COSCIENZA DELLE PIANTE O INGNORANZA UMANA?

In più di un’occasione ho affermato che il primato umano è un’invenzione della società del dominio in virtù del quale essa si arroga il potere di sfruttare e distruggere per soddisfare i propri interessi senza sensi di colpa.

Una volta la legittimazione dell’arbitrio era metafisica. Dio ha creato il mondo poi gli uomini, dopodiché ha detto: “riempite la terra, soggiogatela e dominate i pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra”1 affinché lo governassero come bravi amministratori2. Ogni tanto c’era qualche ribelle come San Francesco che ribaltava il tavolo sostenendo che la natura è “nostra sorella madre” che “ci sostiene e ci governa”3, ma ormai la frittata era fatta. L’uomo aveva asservito l’ambiente alle sue necessità, i viventi ai suoi servigi, i propri simili alle sue meschinità. E quando la teologia non ha retto l’urto delle innovazioni scientifiche, l’antropocentrismo utilitaristico è diventato il principio ispiratore di ogni pratica umana: dal Big Bang sono nati gli atomi, poi le galassie, le stelle e i pianeti e quattro miliardi di anni fa circa il primo organismo da cui discende anche l’individuo, l’essere più efficiente, produttivo e performante della terra. Hanno omesso il più obbediente perché non faceva figo.

Che il primato fosse merito di caratteristiche biologiche come lo sviluppo encefalico o la stazione eretta, del linguaggio del sé narrativo o della capacità di pensiero astratto, dell’attitudine ad associarsi con intenzionalità condivisa o dell’abilità a sfruttare la cultura cumulativa, con la teoria evoluzionistica il narcisismo antropocentrico era salvo. E pure apodittico, perché spogliato della metafisica e della teoretica, si affidava all’infallibilità del metodo scientifico. Una credibilità conquistata sul campo grazie alla prodigiosa capacità di trasmettere il sapere provvisorio come assoluto, di dissimulare i profitti come interesse pubblico e di elargire progresso in cambio di qualche cavia. Un rapporto costi-benefici che i signori non potevano ignorare e i sempliciotti dovevano assecondare perché quello sanno fare.

Oggi la scienza afferma che l’uomo è il numero uno in quanto l’evoluzione lo ha reso l’essere più intelligente. Sancendo una dicotomia insanabile con il sensibile, la ragione diventa verità a cui sottomettere il resto. L’unicità sta nel pensiero. Un privilegio di cui gli animali non dispongono perché per obbedire hanno bisogno della frusta. Quanto alle piante, sono talmente refrattarie che bisogna abbatterle. E se il cogito ha sempre ragione, i crimini che giustifica sono sempre giusti.

Mettere le sue facoltà a disposizione del bene infatti sembrava patetico, meglio utilizzarle per raffinare la violenza. Non quella spontanea e tollerata in natura perché funzionale alla sopravvivenza, bensì quella razionale, che concepisce la realtà come mezzo per un fine. Che porta alla sopraffazione fisica e psicologica, all’annullamento dell’alterità per appropriarsi della sua sovranità e trarne vantaggio. E così si è passati dall’industrializzazione alla tecnicizzazione globalizzata, dalle volgari catene al più raffinato allevamento intensivo, dall’emancipazione alla catastrofe in un batter di ciglio!

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Se l’intelligenza umana lascia qualche perplessità, non ci sono dubbi su quella degli altri esseri viventi.

La prova? Semplice, non agiscono per profitto, non accumulano banalità, ma vogliono vivere.

Il batterio Escherichia coli decodifica gli impulsi adattando il proprio metabolismo all’ambiente esterno. Gli elefanti posseggono un’eccezionale memoria. Le formiche sono socialmente organizzate. Le piante sono dotate di sensi, si riproducono, si difendono, cooperano, interagiscono, hanno simpatie e antipatie, posseggono coscienza dell’ambiente e dell’alterità. E poiché non credo che queste capacità siano attivate da un tizio in una cabina di pilotaggio tipo Haran Banjo nel Daitarn III, il monopolio umano dell’intelletto è una farsa. Di sicuro l’uomo è capace di realizzare grattacieli, ponti, monumenti, opere d’arte, bombardieri tascabili, mentre gli altri viventi no. Ma attribuire queste doti a una presunta superiorità distorce l’evoluzione e la reinterpreta dal suo esclusivo punto di vista. Anche il mio cane vede il mondo dalla sua prospettiva, ma non pretende di essere migliore di me!

