Essere come l’acqua
/in Uncategorized /da Raimondo Maria Dopraho“Ecco come bisogna essere! Bisogna essere come l’acqua. Niente ostacoli – essa scorre. Trova una diga, allora si ferma. La diga si spezza, scorre di nuovo. In un recipiente quadrato, è quadrata. In uno tondo, è rotonda. Ecco perché è più indispensabile di ogni altra cosa. Niente esiste al mondo più adattabile dell’acqua. E tuttavia quando cade sul suolo, persistendo, niente può essere più forte di lei.”
(Lao Tzu)
N. 21 – LA LIBERTÀ
/in Uncategorized /da Raimondo Maria Dopraho«Qualificare la libertà è complesso perché non esiste una definizione unica. Lo dimostra il fatto che ogni dottrina filosofica ha voluto spiegarla a modo suo. Si va da Aristotele per il quale un’azione è volontaria e libera quando non è condizionata da fattori esterni, alla teologia per cui la razionalità non conta niente perché Dio è tanto buono che ci dona la sua grazia; da Spinoza per il quale l’uomo è uno dei modi di essere Dio ma Dio è migliore, all’ottimismo di Rousseau per cui: l’uomo nasce libero, ma ovunque è in catene; dalla libertà kantiana che si realizza attraverso la ragione e fuori dall’esperienza, alla concretezza di Hegel che la identifica in un processo dialettico dello Spirito Universale insito nella storia; da Marx per cui è strumento di liberazione economica, sociale, politica, a…»
«Oh!» esplose Pottutto. «Ora basta!»
«Solo l’ultima, dottore!» lo pregai. «A Sartre per cui l’uomo sarà sempre un’infelice perché consapevole di non essere trascendente; da… scherzavo!».
Il pubblico ministero ne approfittò per tirare fuori dalla tasca della giacca una baguette farcita con prosciutto crudo, cipolle rosse tagliate a rondelle, scaglie di grana, pancetta, uovo sodo, tonno, bresaola, mango, cetriolini, crema di piselli, due gocce di olio al tartufo, frittata, pomodori secchi, e un mix di mascarpone, maionese, senape e mostarda.
Lo so perché ne chiesi un pezzettino.
«Gustosissimo!» dissi.
«L’ha preparata la mia mammina!».
Con un’occhiata gli feci capire che Manganello stava sbavando.
Lo ignorò.
«Quanto le piacerà citare i filosofi!». Tornò a me con tono confidenziale.
«Tutto ciò che diciamo è già stato detto. Allora perché non riconoscerlo? E poi la filosofia aiuta a pensare e pensare è importante, ci distingue da… un cetriolo!». Ne raccattai un pezzetto caduto sui pantaloni. «Filosofia a parte, vorrei dare una versione personale della libertà.»
«È una cosa lunga?»
«La definizione è brevissima: la libertà è assenza di costrizioni o detto alla Nettlau: non fare socialmente quello di cui uno non sente bisogno.»
«Tutto qui?»
«Suppergiù!» sollevai le spalle. «Sono libero quando nessuno mi impone o mi impedisce di svolgere la mia attività intellettuale, oppure ostacola o determina la mia condotta. Sono libero se penso, scelgo e agisco come voglio per soddisfare il mio interesse, per realizzare il mio bene, per conseguire la mia felicità che, lo dico benché sia scontato, non può essere materiale giacché condizionata dalla necessità. Ma quali sono gli ostacoli alla mia libertà?»
«A parte una decina di ergastoli?».
Ignoro: «Sono quelli che le impediscono lo sviluppo personale: tutto ciò che avversa la vita, la salute, l’identità personale, la libera manifestazione del pensiero, eccetera. In sintesi: un’autorità che dica di fare ciò che non voglio fare.»
«Ha citato i diritti soggettivi sanciti dalla Costituzione che però con il non voler fare…?»
«La quale, però, non ha fatto altro che codificare diritti innati preesistenti a essa, che l’uomo ha sempre considerato inalienabili, irrinunciabili e imprescrittibili. In questo modo se ne è appropriata affinché i governi potessero interpretarli secondo la convenienza.»
«Non la seguo!»
