34- LA PROPRIETÀ. CAMBIARE IL RAPPORTO CON LE COSE: COMPROPRIETÀ – Seconda parte.
«La proprietà è la facoltà di disporre e godere di un bene pienamente ed esclusivamente: la zappa è mia e la uso come voglio. I giuristi hanno poi aggiunto: nel rispetto della legge e senza pregiudicare i diritti altrui. Quindi la zappa è sempre mia, ma non posso dissodare la terra che non mi appartiene e non posso tirarla in testa a chi mi pare. Questa la definizione.»
«Dopraho, ho fatto giurisprudenza. So cos’è la proprietà!»
«Ottimo! Differenza fra proprietà e possesso?»
Scena muta.
«Allora cambiamo domanda: quand’è che sono proprietario di una cosa?»
Pottutto si perse nel paesaggio agreste che Manganello stava disegnando.
«Quando la realizzo, tipo mi costruisco la zappa, oppure quando me ne impossesso, tipo la compro. Nel momento in cui entra nella mia disponibilità diventa un mezzo che utilizzo per conseguire un fine, cioè uno strumento funzionale a una mia utilità. Senza la zappa non potrei tagliare i rami e se non taglio i rami non posso scaldarmi, ad esempio. Attraverso la proprietà, pertanto, soddisfo un bisogno pratico ma anche, oggi direi soprattutto vista la narcotizzazione consumistica, mentale.»
«Sul prossimo argomento mi faccia una cortesia…» intervenne Pottutto.
«Dica!»
«Evitiamo il cappello che…»
«Ma è la parte più divertente!»
«Lei si diverte?» chiese a Manganello.
«Eccome no. Sono tre ore che rido!»
«Detto che la proprietà è un mezzo per un fine e che i fini si reiterano all’infinito, occorre che qualcuno provveda al suo mantenimento, al suo sviluppo, alla sua difesa, eccetera. E poiché del proprietario si può dire tutto ma non che non sia generoso, lascia siano altri a lavorare. Si crea così un dominio degli uomini sugli uomini che, aggiunto a quello sulla natura, provoca la catastrofe umana e ambientale che stiamo vivendo. Non esistono soluzioni intermedie: l’abolizione della proprietà è l’unico modo per fermare questo delirio di onnipotenza!»
«In che senso?»
«La proprietà non deve esistere. Abolita. Cancellata. Tanti saluti e arrivederci!»
«Ma se la abolite, i bisogni…?»
«Occorre distinguere fra bisogni primari e non. Mangiare, vestirsi, svagarsi, stare con gli altri, eccetera sono bisogni essenziali che l’anarchia non nega a nessuno, anzi favorisce in quanto funzionali al perfezionamento della personalità. Perché ciò sia possibile deve però cambiare il rapporto con le cose, il valore che attribuiamo loro: utile è ciò che consente di vivere in armonia col mondo, superfluo è ciò che crea schiavitù fisica e mentale.»
«E chi stabilisce se una cosa sia superflua o no?»
«Gliel’ho appena spiegato!» replicai irritato. «L’uomo si perfeziona e si compie quando vive spontaneamente in armonia con se stesso, con gli altri, con l’ambiente. Il resto è dannosa banalità. Per questo l’anarchia che voglio propone un’esistenza semplice in cui si privilegi la relazione personale e la connessione con la natura. Un progetto spirituale prima ancora che materiale, in cui l’estasi si ottiene per sottrazione, non aggiungendo. Bisogna essere nudi per essere se stessi! Come diceva Proudhon: è sufficiente possedere quel tanto che basta per essere liberi perché una volta soddisfatti i bisogni elementari si ha il tempo di coltivare la propria mente e la propria sensibilità1»
«Su questo avrei qualche dubbio!»
«Conosce qualche ricco che è felice?»
«La sua è tutta invidia!»
«Mai provato questo sentimento!»
«Neanche un pochino?»