Questo pregiudizio culturale ignora l’evidenza empirica per la quale ogni essere possiede specifici bisogni e funzioni e si è evoluto per soddisfarli nella maniera più efficiente possibile. Ne consegue che l’umano rappresenta solo una delle infinite forme di vita possibili, che si è sviluppata e si svilupperà né più né meno, né meglio né peggio, bensì adeguatamente alle sue necessità biologiche.

A dispetto di questa evidenza però, l’uomo continua a guardarsi alla specchio e canticchiare: «Oh, come sono bello! Oh, come sono intelligente!» Ignorando che visto da una formica, una farfalla, un faggio o una trota è nient’altro che un essere stupido, limitato, violento, un fastidio di cui gli altri esseri farebbero volentieri a meno.

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Ho detto che l’evoluzione è ancora in corso.

Peraltro, come la storia dimostra, ciò che oggi sembra verità, domani sarà motivo di ludibrio.

Sappiamo infatti che il cervello è costituito da strutture e nervi che comunicano attraverso le sinapsi. Controlla i pensieri, la memoria, il linguaggio, i movimenti, gli organi. Parliamo invece delle sue potenzialità con ipotesi e suggestioni.

La teoria dell’intelligenza multipla4, ad esempio, lascia pensare che l’uomo disponga di potenzialità ignote che gli consentirebbero di realizzare attività allo stato inimmaginabili o di concepire realtà inspiegabili. Prendi il multiverso5, cioè la possibilità che esistano altri universi fuori dal nostro spazio-tempo che si sovrappongono fra loro. Se un domani venisse sperimentato che il principio vale anche per il tangibile, ovverosia che esso è costituito da dimensioni parallele non comunicanti e contraddistinte da peculiari dinamiche al loro interno, e se venisse verificato che la mente è in grado di percepirle, di identificarle, di viverle, ciò che adesso viene considerata superstizione diverrebbe realtà. Penso all’attività sciamanica che, guarda un po’, viene praticata dai nativi di tutto il mondo che abitano lo stato di natura, quell’ambiente puro dove l’istinto, il sensibile, non il pensiero, definiscono la conoscenza.

L’intelletto è un paraocchi che nasconde la verità. Però consente alla carrozza di andare dove vuole il cocchiere. Esso opera attraverso processi analitici-teleologici in cui l’azione è funzionale a un fine. Fine che è sempre il profitto. E finché esso determina le scelte, l’umano sarà un alienato che trova autostima nel distruggere per realizzarlo.

Potrà tornare ad essere padrone di sé solo quando l’istinto prevarrà e agirà spontaneamente come accade per i non umani. Se in loro esso prevale sul giudizio non è perché sono inferiori, ma perché sanno, lo hanno capito molto prima di noi, che fondendosi nell’armonia naturale, cooperando nella meravigliosa biocenosi che è il mondo, realizzano il benessere universale. Soltanto chi rinuncia, scelta razionale, ai desideri effimeri e si unisce, azione spontanea, al tutto può essere davvero felice.

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Oltre all’argomento evoluzionista, umanisti, scienziati e altri burloni ancora asseriscono che l’uomo sia l’unico essere vivente dotato di anima. I nostalgici sono fantastici. Cade un regime e persuadono i rivoluzionari a ripristinarlo con forme diverse!