«Prendiamo un diritto a caso: il diritto alla salute. Non c’è bisogno che dimostri che l’uomo lo riconosce e garantisce da sempre. La Costituzione lo definisce come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Ciò significa che lo Stato si impegna a fornire gli strumenti per assicurare alla società i mezzi per tutelarla. Lo stesso articolo, però, prevede che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Ecco l’ipocrita, benché immancabile, contraddizione che consente di derogare il diritto naturale: stabilendo infatti che il trattamento sanitario può essere disposto nei confronti dell’individuo anche contro la sua volontà o il suo interesse con una semplice legge, di fatto lo spoglia della titolarità conferendola allo Stato. Facile immaginare come gli effetti di questa stortura possano essere devastanti. Se domani, ad esempio, un governo ritenesse utile che fossimo biondi, basterebbe una legge e tutti dovremmo tingere i capelli, pena la sanzione, la segregazione, la disapprovazione sociale… Ma non divaghiamo!»
«Ecco bravo, non divaghiamo!»
«Stavo dicendo che la libertà è determinarsi nel mondo senza ostacoli. Cercate voi stessi, diventate egoisti, ognuno di voi divenga Dio onnipotente! diceva Stirner, che aggiungeva: riconoscete ciò che siete veramente e lasciate correre le vostre aspirazioni ipocrite, la vostra stolta mania di essere qualcos’altro da ciò che siete1. Per gli anarchici, infatti, libertà significa essere sovrani di se stessi, quindi scegliere di dare forma alla propria volontà. Essere liberi di pensare, di vestire, di andare, di condividere, di lavorare, di amare, e potrei continuare. Una libertà, pertanto, non assoluta né astratta, ma concreta. Siamo en dehors, dice Emile Armand, che vogliono vivere per vivere, per compiere la propria funzione di bipede a statura eretta, dotato di pensiero e di sentimento, capace di analizzare delle emozioni e di catalogare le sensazioni. Vivere per vivere, senz’altro. Vivere per trasferirsi da un luogo all’altro, per apprezzare le esperienze intellettuali, morali, fisiche, delle quali è cosparsa la strada di ciascuno: per goderne; per suscitarne quando l’esistenza appare troppo monotona; per porvi fine o rinnovarle, secondo i casi. Vivere per vivere, per soddisfare i bisogni del cervello e il richiamo dei sensi. Vivere per acquistare il sapere, per lottare e formarsi un’individualità spiccata, per amare, per abbracciare; per cogliere i fiori dei campi e mangiare i frutti degli alberi. Vivere per produrre e consumare, per seminare e raccogliere, per cantare all’unisono con gli uccelli, distendersi al sole sulla spiaggia dei mari e sul greto dei fiumi». E ancora: «Vivere per vivere, per goderne aspramente, profondamente, di tutto ciò che offre la vita» E qui si fa quasi poetico: «Per sorseggiare fino all’ultima goccia la coppa di delizie e di sorprese che la vita tende a chiunque acquista coscienza del proprio essere».
Attesi qualche secondo perché Pottutto e Manganello si riprendessero dallo shock della lunga citazione.
«Ma perché ciò sia possibile, gli anarchici vogliono vivere in libertà, senza che una morale esteriore o imposta dalla tradizione o dalla maggioranza stabilisca comunque delle frontiere fra lecito e illecito». Altra veloce pausa e: «Vivere per vivere, senza opprimere altrui, senza calpestare le aspirazioni o i sentimenti di chicchessia, senza dominare o sfruttare, ma da essere liberi che resistono con ogni forza alla tirannia di Uno Solo come all’assorbimento delle Moltitudini2».
Il volto di Manganello era ormai nascosto fra le pieghe della pappagorgia.
Pottutto mi fissava con due biglie da pista sulla spiaggia al posto degli occhi.
Avrei giurato di scorgere in una la foto di Moser, nell’altra quella di Saronni.
«Le parole di Armand ribadiscono quanto per giungere alla libertà sia necessario affrontare quel periglioso quanto entusiasmante processo di iniziazione, che attraverso la conoscenza del sé, giunge alla possibilità di compiere un’azione intelligente, spontanea, contingente e non lesiva degli altri…coniugandosi con autonomia, solidarietà, volontà, in una dinamica infinita3.»
«Iniziazione tipo caverna platonica!»
«Bello quest’esempio filosofico!»