Arrossii: «In effetti, una volta. Quando dal traghetto ho visto i delfini piroettare fra le onde… Non mi ci faccia pensare che mi commuovo ancora!»
Il pubblico ministero si grattò nervosamente la barba liberando una mosca rattrappitasi nei riccioli.
«Ma se abolite la proprietà, a chi appartengono le cose?» chiese.
«Sono di tutti e di nessuno.»
«L’avevo detto che sono comunisti!» esultò Manganello.
«Nella società anarchica, a parte i prodotti di esclusivo uso personale, i beni appartengono a tutti e tutti li producono, li gestiscono e ne dispongono in base agli accordi. Si chiama comproprietà. Quelli in eccedenza vengono distribuiti equamente, quelli accessori vengono spartiti fra i membri attraverso il dono o la permuta. Non c’è un’entità superiore che decreta dall’alto. La scelta è volontaria. Esclusivamente personale. Per questo non siamo comunisti!»
Mi restituirono due facce da cane a cui è stata tolta la ciotola.
«Non c’è bisogno di delegare chicchessia. Si concorda cosa, quanto, come produrre per se stessi e per gli altri. Che siano mezzi di trasporto, elettrodomestici, abitazioni, terreni o quant’altro, tutto è comunione!»
«Non riuscirete mai a eliminare la proprietà!» rugliò il pubblico ministero.
«Intanto cominciamo dalla nostra, senza la quale anche la vostra perde di valore!»
«E vorreste cambiare le cose così, di punto in bianco?». Si protese verso di me: «Mi perdoni. Glielo chiedo perché… sa ho appena comprato casa!» sussurrò in maniera che Manganello non udisse.
«Assolutamente no! Come diceva Goodman: i cambiamenti possono essere a spizzichi e non drammatici, ma devono essere essenziali2. Per questo creiamo comunità clandestine che erodano lentamente il sistema» dissi candidamente.
«Ma senza proprietà…?»
«Mi dica un solo motivo per cui è utile?» lo incalzai.
Seguirono secondi di silenzio assoluto, sguardi fuggevoli, contrazioni muscolari. «Se io sono proprietario di un bene posso trarne un’utilità immediata, senza mediazione di cose o persone…» biascicò Pottutto.
«E posso fare di essa quello che voglio!» seguii. «Ma a parte ricordare le definizioni di diritto assoluto e il diritto soggettivo studiate sul Trabucchi…?»
«Edizioni Simone3».
«Non importa!» lo tolsi dall’imbarazzo. «Il punto focale è che la proprietà favorisce il più forte e impedisce la realizzazione delle potenzialità individuali sfruttando e corrompendo con l’illusione della materialità. Conviviamo con essa dal momento in cui veniamo al mondo. Esattamente come la schiavitù. Per questo deve essere abolita. Ma non attraverso l’espropriazione suggerita da Bakunin, o la presa di possesso di Louise Michel, tanto per fare dei nomi, che genererebbero nuove autorità verticistiche, bensì attraverso la comproprietà in cui tutti siano attori e non fruitori, parimenti partecipi e responsabili.»
«Adesso voglio un nome. Me l’aveva promesso!»
«Uno a caso?»
«Mi accontenterò del primo che le viene in mente!»
«Adele!»
«Adele?». Pottutto scattò sugli attenti. «Chi è questa Adele?»
«E che ne so. È il primo nome che mi è venuto in mente!».
NOTE
– 1 P. J. Proudhon, La guerra e la pace, 1861.
– 2 Il Manuale di diritto privato di Torrente-Shlesinger è forse il testo più usato nelle Università. Quello delle Edizioni Simone è meno tecnico e più facile. Gli studenti dicono di studiare sul primo, ma non è vero. Intorno alla cinquantesima pagina chiedono ai genitori di comprare il secondo!
– 3 Paul Goodman, Individui e comunità, 1995.
Editing a cura di Costanza Ghezzi.
In foto: Gustave Dorè, Amore riflette sulla morte, 1875