Con il termine anima si considera quella forza vitale insita in ogni essere vivente sede di sentimenti, pensieri, coscienza, che si esprime attraverso il corpo. Il platonismo, la cristianità e il razionalismo la concepiscono come qualcosa di immateriale che aspira all’intellegibile, si tratti di idee o Dio. Ignorano però che ogni organismo è volontà di vivere cosciente e agente. Ovviamente si tratta di coscienza e azione funzionali alla perpetuazione della vita, per cui adattata alle specifiche peculiarità fisiologiche.

Gli animali si dimostrano consapevoli di sé, del mondo, delle interazioni in virtù della sensibilità, affettività, docilità, collaborazione. Altrettanto vale per le piante, la cui reattività, adattabilità, interconnettività non sarebbe possibile se il loro anelito di vita ignorasse le sfaccettature del sé e dell’alterità. Se i reazionari negano che gli uni e gli altri posseggano autocoscienza è per continuare a soggiogarli ed evitare che altri esperti sottraggano loro il potere acquisito. Le loro argomentazioni astratte e i loro esperimenti manipolati sono fuffa! Cionondimeno la collettività pende dalle loro labbra e continua a considerare le piante insensibili, inanimate, inutili, mero ornamento. Più fortunati sono gli animali, con i quali negli ultimi anni il rapporto si è addolcito limitandosi allo sterminio di quelli da profitto.

Ha ragione Stefano Mancuso: se l’uomo incontrasse un extraterrestre probabilmente non saprebbe riconoscerlo6. Associa infatti l’intelletto all’esistenza del cervello e siccome i vegetali ne sono privi, non sono intelligenti.

Ma essi sono organismi differenti, decentralizzati, senza organi, che risolvono i bisogni attraverso strutture diffuse, distribuite nel corpo così da risolvere problemi, soddisfare bisogni, preservare la vita per quelle che sono le loro peculiarità. La loro attività è olistica, non riduzionista. Operano orizzontalmente creando connessioni reticolari. Comunicano, si riproducono, si manifestano, quindi sono dotati di sensi e intelligenza come qualunque altro essere vivente. La loro volontà possiede un io narrativo, si chiami coscienza o come si preferisce, che si replica nelle infinite semiosi, che è tangibile in quanto effettuano scelte in base alla necessità e che è morale giacché hanno acquisito che cooperare fra loro nel divenire armonico perpetua la vita.

Insomma, oltre a essere più tolleranti, collaborative e, mi permetto, belle degli umani, le piante sono più efficienti, performanti e produttive. Poiché però sono anche indispensabili all’esistenza, sarà mica che l’uomo le soverchia oltre che per interesse, per affermare la propria autostima?

Capire come reagire a queste perversioni culturali non è facile. Soprattutto in una società orgogliosa di sacrificare il bello al superfluo.

Forse bisognerebbe partire dai bambini, che hanno ancora la mente inviolata.

Il primo giorno di scuola il maestro dovrebbe entrare in classe, fare l’appello, invitarli ad aprire il sussidiario finché non trovano le pagine che parlano dell’Umanesimo. Lasciati alla loro creatività, disegnerebbero gli occhiali, i baffi, il moccico che ciondola dal naso e un pisello elefantiaco all’Uomo vitruviano7 di Leonardo. «Ben fatto!» poi dovrebbe gratificarli.

Dissacrare l’umano quale “misura del mondo” non cambierà le cose, ma un bel vaffa alla cultura antropocentrica sarebbe sicuramente un ottimo inizio.

NOTE

*1 Genesi 1,28.

*2 Luca 19,12; Matteo 24,45.

*3 San Francesco, Cantico delle creature, composto intorno al 1224.

*4 La teoria delle intelligenze multiple è formulata da Howard Gadner e ricomprende l’intelligenza linguistica, musicale, logico-matematica, cinestetica, interpersonale, intrapersonale.

*5 Proposto per la prima volta da Hugh Everett nel 1957.

*6 Stefano Mancuso, Fitopolis la città vivente, Laterza, 2023

*7 Disegno realizzato da Leonardo da Vinci intorno al 1490 e conservato presso la Galleria dell’Accademia a Venezia.

Immagine: Egon Schiele, Quattro alberi, 1917,