25- STATO – CONTRATTO SOCIALE

 

«Facciamo un break?» disse Pottutto dopo essersi stirato come uno scimpanzé.

«Non vedevo l’ora!». Manganello si alzò trionfante.

«Parlavo di me. Lei controlli gli appunti!»

«Non si preoccupi dottore, Non scappano!». Il maresciallo batté vigorosamente la mano sul blocco.

Il PM lo fulminò. Poi con disincanto tirò fuori dalla tasca della giacca una tazzina di caffè fumante. Lo sorseggiò lentamente chiudendo gli occhi. Si rimise a sedere. Pulì le lenti degli occhiali. «Splendido!» proruppe. «Dov’eravamo rimasti?»

«Allo Stato» dissi.

«Quale stato?»

«Lo Stato!»

«Sì, ho capito, ma quale stato: solido, liquido, aeriforme… Scherzo!». Evidentemente la pausa gli aveva risollevato l’umore. «Come sempre mi raccomando…»

«Dieci minuti?»

«Cinque!»

«Nove!»

«Sei!»

«Sette e accordo fatto!». Sputai nella mano e gliela porsi.

Sputò nella sua e me la strinse.

«Il più grande impedimento all’essere se stessi è lo Stato. Ma cos’è lo Stato?» domandai enfaticamente. «Per Benjamin Tucker Stato è “una parola sulla bocca di tutti, ma quanti di coloro che la usano hanno un’idea di quel che intendono?” Ve lo dico io. Nessuno. E sapete perché? Perché lo Stato non esiste

«Come non esiste?» gorgogliò Manganello. «E chi ci paga lo stipendio?»

«Forse ha ragione». Pottutto tergiversò. «Ha mai visto il signor Stato?»

«Esso infatti è un’entità astratta, impersonale e invisibile che agisce attraverso le istituzioni, gli apparati, l’amministrazione e ogni forma di potere con cui ci interfacciamo e contro cui sovente ci scontriamo. Non c’è una definizione giuridica precisa. Si può però dire che un consesso sociale può autogestirsi, prevendendo l’etica partecipazione di tutti alle sue decisioni, oppure crea strutture che lo disciplinino dall’alto perché chi è in basso è stato educato a pensare di non esserne capace. Lo Stato si può pertanto definire come la forma politico-organizzativa che un gruppo sociale stabilisce per la gestione della cosa comune.»

«E fin qui non mi pare abbia fornito un contributo rilevante alla scienza giuridica!» obiettò Pottutto.

Ignorai il sarcasmo: «Individuata la forma politica, compito di giuristi e filosofi cortigiani è darne una parvenza di ragionevolezza. E se al tempo del monarca assoluto si evocava l’intercessione divina, con lo Stato-nazione il razionalismo illuminista ha giustificato la sua assolutezza attraverso forse il più bell’esempio di fantasia applicata al potere: la teoria del contratto sociale. Una credenza ormai talmente radicata nella coscienza collettiva che ancora oggi viene menzionata dalla dottrina come principio supremo dei sistemi giuridici moderni.»

«La conosco!». Pottutto si esaltò.

«Ottimo. Allora non c’è bisogno che la spieghi!»

«Però non la ricordo!». E a Manganello: «Immagino non sappia neanche di cosa stiamo parlando, vero?»

«E invece sì!». Il maresciallo replicò infastidito. «È quella teoria in cui si stabilisce che le persone si mettono d’accordo per creare un qualcosa…». Qui esitò, «un qualcosa in cui tutti siano d’accordo. Perché è meglio andare d’accordo che litigare. No?».

Il magistrato lo fissò in attesa che si smaterializzasse.

«La teoria del contratto sociale sembra una barzelletta perché tutti, anche i più sempliciotti, soprattutto i più sempliciotti, devono interiorizzarla: l’uomo se abbandonato a se stesso è una bestia stupida e cattiva, quindi ha bisogno di qualcuno che gli dica cosa fare. Questo il principio che si articola in due principali orientamenti: da una parte abbiamo Hobbes, per il quale gli uomini sono brutti, sporchi e cattivi e, se liberi di agire, sanno solo divorarsi gli uni con gli altri. Per cui è necessario che rinuncino alla libertà individuale per conferire al Leviatano il potere di mantenere l’ordine.»

«Esatto. Proprio come ricordavo!». Pottutto proferì convinto. «Poi c’è… Cok o qualcosa di simile, vero?»

