SPIRITO GUIDA

L’uomo è uno sterminatore cinico e spietato. Cinico in quanto il profitto lo deresponsabilizza moralmente da ogni malversazione compiuta. Spietato perché è disposto a realizzare le più terribili nefandezze per conseguirlo. Non è per caso che sta in vetta alla piramide evolutiva!

Una volta faceva le guerre. Un re voleva conquistare un territorio, mandava un paio di messaggeri al suo omonimo: «ti arrendi?» «No!» «Allora io stermino te e la tua gente!» E finiva che uno dei due vinceva e i sudditi dell’altro venivano schiavizzati. Tutto molto elementare. Poi però razziare e massacrare umani è diventato ordinario, quasi monotono come un rituale religioso. Così ha sentito il bisogno di alzare il tiro. E siccome nessuno sapeva dove Dio si nascondesse, ha preso di mira ciò che ne eguagliava l’assolutezza: la natura. Non che essa fosse esente dalla sua prepotenza, la domesticazione risale infatti al momento in cui ha smesso di rallegrarsi di ciò che offre la terra, quando era nomade, per produrre in base ai propri interessi, quando è diventato stanziale. Ma il suo dominio si limitava a recintare un terreno e sfruttarlo per dimostrare a tutti la propria autorità sugli animali, sulle piante e sugli uomini. Compreso che la sua distruzione, oltre a dare autostima, era profittevole, è nata la civiltà moderna così come viene insegnata dalla storiografia ufficiale.

Gli effetti di queste dinamiche sono sotto gli occhi di tutti. Dal mangiare ai vestiti, dai mezzi di trasporto alle abitazioni, dal tempo libero al lavoro, dalle infrastrutture allo sfruttamento delle materie prime, come l’uomo civile agisce, contribuisce al disboscamento di una collina, alla contaminazione di una falda, al massacro di una specie, all’avvelenamento del suolo, del mare, dell’aria, alla violenza universalizzata. Oggi come non mai il progresso, inteso come mercantilismo, industrializzazione, globalizzazione, consumismo, tecnologia e quant’altro venda come benessere le prigioni di vetro in cui viviamo, le distese di cemento in cui ci perdiamo, l’inquinamento causato per generare energia che dovrebbe accendere la vita e, più in generale, tutto ciò che è sofisticazione, genera devastazione e morte.

Imputare la catastrofe alla sola economia è sviante. Se l’uomo comune è disposto a tutto per il profitto, figuriamoci l’imprenditore che è predatore per natura. Tantomeno si può colpevolizzare la politica, che già si impegna a trovare alternative alla distruzione in atto che non riducano i guadagni di chi la foraggia.

La responsabilità è delle persone così dette perbene, che potrebbero scegliere e non lo fanno. Accettano di essere manipolate e obbediscono alle imposizioni perché nell’asservimento utilitaristico valorizzano esistenze di cui altrimenti non saprebbero che farsene.

Si vantano di essere razionali, ma la ragione non le induce a riflettere, vergognarsi, redimersi fuggendo dall’immoralità, contrastandola, negandola. Le porta invece a orientarsi, scegliere, partecipare all’omologazione standardizzante, selezionando con cura le prede e uccidendole con maggior perizia. In un contesto fondato sulla disumanizzazione sentimentale, però, a forza di conformarsi all’artificiosità, non a caso antitetica alla spontaneità, hanno perso qualunque parvenza di empatia verso le volontà del mondo, quelle stesse con le quali per millenni l’uomo si è relazionato amichevolmente, talvolta si è scontrato, ma di cui sempre ha avuto rispetto perché indispensabili alla sua stessa esistenza, al suo benessere, alla sua felicità.