«Massoneria!». Pottutto mi corresse. «È la stanza buia in cui mi hanno chiuso per ore!4»
«La libertà è una conquista. Non può essere concessa né parziale, cioè elargita dallo Stato, dal Re, dal Potestà, da Dio, dalla società, da un individuo chicchessia, in quanto nasconderebbe nel suo seno una qualche forma di autorità. È indivisibile, non si può toglierne una parte senza ucciderla tutta diceva Bakunin. E aggiungeva: sono veramente libero solo quando tutti gli esseri che mi circondano, uomini o donne, sono egualmente liberi. La libertà degli altri, lungi dall’essere un limite o la negazione della mia libertà, ne è al contrario la condizione necessaria e la conferma. Non divengo veramente libero se non attraverso la libertà degli altri, così che più numerosi sono gli uomini liberi che mi circondano, e più profonda e ampia diviene la mia libertà. È invece proprio la schiavitù degli uomini a porre una barriera alla mia libertà, o, che è lo stesso, è la loro bestialità a negare la mia umanità; perché, di nuovo, posso dirmi veramente libero solo quando la mia libertà, o, che è lo stesso, quando la mia dignità di uomo, il mio diritto umano, che consiste nel non obbedire a nessun altro uomo e nel determinare i miei atti in conformità con le mie convinzioni, mediate attraverso la coscienza ugualmente libera di tutti solo quando la mia libertà e la mia dignità mi ritornano confermate dall’assenso di tutti. La mia libertà personale, così convalidata dalla libertà di tutti, si estende all’infinito5»
Ripresi fiato.
«Bakunin giunge quindi alla straordinaria conclusione che la libertà deve essere condivisa perché uno è tutto e tutto è uno. Se vivessi su un’isola deserta, sicuramente sarei libero: un Robinson Crusoe solitario che parla con la noce di cocco. Divertente all’inizio, ma poi dovrei scegliere fra abbattere la palma a testate o concedermi agli squali. Allo stesso modo, fossi circondato da servi, mi vergognerei della mia libertà, mi disprezzerei per la mia indifferenza. Perché la libertà, la vera libertà, non può prescindere dalla co-partecipazione all’armonia universale. Sono libero solo se anche gli altri lo sono e gli altri lo sono se tutti siamo eguali. Per questo libertà ed eguaglianza sono complementari. La libertà senza eguaglianza è privilegio, l’uguaglianza senza libertà è una tirannia6. Ed è in questa identità fra individui che l’eguaglianza si realizza spontaneamente sotto forma solidarietà. Che non è la solidarietà evangelica, cioè la virtù teologale per la quale si ama il prossimo per amore di Dio, non è la solidarietà sociale che impone l’uniformità per essere manipolabili, bensì una comunità di affinità che si oppongono alla tirannia e condividono uno scopo. Fratelli, infatti, gli anarchici si chiamano fra loro. Per taluni camerati, compagni per altri. In sostanza, individui riuniti sotto la stessa bandiera, guidati da obiettivi comuni, stimolati da un’unione materiale e spirituale autentica, razionale e sentimentale».
Al mio silenzio Pottutto replicò con un’espressione fra il pianto e la nausea.
«Che ha, si sente male?» chiesi preoccupato.
«Tutto bene» singhiozzò. «Rimpiango solo d’aver accettato l’incarico
«So a cosa sta pensando. Lei sta pensando che sono un illuso perché gli uomini sono divoratori di altri uomini, vero?»
«Homo homini lupus!»
«Bravo, ha studiato Hobbes!» rilevai sarcastico. «La concezione che gli uomini siano guidati da istinti animali e che, se non controllati, si mangerebbero vicendevolmente è la solita giustificazione autolegittimante del dominio che fa leva sul servilismo dei molti. La maggior parte degli uomini non mangia nessuno. Al massimo abbaia senza mordere. Di sicuro, però, vivere in una società che nel migliore dei casi non ha fatto altro che imporre un unico modello di vita a tutti, senza rispettare le differenze e i bisogni individuali e sociali, come diceva Emma Goldman, accresce frustrazione e alienazione, quindi induce a rifiutare la vita, le relazioni, la natura stessa, impedendo all’individuo di raggiungere la piena consapevolezza di sé. Che fare allora?»
«Già, che facciamo?»
«Nessuno ci libererà se non noi stessi. Dobbiamo dichiarare guerra agli agenti dannosi che fino a ora hanno impedito la fusione armoniosa degli istinti individuali e sociali, afferma ancora la Goldman. Perché la vera armonia scaturisce naturalmente dalla comunanza di interessi, cioè dalla fusione dell’individuo con la collettività. Una fusione che si realizza spontaneamente superando i fantasmi7 della religione che plagia le menti, del governo che soggioga le condotte, della proprietà che vincola ai bisogni e nega le aspirazioni. Ma la libertà non sarà mai concessa. La logica del dominio non può tollerarla. La libertà si conquista!»