«Esatto» dissi. «Il famoso uovo alla coque!» lo dileggiai. «Si chiama Locke. Ricorda?»

«Assolutamente!»

«Vuole parlarcene?»

«È lei il divulgatore, io sono il PM. Rispettiamo i ruoli, per cortesia!»

«Locke sostiene che gli uomini senza legge non sono così male. Sono liberi, uguali, vivono in armonia con la natura e, addirittura, riconoscono, rispettano e tutelano i diritti inviolabili in maniera spontanea. Peccato non siano affidabili. E così anche Locke, che tanto bene era partito, regredisce a sua volta sulla necessità che gli individui si uniscano in una società e che essa deleghi al Principe il potere di imporre e mantenere l’ordine.»

«Un altro Leviatano?»

«Non proprio. Se per Hobbes esso implica un dominio verticistico, dall’alto verso il basso, come può essere il potere di un re, Locke afferma che la società permane anche quando il Principe diventa tiranno o si dissolve. Quindi il Potere è orizzontale.»

«Orizzontale, verticale… in diagonale non c’è niente?» crocchiò Manganello sfrontato.

«Di fatto la teoria del contratto sociale che cementa i nostri sistemi giuridici è puro catechismo, di cui ha il tono e il linguaggio dogmatico, come asseriva Camus2. Si fonda, infatti, su una delega che non esiste. Nessuno ha mai trasferito la propria autodeterminazione al popolo o al governo, nessuno ha mai accettato di rinunciare alla propria identità. Per questo, come diceva Spooner, lo Stato è illegittimo e opera come un bandito di strada che intima alle persone o la borsa o la vita

«Bella questa!»

«Rende l’idea, vero?» dissi. «La teoria del contratto sociale è una superstizione di cui la Costituzione è il simbolo sacro a cui tutti devono prostrarsi. Un dio dei filosofi e degli avvocati surrogato del dio dei sacerdoti, rispetto al quale, però, è molto più autoritario. Infatti, se all’Assoluto si può rifiutare devozione e poi si starà a vedere cosa succede, allo Stato si obbedisce necessariamente per dovere di nascita. È quindi un tiranno con il quale dobbiamo difenderci quotidianamente per salvaguardare la nostra identità. A tal proposito non concordo con Spencer1 quando diceva…»

«Bud Spencer?». Manganello si illuminò.

«No!» dissi. «Benché entrambi detestino gli arroganti!»

«Quello del darwinismo sociale, maresciallo!» notò Pottutto con aria sapiente.

«Proprio lui!» confermai. «Anche se, dopo anni trascorsi a smascherare le vergogne del potere, credo odierebbe chi lo ricorda per una teoria sviluppata in età senile!» sorrisi. «Anche Spencer3 criticava l’imperio statalista, ma non lo escludeva. Proponeva, infatti, di limitare le sue funzioni alla sola sicurezza interna ed esterna e all’amministrazione della giustizia» dissi. «A mio giudizio, neanche la minarchia gli compete. Perché nessuno gli ha conferito l’autorità. Se l’è presa. Ce l’ha estorta e la impone con strafottenza. La verità è che lo Stato è una menzogna spregevole che fa leva sulla buona fede dei sempliciotti: si professa etico in sé pur fondando il suo dominio su un presupposto ingannevole, la delega appunto, peraltro antitetico alla nostra essenza primigenia, che è quella di decidere personalmente. E poiché la legge umana non ha alcuna validità se contraria alla legge di natura, come diceva Blackstone4, è corretto affermare che sia un diritto universale non rispettarla

«Però è grazie alle leggi se lei può parlare anziché essere su un patibolo!»

«Il patibolo ci vorrebbe per questi… il patibolo!» echeggiò Manganello.

NOTE

– 1 Spencer era un giornalista politico dell’Economist quando nel 1853 riceve l’eredità per la morte dello zio che gli consentì di dedicarsi a tempo pieno allo studio che lo porterà a scrivere i volumi di A System of synthetic philosophy.

– 2 Albert Camus, L’uomo in rivolta, Adelphi, 1951.

– 3 Herbert Spencer, The man versus the states, 1884.

– 4 William Blackstone, Commentaries on the laws of England, 1765.