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Animali e piante non possono impedire la catastrofe. La natura ogni tanto reagisce scatenando le sue forze quasi sperasse nel ravvedimento del folle. Ma non si è mai visto un pazzo ammettere la sua pazzia. Discuterne ancora, oltre a sembrare un trito esercizio retorico, prova quel distacco tipico di quando le persone ignorano la gravità della situazione di cui parlano. Anche gli isolati gesti ribelli si dimostrano inefficaci di fronte all’uniformante cupidigia. La verità è che il progresso è irreversibile e inarrestabile perché l’individuo moderno ne è inconsciamente soggiogato e razionalmente partecipe.

Finché il profitto guiderà le azioni umane, sfruttamento e distruzione saranno pratiche necessarie alla civilizzazione. La devastazione invece che cessare, aumenterà progressivamente, silenziosamente, inesorabilmente. Detta in altro modo: se l’uomo non rompe con l’ordine esistente, si fonde con la natura gioendo di quanto offre, appropriandosi della sua multidimensionalità, identificandosi nella sua molteplicità, esaltandosi nello scambio reciproco dei doni, se non trova se stesso e si realizza attraverso connessioni simbiotiche che gli consentono di essere anziché dover essere, la violenza presto finirà perché non ci sarà più niente da violentare.

La soluzione è semplice: smettere di collaborare col dominio e contrastare con azioni dirette e antagoniste le istituzioni economiche, politiche, sociali, morali in maniera da fiaccarlo, snervarlo, logorarlo, eroderlo lentamente. Al contempo, creare realtà senza proprietà, profitto, competizione, mercato, tecnologia, governo, morale e tutte le altre superfluità spacciate come necessarie dalla società del dominio. Unirsi in aggruppamenti clandestini di piccole dimensioni, nomadi, autogestiti, autarchici, in cui si pratichi la cooperazione, la condivisione, la reciprocità, la solidarietà, il minimo necessario e dove l’etica fusione con la natura consenta di sviluppare connessioni affettive con i suoi elementi. Un’umanità finalmente libera in un mondo che è stato libero finché l’uomo non se ne è separato per impossessarsene.

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Se al termine “uomo” sostituisci quello di cane, muflone, giraffa, lombrico oppure ulivo, felce, baobab, pino ma anche sasso, minerale, cielo, mare e così via, il risultato non cambia. Perché la natura è volontà universale costituita dalle infinite volontà che la compongono, che plasmano e da cui sono plasmate attraverso l’interazione inesauribile. Essa è un corpo indiviso, una “intelligenza collettiva”, dove le singolarità si influenzano casualmente ma incessantemente, ognuna con una propria volontà che la anima e diventa azione, attiva o passiva, attraverso la forma di cui dispone. In questa simbiosi reciproca non c’è domesticazione, ma esplorazione selvatica, irrefrenabile di istinti, passioni e desideri che si mischiano, contrastano, si incontrano e si fondono.

Ma perché l’individuo partecipi a questa dinamica universale, deve autodeterminarsi. Agire completamente libero di esprimere la propria vitalità. Senza vincoli predeterminati e senza paura, quella dannata emozione inculcata dall’autorità perché ciascuno abbia bisogno di sentirsi dire cosa fare.

Solo liberalizzando le pulsioni primordiali è possibile distruggere il dominio ed essere se stessi. Esattamente come le molteplicità partecipano alla processualità delle vita. Per questo in natura non c’è gerarchia: siamo volontà primitive in divenire che si incontrano con altre volontà selvagge in una fusione in continuo movimento. Che sia alga marina, leone, sequoia, verme, umano o roccia “così fredda, così dura, così prosciugata, così refrattaria, così totalmente disanimata”1, ciascuna entità possiede una propria seità che è volontà di partecipare al divenire universale, l’essenza della vita.

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Il benessere proposto dalla modernità è una finzione. Una gabbia che impedisce di accedere alla libertà concessa dal creato. Bisogna quindi rompere con ciò che siamo per diventare ciò che vogliamo essere. E vogliamo essere selvaggi!

La civiltà non è rimbecillire davanti a uno schermo, pagare un mutuo, lavorare per consumare, sottomettersi al dovere per tornaconto mancanza di alternativa o viltà. Civiltà è realizzare la propria personalità per ciò che è. E può essere se l’ambiente non la corrompe.