«Scommetto mezzo sigaro», Pottutto tirò fuori un cubano dalla tasca della giacca, «che avete in progetto di far esplodere qualche bella bombetta!» disse tutto eccitato.
«Parli, stragista!» grugnì Manganello.
«Mi spiace deludervi» risposi. «Ma non faccio scoppiare neppure i petardi a Capodanno!»
«Rapimento di qualche autorità?»
«Tipo?»
«Non so… un parlamentare?»
«Ci costerebbe troppo» dissi. «Quelli mangiano assai!»
«Allora un assessore!»
«E, secondo lei, mi abbasserei a rapire un assessore?»
«Un generale dell’esercito?»
«Meglio uno sbirro. Quantomeno gli restituiremmo pan per focaccia!» dico scherzando.
«Spero non sia un pubblico ministero!»
«Non si preoccupi, non rapiamo nessuno!». Chiusi la questione. «Per Malatesta la libertà è la massima aspirazione di ogni anarchico, che non si conquista e non si conserva se non attraverso lotte faticose e sacrifici crudeli. La lotta è infatti il più sacro dei doveri, dice Bakunin, ma non potrà svilupparsi in un confronto suicida col Potere.»
«Perché ne tocchereste, eh?» si svegliò Manganello.
«Non mi dica che sta pensando di imbrattare qualche muro, mi deluderebbe!» disse Pottutto.
«Sarà spontanea. Sarà un’ombra. Sarà silenziosa. Sarà impercettibile. Sarà costante e diffusa. Sarà…»
«Sarà, sarà quel che sarà, del nostro amore che sarà…». Pottutto iniziò a cantare.
«Prendiamo oggi quel che dà, e quel che avanza per domani basterà…» seguì Manganello.
«E quando avremo qualche anno di più, se a dirmi t’amo sarai ancora tu…» di nuovo il magistrato.
«La mia dolce gelosia ti terrà un po’ compagnia ogni volta che andrai via!8» In coro. Stringendosi poi in un caloroso abbraccio.
NOTE
1 – Max Stirner, L’unico e la sua proprietà, ivi.
2 – Emile Armand, Iniziazione individualista anarchica, ivi. (NdA. En dehors è come Armand chiamava i refrattari, i ribelli).
3 – Francesco Codello, Né obbedire né comandare lessico libertario, 2009, Eleuthera.
4 – Nell’iniziazione massonica è il luogo buio in cui sosta l’iniziato durante il rito di passaggio prima di vedere la luce. Simbolizza la morte prima della nascita.
5 – M. Bakunin, Dio e Stato, 1882, Feltrinelli.
6 – NdA. La frase originale è: la libertà senza socialismo è un privilegio dell’ingiustizia; il socialismo senza libertà è schiavitù e brutalità.
7 – NdA. Per Stiner, Stato, religione, morale, società, altro non sono che fantasmi.
8 – Tiziana Rivale, Sarà quel che sarà, 1997.
Editing a cura di Costanza Ghezzi
In foto: Rob Gonsalves, Badtime aviation, 2001
N.20 – EDUCAZIONE: EDUCAZIONE LIBERTARIA
/in Uncategorized /da Raimondo Maria Dopraho«Anche Ward affermava che lo scopo della scuola è svolgere una “funzione socializzante”, cioè conformare l’individuo alla società per garantire la sua perpetuazione. Nell’articolo del 1.8.23 asserisce: la società assicura il suo futuro educando i bambini secondo il suo modello. Nelle società tradizionali il contadino alleva i figli insegnando loro a coltivare la terra, un capo insegna loro a esercitare il potere, i sacerdoti tramandano le mansioni del loro ruolo. Nello stato moderno il sistema scolastico è lo strumento di più ampia portata per condizionare la gente. Dall’età di cinque anni, tenta di plasmare lo sviluppo intellettuale e buona parte della maturazione sociale, fisica, ideologica di un individuo durante dodici anni o anche più del periodo cruciale dal punto di vista formativo6».
Sollevo la testa: «Fin qui ci siamo?».
Solita fuga di sguardi.