 

Editing a cura di Costanza Ghezzi

 

Le vent nous portera Brano di Noir Désir

Je n’ai pas peur de la route
Faudrait voir, faut qu’on y goûte
Des méandres au creux des reins
Et tout ira bien là
Le vent nous portera

Ton message à la Grande Ourse
Et la trajectoire de la course
Un instantané de velours
Même s’il ne sert à rien va
Le vent l’emportera

Tout disparaîtra mais
Le vent nous portera

La caresse et la mitraille
Et cette plaie qui nous tiraille
Le palais des autres jours
D’hier et demain
Le vent les portera

Génétique en bandoulière
Des chromosomes dans l’atmosphère
Des taxis pour les galaxies
Et mon tapis volant, dis?
Le vent l’emportera
Tout disparaîtra mais
Le vent nous portera

Ce parfum de nos années mortes
Ce qui peut frapper à ta porte
Infinité de destins
On en pose un et qu’est-ce qu’on en retient?
Le vent l’emportera

Pendant que la marée monte
Et que chacun refait ses comptes
J’emmène au creux de mon ombre
Des poussières de toi
Le vent les portera
Tout disparaîtra mais
Le vent nous portera

 

 

 

TRADUZIONE:

Non ho paura della strada

Dobbiamo vedere, dobbiamo assaggiarlo

Meandri nella cavità dei reni

E lì andrà tutto bene

Il vento ci porterà

 

Il tuo messaggio all’Orsa Maggiore

E la traiettoria della gara

Uno scatto di velluto

Anche se è inutile andarci

Il vento prevarrà

 

Tutto scomparirà ma

Il vento ci porterà

 

La carezza e il mitra

E questa ferita che ci strattona

Il Palazzo degli altri giorni

Da ieri e domani

Il vento li porterà

 

Genetica alle spalle

Cromosomi nell’atmosfera

Taxi per le galassie

E il mio tappeto magico, diciamo?

Il vento prevarrà

Tutto scomparirà ma

Il vento ci porterà

 

Questo profumo dei nostri anni morti

Cosa può bussare alla tua porta

Infinità di destini

Ce lo chiediamo e cosa ricordiamo?

Il vento prevarrà

 

Mentre la marea sale

E che ognuno rifai i conti

Mi ritrovo nella cavità della mia ombra

Polvere di te

Il vento li porterà

Tutto scomparirà ma

Il vento ci porterà

24- INGRANAGGI MENTALI: LA SOCIETÀ

24- INGRANAGGI MENTALI: LA SOCIETÀ

«Altro ostacolo alla coscienza di sé è la società» dissi. «Essa è l’insieme di soggetti, solitamente affini per abitudini, cultura, identità, che instaurano relazioni reciproche in maniera organizzata, condividendo scambi, linguaggi, funzioni sociali, regole comportamentali, attività economiche. Può svilupparsi in un dato territorio, oppure, se si tratta di popolazioni nomadi, può mutare di volta in volta. Appena costituita è un’entità viva e fibrillante. Presto però, perde l’effervescenza iniziale e il suo dinamismo si cristallizza in consuetudini e condotte che, nel tempo, attraverso la memoria, le leggende, i rituali, spesso in simbiosi con la religione, diventano un giogo: una costante soggezione che costringe l’individuo nel chiuso di convenzioni morali e di servitù economiche dice Armand.»

«Mi sembra inevitabile, se la società vuole conservarsi!»

«La marmellata si conserva. L’uomo deve evolversi!» rilevo. «Conservare significa salvaguardare, cioè difendere un ordine acquisito in opposizione al naturale divenire delle cose. Che nella società del dominio implica che il più forte padroneggi e spadroneggi all’infinito la massa passiva o beneficiando della sua assuefazione o reprimendola con la coercizione legale o plasmandola attraverso norme interiorizzate come necessarie: la morale sociale. Quest’ultime posso essere regole di buon senso mischiate alle tradizioni, solitamente con funzioni pratiche che sussistono a prescindere dall’egemonia imperante, ma prevalentemente si tratta di regole che richiamano principi, valori e ideologie il cui scopo è difendere l’assetto costituito». Scrollai la testa: «Faccio un esempio banale di come la morale sociale sia ineluttabilmente reazionaria: quando negli anni sessanta le donne cominciarono a indossare la minigonna, dovettero difendersi dall’accusa d’immoralità. Ovviamente in quell’indumento non c’era niente di pericoloso o perverso, ma gli uomini intuivano i rischi che avrebbe corso la società patriarcale se esse avessero rivendicato la libertà di poter scegliere».