Per questo l’anarchico ha scelto di riappropriarsi di sé e condividere con gli esseri del mondo la meraviglia dell’esistenza. Vuole godere di relazioni simbiotiche in cui le differenze perfezionino l’identità. Un’affettività pura, sincera, spontanea, senza impedimenti, senza vendersi o vendere, comprare, desiderare, senza recinti, senza domesticazione, senza dipendere o obbedire, senza sfruttare, mortificare, violentare, uccidere. Un uomo finalmente guidato dall’armonia universale che ora raccoglie, ora caccia, ora divide le eccedenze, ora riposa, ora interagisce con il gruppo, ora condivide, aiuta, protegge, ora ozia, ora esplora per conoscere e scambiare i doni, esattamente come la terra insegna. E a tarda sera, davanti al fuoco, cantare le lodi di tanta opulenza.

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Ma se questa affettività per molti è un’attitudine, per la maggioranza dei refrattari è una conquista. Affrancatosi dalle pastoie sociali spesso il libertario è talmente intontito dalla civiltà che deve imparare a dialogare con le cose. Un dialogo che non è fatto di parole, ma è gestuale e sensuale. Ẻ istintuale e spontaneo. E consiste nel connettersi con le volontà altre fino a fondersi con esse. Per chi non è abituato all’inizio può sembrare difficile, ma non deve scoraggiarsi. Ogni fallimento aiuta a penetrare la profondità dell’esperienza.

Un supporto straordinario può essere trovare quello che chiamo spirito guida, cioè un’entità che incoraggi e faciliti la connessione con l’alterità.

Vogliamo provare?

Prendi quell’albero in giardino. Se il civilizzato lo guarda e pensa a uno sgabello o una mensola, tu che sei un libertario subisci il fascino della natura e istintivamente ne rimani colpito. Osservalo con attenzione. Segui la sua chioma mentre oscilla al vento. Ascolta il fruscio delle foglie. Vibra con esse mentre captano la luce. Sfioralo, toccalo, abbraccialo a occhi chiusi. Senti il fremito? Non temere di perdere coscienza, è la tua volontà che attraversa la corteccia. Ora scorre nell’alburno, dove fluttua nei vasi conduttori che portano la linfa, scende e penetra il durame fino al midollo e poi si irradia nella terra attraverso le radici. Lo so, vorresti grattarti perché quelle formiche ti danno prurito, ma ormai la metamorfosi è compiuta.

Vogliamo provare con un animale o preferisci un sasso?

Sapevo che sceglievi Darko!

Guardalo mentre saltella felice. Concentrati profondamente sul suo corpo. I suoi movimenti. La sua gestualità. Cancella i pensieri! Che intorno si oscuri e condividiate l’attimo. Lo senti di nuovo il fremito? Adesso non percepisci più la consistenza della tua materia perché vedi con i suoi occhi, respiri con la sua bocca. Le gambe zampettano, il ventre sobbalza, il cuore batte. Ora sai cosa pensa, sei la sua stessa volontà. Insegui la farfalla. Annusi l’erbetta. Fai pure una pisciatina. Poi ti lanci la palla e così corri, la raccogli e te la riporti per dimostrarti che sei un bravo cane. E corri ancora. E saltelli di gioia. E ti accovacci fra le tue gambe. E sollevi il muso perché non puoi fare a meno del grattino. E appoggi la testa al tuo polpaccio prima di socchiudere gli occhi. «Ecco, bravo. Accarezza proprio lì!» mugoli. E come sei felice quando ti dici che ti vuoi bene…

Te l’avevo detto che è facile connettersi con le entità del mondo!

In fondo basta solo dare amore.

Immagine: U Konen, Sciena notturna, 1928

NOTE

*1 Poesia di Ungaretti: Sono una creatura, da Il porto sepolto, 1916.