17- Non ci sono poteri buoni
N 17
Improvvisamente bussarono alla porta.
Con passo felpato e un vassoio fra le mani, entrò la stessa tracagnotta in uniforme che ci aveva lasciati prima che cominciasse l’interrogatorio.
«Ecco le sue schiacciatine!» disse con entusiasmo da bersagliera. «Dove le appoggio?»
«Le metta qui!». Pottutto liberò lo spazio davanti a sé. Poi la sua espressione da labrador si trasformò in Mefistofele cacciato dal Regno dei Cieli: «Le avevo chieste coi ciccioli!»
«Li avevano finiti!» tremò la poverina.
«Dottore sono buonissime!». Il maresciallo ne stava mangiucchiando una strisciolina. «Glielo dica anche lei!» mi coinvolse.
«Gustosissime!» confermai.
«Una prelibatezza!» grugnì ancora il maresciallo, la cui mano venne colpita dal righello sciabolato da Pottutto mentre ne afferrava un altro pezzo.
Il magistrato addentò e fu come Ego quando assaggia la Ratatouille1.
Con un gesto solerte Manganello sollecitò la tracagnotta a sloggiare.
Il pubblico ministero riaprì gli occhi appagato: «Certo che questo benedetto potere è proprio un’ossessione per voi anarchici!». Pulì fra i denti con l’unghia del mignolo.
«Ossessione? Direi proprio di no!» lo corressi. «Posso?» indicai la bottiglietta d’acqua.
Dalla tasca della giacca ne tirò fuori una vuota: «La prenda là!». Indicò il bagno.
Mi tenni la sete e: «Il potere è maledetto! diceva Bakunin. Esso genera gerarchia, subordinazione, obbedienza, oppressione e tutto ciò che rende il mondo un posto malvagio. In una parola: diseguaglianza. E una società fondata sulla diseguaglianza non sarà mai il luogo in cui gli individui potranno essere felici!»
«Ah, no?»
«Eh, no!» sorrisi. «Senza eguaglianza non c’è libertà. E viceversa. Infatti, sempre il russo diceva: la libertà degli altri, lungi dall’essere un limite o la negazione della mia libertà, né è al contrario la condizione necessaria e la conferma. Non divengo veramente libero se non attraverso la libertà degli altri, così che più numerosi sono gli uomini liberi che mi circondano, più profonda e ampia è la loro libertà, più estesa, più profonda e più ampia diviene la mia libertà.»
«A me non dispiace se qualcuno mi dice cosa fare!»
«Tipo essere libero di scegliere fra obbedire o obbedire? Servitù volontaria, la chiamava quel giovanotto impertinente di Étienne De La Boétie nel XVI secolo. All’età di diciotto anni scrisse un libretto talmente rivoluzionario che venne pubblicato post-mortem in cui affermava che l’uomo viene educato alla servitù, si adatta alla servitù, accetta la servitù, a tal punto che le persone non conoscono altro che lo stato di servitù e si accontentano e sopportano, aspirando a compiacere il sistema per poter godere e partecipare dei piaceri offerti, godendo e gratificandosi della miseria di coloro che invece non riescono a farlo. Cionondimeno invitava gli uomini a liberarsi dal giogo: decidete di non servire più, e sarete liberi2. Auspicava, infatti, la rivolta individuale per diventare ciò che Stirner, quattro secoli dopo, avrebbe definito essere padroni di se stessi.»
«Sinceramente io tutti questi servi non li vedo!» obiettò Pottutto. «Lei ne vede, Manganello?»
«Magari!» crocchiò il maresciallo. «Qui non si finisce mai di lavorare!».
Riprese il PM: «Lei confonde la sana coercizione che garantisce la disciplina con la schiavitù». Si volse verso il maresciallo: «Che ne pensa, Manganello?»
«Ineccepibile!»
«Che ho detto?»
«Che se gli anarchici vanno affanculo si sta tutti meglio?».
Pottutto gli strappò dalle mani il foglio sul quale disegnava quello che con molta fantasia poteva essere un cavallo.
«È un cane!» precisò il maresciallo.
«Lei parla di disciplina» dissi. «Quindi di legge. Ma chi fa la legge?»
«Il Parlamento, naturalmente!»
«Fuochino!»
«La forza!» seguì un sorprendente Manganello.
«Bravo maresciallo!». Si meritava i complimenti. «In una società fondata sul dominio, solo e soltanto il più forte detiene il potere. A volte in maniera violenta come nei totalitarismi, altre in maniera subdola e manipolatrice come nelle democrazie. Potere che definisce i comportamenti che la massa deve necessariamente osservare. Si chiama ordine sociale e il suo scopo è consentire al Potere stesso di sopravvivere, crescere, perpetuarsi.»
«E fin qui è una filastrocca già sentita. Se adesso ci facesse magari qualche nome!».
Lo ignorai: «Cosa indica il termine Potere?». Perché non si sforzassero troppo: «Ve lo dico io. Nella società del dominio il più forte è sempre e soltanto il più ricco, colui che domina dalla piramide di lingotti, azioni, monete su cui è seduto, dando ordine ai governi e al vassallaggio di menare gli schiavi perché non smettano di lavorare alla sua edificazione.»
«Quindi?»
«Quindi propongo la lettura di una bella poesia sul Potere» dissi.
«No, la poesia no!» gorgogliò Pottutto.
«Pure sul potere!» seguì Manganello.
«Non è proprio una poesia, ma l’estratto di una canzone…»
«Manganello, vada a prendere il mangianastri!»
«Non serve!» dissi. «Basta il testo… legga pure a voce alta!»
«A voce alta?»
«A voce alta!».
Pottutto prese un respiro profondo e:
Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d’obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
Però bisogna farne altrettanta
Per diventare così coglioni
Da non riuscire più a capire
Che non ci sono poteri buoni3
Il magistrato tolse fiaccamente gli occhiali e mi fissò implorandomi di parlare per primo.
«Per il momento limitiamoci a constatare che non ci sono poteri buoni!» dissi senza aggiungere altro.
«Tutto qui?»
«Mi conceda un po’ di suspense!»
NOTE
1 – Ratatouille, film di animazione della Pixar Animation Studios, 2007.
2 – Etienne de La Boétie, Discorso della servitù volontaria, 1548.
3 – Fabrizio De André, Nella mia ora di libertà, nell’album Storia di un impiegato, 1973.
uditing a cura di Costanza Ghezzi, costanzaghezzi@gmail.com
Immagine: Andrè Martin De Barros, Golgota, 2007