«Figuratevi che l’altro giorno mia moglie ha chiesto se poteva prendere l’auto!» Manganello inframezzò.

«Sono gli inconvenienti del progresso!» lo canzonai. «La morale sociale quindi, come la religione e la legge, è uno strumento di controllo volto a conservare lo status quo che fa leva sulla remissività, sull’ignoranza e sull’oscurantismo. In sintesi sul conformismo omologante.»

«Ho capito». Pottutto mi interruppe. «Ma se uno nasce in una società e quella società ha determinate regole…?»

«Avrebbe senso rispettarle se le avesse scelte. Ma qui nessuno sceglie niente. L’individuo subisce le abitudini, le memorie, i cicli, la disciplina e il convenzionalismo del contesto in cui è nato, senza alternative e senza che gli sia consentita la possibilità di aderire, creare e godere di un ordine che gli si confaccia. La domanda allora è: chi ha interesse a mantenere queste regole morali?… Ve lo dico io. Anzi, l’ho già detto: la fonte è la solita della religione e dello Stato: ovverosia il Potere.»

«Lo sapevo. È sempre colpa sua!» obiettò Pottutto.

«È più forte di lui!» scherzai. «Pensate alla favoletta lockiana secondo cui le persone sentono il bisogno di associarsi per dare vita a un governo che difenda la proprietà1. A forza di ripetere che essa è un diritto assoluto, la sua preservazione è diventata un dovere morale. Eppure è sotto gli occhi di tutti che provoca sofferenza, odio, diseguaglianza, dividendo gli uomini fra ricchi e poveri e fra chi possiede di più e chi meno. Non vi pare?»

«Ha ragione!» gorgogliò Manganello. «Non è giusto che i miei figli vivano in cinquanta metri quadrati mentre qualcuno tiene una villa tutta per sé!» ammiccò verso Pottutto.

«E lei come fa a saperlo?» questi replicò stizzito.

«Non gliel’ho mai detto?». Il maresciallo esitò. «Un paio d’anni fa il dottor Persecuzio mi ha chiesto di pedinarla e…»

«Pedinarmi?»

«Pensava fosse omosessuale!»

«Omosessuale? Ma che…?»

«Non si preoccupi. Appena ho visto la sua signora, ho riferito subito che era una persona perbene!»

«Anche la morale sociale quindi è sempre ingiusta in quanto obbedire a una norma non condivisa annienta l’identità personale. E di fronte a un’identità violata, l’anarchico non può rimanere indifferente!» dissi.

«No? E che fa?»

«Si ribella ovviamente!»

«E che palle con questo ribellamento!» esclamò Pottutto.

Senza sottolineare l’errore lessicale: «Come che palle?»

«Mi perdoni, mi sono lasciato andare!». Il magistrato roteò il collo e sottovoce: «Comunque un po’ che palle lo è davvero!» confessò. «Sembra che per lei sia importante solo quello. Ma, dico io, non si stanca mai?» 

«Se mi stanco? Mi stanca l’ingiustizia. Mi stanca l’indifferenza. Mi stanca l’assuefazione. Mi stancano la devozione e la disciplina. Mi stancano l’apatia e la passività. Non mi stanca la reazione. Che sia critica o lotta. Dobbiamo dissolvere gli ingranaggi mentali affinché una volta snebbiato il cervello la ragione e il sentimento vivano la propria natura e gli individui siano in grado di evolvere e vibrare a loro agio, a ciascuno il compito di edificare la propria concezione della vita, di completarsi, di fabbricare la propria Città interiore. A ciascuno il compito di dirigere la propria vita, d’orientare la propria attività secondo le tendenze proprie, il proprio temperamento, il proprio carattere, le proprie aspirazioni2».

Il pubblico ministero fissò la pila di fogli come se temesse il momento della lettura.

«Lo trova scritto nel blog. Vuole sapere quale articolo?» lo provocai.

«Devo…?»

Ghignai malvagiamente per tenerlo sulle spine. Poi conclusi: «Ricapitolando, la società impone principi, valori, linee guida, modelli utili alla sua perpetuazione, cioè alla sua organizzazione funzionale al mantenimento dei privilegi. Ed esattamente come la religione, la legge, l’economia, la sua forza centripeta schiaccia l’individuo. L’alternativa è la coscienza di sé, cioè affrancarsi dall’oppressione per essere liberi di scegliere. E per scegliere liberamente occorre distruggere le catene che dalla tradizione autoritaria all’odierna omologazione annullano la personalità.»