«A questo sistema si oppone la pedagogia radicale, cioè libertaria, il cui obiettivo è la realizzazione della personalità dell’individuo e lo sviluppo dei suoi interessi, delle sue aspirazioni, dei suoi bisogni, dei suoi propositi. Abbandonando il sistema educativo autoritario, impositivo, trasmissivo, passivo e certificatorio, si focalizza sul discente. Sperimenta una serie di metodi mediante i quali aiutarlo a diventare cosciente di sé, quindi capace di autodeterminarsi. Metodi fondati sull’esperienza, sull’esplorazione, sul sovvertimento del rapporto gerarchico docente-allievo, sul rigetto della conformistica psicologia del risultato perpetuante l’ordine esistente.»
«Ci mancava Freud!» Pottutto si animò.
«Per psicologia del risultato intendo il voto.»
«Che c’incastrano le elezioni!» il solito Manganello.
«Forse si riferisce a quello religioso!» lo corresse Pottutto.
Pensai a quanto fosse divertente avere un uditorio di quel livello.
«A proposito di educazione libertaria anche Isabelle Attard dice che per vivere in una società senza Dio né padroni l’educazione è prioritaria. Ma non si tratta di modellare il cervello dei futuri militanti anarchici come nelle scuole di indottrinamento politico o militare. Esattamente il contrario: l’obiettivo è di sviluppare nei futuri cittadini l’autonomia, lo spirito critico e la capacità di mettere in discussione. L’educazione libertaria, quindi, non mira a formare esseri docili e uniformi che non mettano mai in discussione né l’esistenza dello Stato-nazione e delle sue istituzioni, né il modello economico vigente7, ma individui liberi che sappiano criticarlo. Una capacità critica che è strumento di emancipazione contro ogni omologazione uniformante e conformista, senza la quale è appiattimento totale, assoluto annichilimento. Le proposte anarchiche sono una continua ricerca della soluzione alla necessità stirneriana di diventare padroni di se stessi, con l’obiettivo di realizzare uno stile di vita alternativo, contraddistinto da un’etica che richiama ciascun individuo alla coerenza tra il pensiero e la propria esistenza concreta8».
«Che c’è?». Pottutto si rivolse a Manganello.
«Scuola si scrive con la C o con la Q? Mi confondo sempre!»
«Lei come l’ha scritto?»
«Con la S maiuscola poi il punto».
«Andiamo avanti!». Il PM si rivolse a me.
«I paradigmi della scuola libertaria sono la sperimentazione, la spontaneità, l’autodeterminazione e il pluralismo. Sperimentare significa educare attraverso un approccio esperienziale: la consapevolezza di sé, quindi delle attitudini e delle abilità personali, cosi come dei difetti e delle lacune, si forma passo dopo passo, attraverso una crescita che solo l’approccio diretto col caso concreto consente di sviluppare. L’impegno degli insegnanti deve focalizzarsi sul ragazzo lasciandolo libero di apprendere, sbagliare, correggersi. Nessuna imposizione di nozioni astratte, ma un confronto continuo con la vita, perché, come diceva Emile Armand riferendosi all’individualista anarchico, il concetto si estende a chiunque si affranca dal dominio, l’uomo libero tende verso la vera vita la vita puramente e semplicemente che egli si sente attratto, la vita in libertà che contrasta così violentemente con l’esistenza che gli hanno imposto le condizioni economiche, la politica e tante altre cause. È la vita che lo interessa, che lo sollecita, che lo trascina; la vita naturale che ignora i compromessi, i mercanteggiamenti, le sofisticazioni, gli orpelli le parvenze ingannatrici le false riputazioni, il calcolo, l’arrivismo. Perché egli vuole vivere a qualunque prezzo, costi quel che costi, ben inteso senza dominare né sfruttare altrui.
Per questo la sua vita sarà un campo di esperienze e un continuo ammaestramento, di cui tenderà sempre di rimanere il padrone… giammai a consentire che esse lo padroneggino9. In sintesi, l’uomo vuole vivere, e per vivere pienamente e intensamente deve essere libero dalle costrizioni mentali e fisiche». Pausa. «Se proprio dobbiamo insegnargli qualcosa, insegniamogli a godere l’estasi dell’esperienza: la bellezza del qui e ora. È sfiorando puramente l’essenza dell’attimo che l’uomo è. Al contrario, l’imposizione impedisce l’armonica compenetrazione nel tutto a cui si appartiene». Sorpreso io stesso da tanta saggezza: «Che ve ne pare?»
