IL SUICIDA E’ PADRONE DI SE’ MA NON E’ UN LIBERTARIO

IL SUICIDIO NELLA SOCIETA’ DEL DOMINIO

Il vuoto interiore non può mai sanato dalla compulsione carnale. Nell’ebrezza orgiastica il sé non emerge nella sua volontà di potenza in quanto gli impulsi sono sollecitati esclusivamente dal desiderio e verso il desiderio destinati, per cui il godimento non è spontaneo e imprevedibile, non inonda di meraviglia, ma è determinato da un bisogno riflesso. E se con i rituali dionisiaci almeno si chiavava irrefrenabilmente, la grossolana materialità moderna schiavizza inesorabilmente rendendo l’esistenza un inutile transito.

Non che la vita sia un dono. Non c’è niente di mistico nel nascere e non è poi così terribile morire. Gli esseri del mondo sono volontà che si rigenera attraverso la materia. Materia che evolve in materia, che perisce diventando altra materia. Adesso ha sembianze umane, poi sarà pianta, animale o roccia, comunque involucro con cui essa si manifesta, muta, diviene. Una forma di cui, pur consentendo ai desideri, alle sensazioni, ai pensieri di essere unici, si serve per interagire con l’alterità e compiersi nella processualità universale. Insieme creano la personalità, ma la morte fisica non le impedisce di rigenerarsi sotto altre sembianze. Quando il corpo diventa inservibile perché malato o viziato, oppure alterato dalle contaminazioni mondane, non reagisce alle sollecitazioni vitali o non riesce più a stimolarle, abbandonarlo per trovarne un altro diventa una scelta rigenerativa.

Cosa ne sanno gli uomini civilizzati del fiore anzicioco che si lascia morire quando sente avvicinarsi il fruscio della falce, oppure delle termiti kamikaze che eroicamente si fanno esplodere contro il nemico!

L’ordine costituito pretende che l’individuo si subordini all’interesse collettivo, che è interesse di chi lo governa. E la supremazia di un padrone si misura sempre dal numero di schiavi che possiede.

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A questo servono le religioni, che concepiscono la morte come un portale, anziché un comunissimo evento fisico. Con un dio, qualunque dio, proprietario e padrone della vita, all’individuo non rimane che maneggiarla con cura per non farlo arrabbiare e il suicidio diventa un affronto imperdonabile al suo dominio. La Bibbia lo aborrisce perché chi uccide se stesso uccide un uomo1, cioè l’essere che Egli ha creato a sua immagine e somiglianza2. E quando domanderà conto della vita dell’uomo all’uomo3, sarà meglio che trovi una scusa credibile. L’islamismo, il competitor monoteista più agguerrito, non è meno intransigente4. Quando invece il senso di colpa non è un dogma, come avviene per gran parte dei sincretismi orientali, la naturalità delle cose si scontra con l’artificiosità imposta e capita che, se qualcuno dice «vado a fare due passi!», i familiari lo fissino coi lucciconi.

Il disinibito uomo moderno ha sostituito le religioni con teismi più pragmatici, capaci tuttavia di conseguenze non meno devastanti. Statolandia ci chiama cittadini, ma ci tratta come servi. La Scientocrazia ci battezza uomini, ma reclama cavie. La prima si impone in nome di un bene comune che realizza il tornaconto dei Grandi Affari. La seconda subordina al progresso, che realizza ancora il loro profitto. Sempre lì si torna!

Entrambe non accettano che l’individuo possegga il proprio corpo, quindi la propria vita. Una lo assoggetta alla sua autorità limitando la possibilità di disporne, l’altra ne riconosce il primato perché da morti non si può produrre e consumare. Così il suicida diventa un povero disadattato affetto da terribili disturbi psicosociali perché non accetta il sistema che gli viene imposto con serena rassegnazione o rampante entusiasmo5. E, beffa nella beffa, deve sorbire l’invadenza del salvatore di turno che diventa eroe perché non si è fatto i cavoli suoi.

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Le motivazioni personali che inducono al suicidio servono ai familiari e agli amici per non sentirsi in colpa. Prevenirle invece è il proposito di chi non accetta che qualcuno si sottragga al suo controllo. Il dolore fisico, il disagio sociale, le patologie psichiche, gli eventi nefasti, le esperienze traumatiche e quant’altro sono tutte fandonie dietro cui si cela la vera causa di ogni sofferenza: la paura di morire.