«Ma l’uomo ha bisogno di chi gli dice cosa fare!»

«E che è un cane?» replico. «Capisco il bisogno di una stella polare. Ma che derivi dalla conoscenza empirica, cioè sia personale, non imposta!»

«Finito?» chiese Pottutto approfittando della mia pausa.

«Quasi» dissi. «Perché ciò avvenga risolutivamente occorre una cosa…»

«Che è?» chiese annoiato.

«Ma la lotta allo Stato, naturalmente!»

«Sentivo che non dovevo chiederglielo!».

 

NOTE

 

– 1 John Locke, Il secondo trattato del governo (The treatises of government), 1690.

– 2 Emile Durkheim, 1858-1917, considerato il padre della sociologia.

– 3 Emile Armand, L’iniziazione individualista anarchica, 1923.

– 4 Ferdinand Tönnies, Comunità e società, 1887.

In foto: Keith Haring, L’Universo, 2007

Editing a cura di Costanza Ghezzi

 

 

23- INGRANAGGI MENTALI: LA RELIGIONE

23- INGRANAGGI MENTALI: LA RELIGIONE

«Il primo ostacolo è la religione. Non mi riferisco soltanto alla venerazione di Dio, Allah o Odino, eccetera, ma a ogni dottrina che inebetisce la ragione e il sentimento proiettando il sé fuori dall’esperienza. La religione nasce da un bisogno di risposte alle domande su cosa accade dopo la morte e, di conseguenza, quale è il senso della vita. Alla prima ribatte con fantasie più o meno bizzarre in cui divinità mattacchione si prendono gioco di noi ma noi le amiamo lo stesso perché siamo masochisti. Alla seconda replica concependo regole di condotta la cui osservanza favorisce un miglior soggiorno eterno. Facile comprendere come la definizione delle medesime sia ambita dal Potere quale strumento di controllo sociale. Ovviamente non è il luogo per analizzare come le religioni ottenebrino la ragione e deformino l’emozione…»

«Bravo!». Pottutto e Manganello applaudirono.

«Ma non posso ignorare che anche la religione sia l’antitesi dell’autodeterminazione» decretai. «Il credente, infatti, non opera per se stesso o per gli altri, ma per ingraziarsi la benevolenza dell’entità venerata. Si comporta secondo la sua volontà e la invoca sia affinché interceda negli affari mondani, sia per assicurarsi un posticino temperato per l’eternità…»

«Dovrebbe far ridere?» chiese Pottutto irritato.

«In realtà dovrebbe far piangere!» lo provocai.

 «Il fedele è una persona fragile a cui non basta la vita per trovare risposte. Ha talmente bisogno di rassicurazioni che, potesse, tornerebbe nell’utero materno!»

«Questa invece mi fa impressione!» esclamò Pottutto.

 «All’opposto l’anarchico, diciamo il negatore in generale, trova nell’esperienza la propria ragione. C’è una bellissima frase di Severino de Giovanni a riguardo. Parla del ribelle e fa suppergiù così: vivere in monotonia – si riferisce all’esistenza ordinaria – non è vivere, è solo vegetare e trasportare in forma deambulante una massa di carne e ossa. Alla vita è necessario dare l’elevazione squisita, la ribellione del braccio e della mente1

«Che esagerazione!» gorgogliò Manganello.

«Non le piace?»

«Mi sembra una stupidaggine: il braccio e la mente che si ribellano… cos’è un malato di Parkinson?»

«Non intendeva in quel senso!». Pottutto lo corresse. «Prego, prosegua!» a me.

«Detto che è nella natura umana il bisogno di conforto, sapete perché esso deve essere realizzato da un’entità trascendente

«No!» disse il magistrato.

«Io non so neanche che vuol dire trascendente!» aggiunse il maresciallo.