«Sono tutto un fremito!» Pottutto rispose caustico.
Il maresciallo, invece, si mordicchiava il sottomento.
«Trovate le sue parole nell’articolo citato prima, dove peraltro accenno ai metodi di apprendimento spontaneo sperimentati da Ferrer con la Escuela Moderna, da Homer Lane con la scuola di Little Commonwealth e da Alexander Neill con quella di Summerhill.»
«L’ho sempre detto che gli inglesi sono strani!»
«Non si preoccupi maresciallo, ci sono anche gli italiani. Ad esempio Marcello Bernardi e Marco Lodi. Il primo è tra i massimi esponenti della scuola negativa che riprende le teorie di Freire, Tolstoj, Ferrer e, perché no, anche Don Milani, per i quali l’educatore deve lasciare libero il giovane di apprendere spontaneamente, senza essere condizionato dalla figura dell’insegnante o dell’ambiente in cui è inserito. Massima importanza viene dato al contatto diretto con le cose, alla manualità, all’immaginazione, alla creatività quali propellenti per sviluppare la curiosità, l’interesse, la ricerca, quindi l’apprendimento.»
«Niente di nuovo sotto il sole» gorgogliò Pottutto. «Anch’io giocavo col Lego!»
«Evidentemente non abbastanza!» dissi fra i denti. «Alla scuola negativa si affianca quella positiva, dove l’educatore fa da guida e fondamentale diventa il contesto di riferimento attraverso il quale il giovane apprende per imitazione. Un esempio è la Scuola di Vho creata da Marco Lodi dove si educava senza testo, stimolando la comunicatività attraverso le arti espressive come la pittura o la danza…»
«Invece delle lezioni gli studenti ballavano?»
«Valzer, Mazurca, Cha Cha Cha!» scherzai. «Fra le tante cose, ha sviluppato anche la ricerca interdisciplinare e la scrittura collettiva: famosi sono stati negli anni Sessanta alcuni racconti scritti insieme ai suoi studenti come Cipì, una pietra miliare della letteratura infantile, La Mongolfiera e tanti altri. Li ha letti?»
«Eh, come no!»
«A prescindere dal metodo, i pedagoghi libertari ritengono fondamentale che i ragazzi imparino spontaneamente, senza che intermediari impongano tabelle, nozioni, autorità e, soprattutto, senza manipolazione. Usano spesso il gioco, perché il divertimento favorisce la ricerca, l’interesse, l’immaginazione, la creatività, tutte attività necessarie per l’apprendimento e la crescita personale. Soltanto l’esperienza diretta forgia la consapevolezza di sé e consente di appropriarsi del mondo.»
«Abbiamo finito con la scuola?». Pottutto approfittò della mia pausa.
«No!»
«No?»
«Quasi, però!» dissi. «Condizione necessaria affinché lo studente impari ad autodeterminarsi è che la sua maturazione avvenga in un contesto pluralista. L’educazione deve pungolare l’individuo a fare da sé. Deve imparare a gestirsi, deve superare gli ostacoli, deve darsi degli obiettivi. Deve autodeterminarsi ricorrendo alle proprie capacità, affrontando caso per caso, moltiplicando il confronto costante con i propri simili. Un confronto fatto di differenze, discussioni animate, errori, tentativi e apprendimento. Un confronto pluralista. Per l’anarchia le differenze non sono mai pregiudizievoli. Senza di esse non c’è sviluppo. Come dice Amedeo Bertolo, il potere, per sua natura, nega tutto ciò che gli si oppone e la diversità gli si oppone in quanto ingovernabile. Per questo il potere deve distruggere le diversità o, quanto meno, incanalarla nella diseguaglianza. Al contrario, l’anarchia si nutre e cresce grazie alla diversità. Il confronto, che non è competizione, aiuta a maturare la propria identità e prenderne coscienza. Perché soltanto quando si riconosce la propria e l’altrui specificità è possibile coesistere. La diversità deve essere non solo accettata, ma esaltata, ricercata, creata, ricreata continuamente. Perché la diversità è il bisogno dell’uomo di dare valore a se stesso. Diverso è bello, dice ancora Bertolo, che conclude sottolineando come l’unione dei diversi non sia fratellanza, che definisce un concetto specularmente simile all’utopia gerarchica di una conciliazione coattiva10, ma solidarietà, quel sentimento ancestrale che ci rende uomini e non isolate unità biologiche. In tal senso la pedagogia libertaria è assolutamente originale, in quanto nega qualunque forma di omologazione. Nessun voto, nessuna gerarchia, nessuna autorità, nessuna imposizione. Non ci sono differenze di merito, non ci sono vantaggi, nessuno è privilegiato. E poi accadrà quel che deve accadere!».
