherziamo! La vita dell’uomo moderno, che lavora e consuma è una merda!»
«In effetti!». Pottutto sospirò. «Anch’io odio fare shopping la domenica con mia moglie!»
«In questo mondo in cui siamo meri ingranaggi, che fine fanno la ragione, l’istinto, il sentimento? Kaput! Arrivederci! Au revoir! Auf wiedersehen! Bye bye! Siamo stati educati a concepire la vita in funzione del lavoro, il lavoro in funzione del consumo, il consumo in funzione dell’esistenza. Ecco perché siamo infelici!»
«Non vedo molte alternative!»
«Le alternative sono due: o il meglio ubriachi che rotelle dell’ingranaggio2, o una rivoluzione culturale e pratica che ci restituisca la nostra umanità in armonia con l’equilibrio naturale delle cose, spogliandoci del superfluo, sottraendoci alla manipolazione dell’artificio. Basta poco per essere felici: relazioni umane faccia a faccia e un rapporto diretto con la natura. Tutto il resto è deturpazione del nostro essere, alterazione delle nostre attitudini, negazione della spontaneità. Quindi ansia, preoccupazione, infelicità.»
«Dove vuole arrivare, Dopraho?»
«Dove sono arrivato» dissi. «L’anarchia mira a costruire una società in cui le relazioni siano in armonia fra loro e si sviluppino in un ambiente che le aiuti a evolversi.»
«Tutto qui?»
«Se le sembra poco!» dissi. «Sul primo punto tornerò. Sul secondo, invece, mi preme sottolineare che il rispetto dell’ambiente, cioè la sensibilità ai problemi ecologici, diversamente da quello che tanti credono, non è un fenomeno recente. Rousseau, Thoreau, Kropotkin e tanti altri ne parlavano secoli fa. Sul presupposto che l’individuo è parte di un tutto, molti di quei filosofi si opponevano alla tecnologia, all’industrializzazione, a tutti gli antropocentrismi che la mettono a rischio. Negli ultimi anni al dramma provocato dal progresso scientifico-tecnologico, l’anarco-ecologismo ha reagito realizzando molteplici azioni dimostrative contro il sistema, sempre più arrogante, aggressivo e distruttivo…»
«Più parla, più mi sembra Savonarola!3». Pottutto mi interruppe.
«Non farete bruciare sul rogo anche me?»
«Noi siamo civili. L’aspetta una bella cella d’isolamento per il resto dei giorni!»
«La ringrazio!»
«Non c’è di che!»
«Posso?» chiesi se potevo chiudere il concetto: «John Zerzan, ad esempio, partendo dalla critica alla civilizzazione, al consumismo e alla sofisticazione tecnologica, propone una provocatoria teoria primitivista in cui auspica il ritorno a una società di raccoglitori-cacciatori dove le relazioni umane siano improntate sul faccia a faccia, dove non ci sia divisione del lavoro, dove si creino spazi vitali radicalmente decentrati e non la realtà globalizzante e standardizzante della società di massa, in cui tutta la sfolgorante tecnologia si fonda sulla schiavitù di milioni di persone e sull’eccidio sistematico della terra4… Come soluzione è forse un po’ ardita: probabilmente le persone non sono ancora disposte a rinunciare alla comodità della vita moderna. Ma è solo questione di tempo perché capiscano che non ne posseggono più una!»
«Una società di raccoglitori-cacciatori?». Pottutto si ravvivò. «Raccogliere bacche e cacciare animali tutto il giorno? Non credo faccia per me. Con questo mal di schiena!».
NOTE
1 – Gaston Piger, Signorina anarchia, Ortica edizioni,2021.
2 – Così Aiello parlando del poeta Tao Yuanming che faceva uso di alcol “per lasciarsi alle spalle le costrizioni di una vita serrata negli obblighi del meccanismo sociale”. In Giuseppe Aiello, Taoismo e anarchia, La Fiaccola edizioni, 2017.
3 – Girolamo Savonarola, 1452-1498, fu un predicatore popolare che venne scomunicato e bruciato sul rogo come eretico.
4 – John Zerzan, Enrico Manicardi, Nostra nemica civiltà, Mimesis editore, 2018.
Editing a cura di Costanza Ghezzi. WWW.costanzaghezzi.com
dipinto: Pieter Claesz, Natura morta con prosciutto, 1870