«La risposta è semplice: pur non ammettendolo per orgoglio e perché è meglio tacere si sa mai portasse male, l’uomo disprezza talmente ciò che è e come vive che si deresponsabilizza delegando la propria sorte all’immaginazione. Chiude gli occhi e se qui è caos, di là è pace; se qui è odio, di là è amore; se qui è niente, di là è tutto. Ma perché il sogno si realizzi occorre che l’artefice sia onnipotente, onnisciente, indefettibile, intellegibile, intangibile… insomma, tutto ciò che l’uomo non è2! Non a caso, infatti, i paradigmi della religione sono sempre stati gli dei che guardano dall’alto, gli uomini che ne subiscono i capricci, il culto per mantenerli tranquilli e sereni. Le religioni monoteiste hanno prodotto un salto di qualità: anziché tante divinità, ce n’è una sola creatrice e imperante. Si è passati dal politeismo, che possiamo immaginare come una moderna famiglia allargata, paternalistica ma tollerante, al patriarcato in cui il padre burbero ordina e i figli obbediscono per evitare gli schiaffoni. Monoteista è il cristianesimo, ma anche l’ebraismo, l’islamismo e compagnia cantante.»

«E l’Induismo?»

«Più che una religione, direi che è un insieme di credenze.»

«Il Buddismo?»

«Forse più una filosofia!»

«E tifare il Napoli? Quella sì che è una religione!» si interpose Manganello.

 «Questo passaggio ha sancito anche il mutamento del rapporto col sacro: se una volta bastava un banalissimo sacrificio per amicarsi quella o quell’altra divinità, per alimentare la concordia ed evitare che gli dei riversassero i loro capricci sulla terra, con il dio unico e assoluto l’uomo ha subordinato la propria volontà alla sua rinunciando a ogni possibilità di determinarsi».

«Ma c’è il libero arbitrio!» obbiettò Pottutto.

«Che giustifica la responsabilità, quindi il senso di colpa e la conseguente sanzione divina!» chiarii. «Infatti Dio ci dice che si è liberi di fare una cosa anziché un’altra. Ma se facciamo l’altra ci punisce. Geniale! Così geniale che tutte le manifestazioni di potere che nei secoli si sono succedute hanno scimmiottato questo principio!» dissi. «La verità è che la religione è il più potente dei costrutti in quanto agisce sulla fragilità umana creando regole, dogmi, imposizioni a cui è impossibile sottrarsi. Si chiama morale. Ogni religione ha la sua. Inderogabile!»

«E cos’altro si aspetta da una religione?»

«Dalla religione niente. Dalle persone, invece, che si guardino intorno e cerchino la propria essenza. Poi sollevino gli occhi e godano dell’essere parte del tutto. Vivere armonicamente con ciò che ci circonda è l’unico scopo della vita. Si è liberi nella consapevolezza di ciò, si è eguali nella sua pratica. Pur essendo una banale verità, invece, l’uomo preferisce obbedire. Con l’effetto che c’è sempre qualcuno che si appropria dell’autorità e ne approfitta per il proprio tornaconto.»

«Dimentica però che credere è un atto di fede

«Non c’è dubbio. Poiché se la logica dimostra tutto e il suo contrario, non rimane che appellarsi all’emotività, la più democratica e distinguibile delle esperienze umane. Dio esiste per chi ha un cuore grande: chi lo ignora è una persona arida e malvagia! E così, zitta zitta, la religione ci rifila la più pervicace delle gerarchie: quella fra buoni e cattivi.»

«Non mi piace questo sarcasmo!» obiettò Pottutto.

«Perché, lei crede in Dio?» gli domandai.

«Certamente!»

«E lei?» chiesi a Manganello.

Il maresciallo aprì con disinvoltura il bottone della divisa e da sotto un quintale di pelo esibì una croce dorata avvolta da una schiera di ciondoli: «Questa è la Madonna di Lourdes, questo è San Bernardo da Aosta protettore degli alpinisti, questo è San Ignazio di Loyola protettore dei militari, poi c’è San Vincenzo Ferrer protettore dei muratori, San Pasquale protettore dei cuochi, San Erasmo che protegge dall’acidità di stomaco, San Dionigi per il mal di testa, oltre a…»

«E quello?»

«Questo? Questo è il cornetto che mi ha regalato la mia nonnina!»

«I suoi amici, invece?» mi sferzò Pottutto. «Sono con o contro Dio?»