Pottutto tirò un sospiro di sollievo: «Adesso abbiamo finito?»
«Aggiungo solo che aveva ragione José Antonio Emmanuel quando diceva che se non vi liberate attraverso la scuola, vi costerà fatica redimervi e liberarvi quando sarete grandi11. Altrettanto vero è che per conseguire la coscienza di sé e la conseguente capacità di autodeterminazione è necessario un ulteriore scatto». Feci una pausa. «Che ne dite se parliamo di libertà?».
NOTE
1 – Emile Armand, L’iniziazione individualista anarchica, 1923, Tip di C. Mori 1956.
2 – Bakunin, Stato e anarchia, 1873, Feltrinelli.
3 – Bibbia, Lettera agli Ebrei, 11,8. NdA – Il chiamato da Dio, obbedì è Abramo.
4 – Hannah Arendt, La banalità del male, 1963, Feltrinelli.
5 – Comitato invisibile, L’insurrezione che viene, 2007.
6 – Colin Ward, Anarchia come organizzazione, 1976, Eleuthera.
7 – Isabelle Attard, Perché sono diventata anarchica, 2021, Eleuthera.
8 – G. Ragona, Anarchismo, ivi.
9 – Emile Armand, L’iniziazione individualistica anarchica, 1923, Tip di C. Mori 1956.
10 – Amedeo Bertolo, Anarchici e orgogliosi di esserlo, 2017, Eleuthera.
11 – José Antonio Emmanuel, L’anarchia spiegata ai bambini, 2022, Ed Risma.
Editing a cura di Costanza Ghezzi
In foto
N. 19 – EDUCAZIONE: EDUCAZIONE TRADIZIONALE
/in Uncategorized /da Raimondo Maria Dopraho«Splendido!». Pottutto attese che tornassi al mio posto. «Vuole una sigaretta?»
«Ho smesso da quando mio padre…»
«La prenda!». Sorrise a bocca stretta. «Mica vorrà godersi tutti gli ergastoli?» Svaporò sulle lenti degli occhiali. «Sa cosa credo?»
«Sono curioso» dissi.
«Credo che le piaccia parlare di libertà e di eguaglianza, ma sotto sotto vorrebbe che tutti la pensassero come lei!»
«Di solito questo avviene in democrazia…»
«Non vuole che gli altri le dicano cosa fare, ma vorrebbe che gli altri facessero cosa dice!»
«Questa invece è la tirannia che sta dietro la sua maschera!»
«Non le credo!»
«Se non crede a me, creda a Emile Armand quando dice che gli anarchici ritengono che l’esercizio e la pratica della dominazione sia pregiudizievole e nefasta allo sviluppo e alla espansione della personalità umana. Per questo non si sognerebbero mai di imporre il loro punto di vista a coloro che dichiarano di non saper fare a meno dei paraocchi e delle redini dell’autorità1. L’anarchia non impone la propria visione del mondo. Auspica però che le persone diventino più consapevoli e si uniscano per migliorarlo. Una crescita che comincia da ragazzi, quando si è fragili e manipolabili. Non a caso i libertari considerano l’educazione il principale mezzo di emancipazione contro le deturpazioni provocate dal dominio. Criticano, infatti, la scuola tradizionale, che invece di sviluppare la personalità degli individui, mortifica e annichilisce imponendo nozioni inutili, un apprendimento acritico e costringe all’obbedienza annullando la soggettività. Insomma, tutti siamo andati a scuola…».
Manganello tossicchiò.
«Okay, quasi tutti!» precisai. «Ricordiamo i banchi scomodi, il silenzio durante le lezioni, la possibilità di parlare se interrogati, l’alzarsi se autorizzati e via discorrendo. C’è un professore che comanda, ci sono gli studenti che obbediscono. Un rapporto vessatorio, verticale, che inevitabilmente degenera in relazione sociali alterate, in cui l’individuo non può esprimere la propria autenticità perché costretto a essere disciplinato, deferente e remissivo. Disciplina, consenso e remissività che, come dice Francesco Codello, sono le basi su cui il potere si regge.»