Ogni essere vivente teme la morte. Ma mentre i non umani combattono per la vita e se capita è nell’ordine delle cose, l’uomo non la comprende e così la esorcizza ideando metafisiche consolatorie o tangibilità di facile consumo. E ai molti esclusi da questa allegra baldoria non rimane che la speranza, sempre a buon mercato e di cui chiunque può disporre senza rischiare di essere menato dai mastini. Quando Tomas Shelby va a trovare l’amico Barney in manicomio e gli chiede il motivo per cui non vuole morire nonostante non veda la luce da anni, questi risponde: “Perché le cose potrebbero cambiare!”6. All’isolamento e alla fine certa oppone quello slancio emozionale che proietta il sé in una suggestione, l’eventualità favorevole idealizzata, subordinando l’empirico all’immaginifico, il reale all’illusione. Ẻ un atto di fede. Una dissonanza cognitiva che il suicida, esattamente come il libertario, non può accettare. Lo spirito di entrambi è, infatti, completamente immerso nella realtà. Per loro vale quello che dice il saggio: ieri è storia, domani è mistero, ma oggi è un dono. Per questo si chiama presente7. Invece di prendere il dono però, si donano.

Esattamente come il libertario, chi si toglie la vita possiede, consapevolmente o meno, la profonda percezione di essere atomo imprigionato nella roccia che, una volta liberato dalla radice di quercia, viene gettato nel mondo delle creature viventi e aiuta a costruire un fiore, che diventa una ghianda, che ingrassa un cervo, che nutre un indiano8, in un ciclo continuo ed esaltante. Si fa beffe dei personalismi che mirano l’utile, dei pregiudizi, delle imposizioni, della morale religiosa e sociale che impongono l’uniformazione, della legge che lo vuole sottomesso alla sua autorità onnipotente, degli affetti perché non esiste che uno passeggi per strada e improvvisamente dica: «sai che faccio, mi butto dal ponte!», poi si butti davvero.

Chi si toglie la vita ama i propri cari ai quali lascia il ricordo e il creato a cui dona le membra. Rompe invece con l’ordine esistente perché è così padrone di sé da voler trasmettere la morale della rinascita. La sua volontà è pura, proprio come quella del libertario. E proprio come per il libertario essa si perfeziona tornando alla natura. Ma per il primo, il processo non si compie attraverso l’identificazione nel tutto. La volontà recede dalla sua stessa indole preferendo trasformarsi anticipatamente anziché esaltarsi nell’unione. La sua è pertanto una scelta remissiva dettata dal bisogno di evitamento che sorge dopo aver ignorato, rinunciato o, addirittura, fallito il tentativo di essere felice. Il suo gesto è ribelle, ma privo di quell’audacia che lo renda possente. Perché ce ne vuole parecchia per rinunciare a ciò che si crede di essere per diventare ciò che si è.

Ẻ come l’uccellino uscito dalla gabbia che non riesce a volare. Indietro non torna e davanti ha lo strapiombo. Ora guarda davanti, ora guarda dietro. Ora scuote le ali, ora fissa il vuoto sapendo di non avere alternative all’inevitabile.

NOTE

1- Sant’Agostino, De Civitate Dei, 1,20.

2- Genesi 1,26, 27.

3- “Dal sangue vostro anzi, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello” (Genesi 9,5).

4- Sahih Al Bukhar 1365, libro 23, Hadith 117. Dice infatti il Profeta che Allah è colui che fa vivere o morire e guai a scalfirne l’autorità perché chi si suicida strozzandosi continuerà a strozzarsi nel Fuoco dell’Inferno (per sempre) e chi si suicida pugnalandosi continuerà a pugnalarsi nel Fuoco dell’Inferno

5- Mentre terapeuti, psicologi, psichiatri si interrogano su come i media riescano a omologare meglio di loro, i sociologi solleticano la responsabilità collettiva attribuendo la responsabilità alla mancata integrazione nel gruppo di appartenenza, così Emile Durkheim, Il suicidio, 1897, i politici perfezionano l’addomesticamento.

6- Peaky Blinders, serie televisiva del 2013.

7- Frase del Maestro Oogway in “Kung Fu Panda”, film di animazione, 2008.

8- Aldo Leopold, Pensare come una montagna, Piano B editore, 1949.