«Con o contro… Mica siamo nell’arena a decidere le sorti di un gladiatore!» esclamai. «Posso dire che gli anarchici non la pensano tutti allo stesso modo. Il che può suonare strano, ma in realtà è conforme al nostro pluralismo. C’è chi crede e chi no. L’importante è che nessuno imponga all’altro la propria concezione del mondo. Godwin, ad esempio, il padre dell’anarchia moderna, ma anche Tolstoj e Berneri, criticavano l’ateismo anarchico. Il primo sosteneva che la ragione fonda la religione; lo scrittore russo, invece, che il regno di Dio fosse immanente; l’agnostico Berneri, infine, sottolineava come l’ateismo intransigente rischiasse di diventare un dispotismo totalitario. In senso contrario, la maggior parte degli anarchici è convinta che della religione se ne possa fare a meno in quanto alimenta le gerarchie divine e terrene, mantiene gli esseri umani nella soggezione e nella superstizione, quindi nell’ignoranza e nella subalternità, oltre a fomentare discordie, guerre, confini, muri di incomprensione e discriminazione3».

Poiché ormai mi guardavano con espressioni tipo Giuditta di Klimt4, conclusi: «L’Assoluto è sempre una violenza poiché è il più potente strumento di manipolazione che fa leva sulla debolezza umana mascherata da senso di colpa. Per questo gli anarchici collocano il loro paradiso e la loro felicità sulla terra e vogliono godere pienamente e sanamente della vita, cioè vivere l’esperienza quotidiana con tutta la passione, la forza, l’altruismo, il coraggio, la determinazione, l’amore possibile, come dice Emile Armand. E come dargli torto? Non vedo che senso abbia agognare l’immortalità quando è noto a tutti che le cose belle finiscono sempre!».

 

 

NOTE

– 1 Severino De Giovanni da articolo su Filosofia antiautoritaria del 2.8.22.

– 2 Così parlava Lidwig Feuerbach in L’Essenza del Cristianesimo del 1843.

– 3 Pippo Guerrieri, L’Anarchia spiegata a mia figlia, BSF Edizioni, 2018.

– 4 Gustav Klimt, Giuditta, olio su tela, 1901.

In foto Marc Chagall, Crocifissione Bianca, 1938

Editing a cura di Costanza Ghezzi

22- INGRANAGGI MENTALI

Bussarono alla porta.

Il volto paffutello di una ragazzina in divisa si affacciò timidamente per avvisare Pottutto che c’era una telefonata per lui.

«Per me?»

«Per lei!»

«Dica che sono impegnato!»

«È urgente!»

«Chi sarà mai?» rifletté imbarazzato. «Deve essere mia moglie. Stamani è stata a parlare con i professori di nostro figlio… Tutte le volte è una tragedia!» aggiunse con ghigno crepuscolare.

«Non è sua moglie!».

Il pubblico ministero lisciò il baffo con la penna. «Sarà mica la pizzeria… magari hanno visto le luci accese?»

«Non è la pizzeria, dottore!»

«Manganello, ha pagato la tintoria?»

«È il dottor Persecuzio» tuonò la novellina.

La segretaria smise di battere a macchina.

Manganello scivolò sulla sedia fino a nascondersi sotto il tavolo.

Avrei giurato che la sfinge sulla porta avesse chiuso gli occhi.

O forse fu solo una mia impressione.

Il magistrato oscillò tremolante. Sbiancò, avvampò, sbiancò ancora per assestarsi su un livido cadaverico.

«Persecuzio?» chiese terrorizzato. Per non cadere afferrò il riporto del maresciallo. Ma i capelli erano unti e gli sgusciarono di mano.

«Il procuratore capo!» la giovane ribadì.

«Manganello, risponde lei per favore?»

«E che gli dico?»

«Non so. Come s’inventa le prove, s’inventi una scusa!»

«Non mi faccia questo!» supplicò il maresciallo.

«Vuole che ci parli io?» proposi.

«Lo farebbe per me?»

«Per gli amici questo e altro!».

Alla fine, Pottutto si arrese al destino: «Va bene, me lo passi!» proferì.

Attendemmo in apnea che trillasse il vecchio telefono Sip color grigio topo poggiato sulla cassettiera alle spalle dei miei inquisitori.