«Mi sta dicendo che se il mondo non le piace la colpa è dei maestri?»
«Le sto dicendo che la scuola è uno dei tanti strumenti utilizzati per ammaestrare le persone e renderle incapaci di agire autonomamente. Dice Bakunin: la libertà di ogni individuo è il riflesso della sua umanità o del suo diritto umano nella coscienza di tutti gli uomini liberi, suoi fratelli, suoi eguali in quanto io stesso sono umano e libero soltanto nella misura in cui riconosco la libertà e l’umanità di tutti gli uomini che mi circondano. Solo rispettando la loro umanità rispetto la mia essenza umana2. Ma perché l’individuo realizzi questo egoismo altruistico occorre che apprenda e viva l’esperienza coscientemente, senza condizionamenti che lo determinano: sia capace di autodeterminarsi. Cosa che sarà sempre preclusa se la sua mente verrà infarcita dalla logica della supremazia. Non è un caso, infatti, che i più innovatori pedagoghi fossero libertari.»
«Libertini?»
«Libertari!»
«Libertari?»
«È sinonimo di anarchici» spiegai: «Come dice Gaston Piger: è un termine che fa meno paura di anarchico» precisai. «Però fa molto fariseo. Per questo piace tanto ai perbenisti!»
«L’educazione tradizionale, che indottrina e plasma la mente all’obbedienza, è l’espressione della società autoritaria, in cui il chiamato da Dio, obbedì3 porta le sue convinzioni a realizzare la banalità del male di cui parla Hannah Arendt4». E guardando Manganello che esitava a scrivere il nome: «Hannah si scrive con due H» dissi.
«Come Deborah-h?» Con doppia aspirazione finale.
«Una all’inizio e una alla fine» precisai. «Le scuole sono carceri e l’apprendimento acritico crea solo individui narcotizzati che una volta tornati in società sono automi consenzienti. L’errore, non casuale, è di prospettiva: io studio perché mi piace, perché mi aiuta a crescere, perché il Potere non si combatte con l’ignoranza o la remissività. E poi, mi permetta…»
«Deve andare in bagno?»
«No!» risposi. «Educare viene da ex-ducere, tirar fuori. Non plasmare, imporre, trasferire, determinare o altro. Anche etimologicamente…!»
«Quindi?». Pottutto mi sollecitò a concludere.
«Quindi l’educazione tradizionale assolve la funzione di conformare e di selezionare. Addomesticare il discente all’obbedienza a cui sarà costretto per tutta la vita e selezionare per il mercato gli individui più obbedienti, docili, remissivi, perciò efficienti, produttivi, performanti, sottomessi proprio come vuole il sistema.»
«Come al solito le piace esagerare. A scuola, come nella vita, sono i migliori che vanno avanti!»
«I migliori chi?» sorrisi. «La meritocrazia è una baggianata. Già nell’Ottocento Bakunin la definiva l’ideologia del nuovo capitalismo. Recentemente anche il Papa ha detto che è la legittimazione etica della disuguaglianza. E poi, chi sono questi così detti migliori? I più bravi a sgobbare? I più obbedienti? I drogati del profitto? Per non parlare di come il denaro assicuri ai soliti figli di scuole prestigiose, master, esperienze all’estero e conoscenze necessarie all’inserimento nel mondo del lavoro che conta.»
«Non sapevo che il qualunquismo fosse una caratteristica dell’anarchia!»
«La chiamerei più presa di coscienza che nella società del dominio l’eguaglianza sostanziale, cioè la parità di condizioni di partenza, è l’ennesima illusione soffiata in faccia ai sempliciotti.»
«Quindi, secondo lei la scuola non serve a niente?»
«Non ho detto questo! Senza la castrazione scolastica la società del dominio non potrebbe sfornare a getto continuo impiegati ben addomesticati5!»
«Quanti bei discorsi!» il maresciallo si stizzì. «Posso andare a chiamare l’agente Sevizia che questo non lo sopporto più?»
«Si rimetta a sedere, Manganello!» lo esortò Pottutto.
NOTE
Vedi cap 20
Editing a cura di Costanza Ghezzi
In foto: Francisco Goya, Scene di scuola, 1785