«Pronto, chi parla?» farfugliò Pottutto. «Buongiorno, dottor Persecuzio… Certo che sapevo che era lei, dottor Persecuzio… Perché allora ho chiesto chi parla? Non saprei dottor Persecuzio. Per abitudine, forse?… No dottor Persecuzio, non faccio il cretino! A proposito dottor Persecuzio, volevo complimentarmi perché la foto sul giornale le risalta il profilo egizio!… No, dottor Persecuzio, non faccio neanche il leccaculo!… Immaginavo volesse parlarmi dottor Persecuzio… L’interrogatorio? Abbiamo cominciato giustappunto a conoscerci, dottor Persecuzio. L’indagato è affabile e collaborativo e sta spiegando con dovizia cos’è l’anarchia… Come dottor Persecuzio? Non gliene frega di sapere cos’è l’anarchia e vuole solo i nomi per la stampa?». Pottutto coprì la cornetta e a me: «Dice che vuole solo i nomi per la stampa!»

«Quali nomi?» replicai di labiale.

«Sicuramente, dottor Persecuzio. Le prometto che l’indagato non ne tralascerà uno!». E a me: «Mi informa che vi impiccherebbe tutti voi anarchici!». Quasi a giustificarsi: «Non si preoccupi, gli piace esagerare!». Tornò ad ascoltare il procuratore capo e poi coprì di nuovo la cornetta: «Sostiene che a quest’ora col dottor Comma avrebbe già confessato!».

Lo rassicurai negando con un gesto della testa.

«Le prometto dottor Persecuzio che parlerà così tanto che alla fine dovrà fare i fumenti perché gli torni la voce!… Allora ci sentiamo più tardi, dottor Persecuzio… Buona serata. Saluti la signora. È ancora in ufficio? Allora saluti la segretaria. Grazie della telefonata. A presto e buon lavoro. Buon inizio e buon principio. Ad meliora et at maiora semper… Ha buttato giù!» Il magistrato fissò il vuoto. «Gli sarà piaciuta la citazione latina?». I suoi occhi spauriti scivolarono dal faccione del maresciallo, alla scrivania, a me. Si morse il labbro.

«È stato bravo»!» lo rassicurai.

«Dice?»

«Molto determinato e conciso. Adesso però possiamo proseguire l’interrogatorio?».

+++++

Per recuperare la sua attenzione riassunsi su un foglio alcune parole chiave della socialità anarchica:

             Liberarsi dagli ingranaggi mentali

                                                                   ↓

        Coscienza di sé → Padrone di se stesso

                                    ↓

                                                       Autonomia = libertà-eguaglianza

 

Sintetizzai: «Affinché gli uomini manifestinola propria personalità in maniera libera ed eguale, occorre che siano coscienti di sé, ovverosia neghino i condizionamenti esterni e vivano seguendo la propria natura. Emancipati così dagli ingranaggi mentali, diventano padroni di se stessi, quindi capaci di determinarsi senza assoggettamenti. Che non significa fare quello che pare, poiché il mero perseguimento dei desideri e piaceri è un ciclo senza fine che porta a sofferenza, bensì fondersi nell’unità del mondo».

Pottutto e Manganello si fissarono come se il peggio dovesse ancora venire.

«In un articolo spiego tale evoluzione con le parole di Stirner. Sarà pure delirante, egoista ed esaltato come sostengono i suoi detrattori, ma usa immagini così ficcanti, paradossi, bizzarrie ed è così al confine fra genio e follia che ogni volta che lo leggo mi illumino d’immenso!» scomodai Ungaretti1. «Il suo pensiero, infatti, coglie in pieno la necessità che la volontà si emancipi dalla contingenza per sprigionare tutta la sua potenza. Nietzsche non ammetterà mai di essersi ispirato a lui, ma senza l’Unico, il Superuomo sarebbe stato più uomo che super!»

«Sta dicendo che lo ha plagiato?»

«Lascio a voi giudicare!»

«Signorina Servile, terminato l’interrogatorio prepari subito un bell’avviso di garanzia nei confronti di questo falsificatore da strapazzo!» paupulò Pottutto.

«Ben fatto!» seguì Manganello.

«Il filosofo…» ripresi.

«Chi, quel Shiller?» domandò il PM.

«Si chiama Stirner» precisai. «Anche se I Masnadieri sono una bella botta di ribellione!2». Proseguii: «Il filosofo parte dal presupposto che l’individuo non sia l’io è tutto idealizzato da Fichte, né l’io del popolo che è una potenza impersonale, spirituale, è la legge quindi uno spettro, non un io, né quello regolamentato dallo Stato in quanto esso non è pensabile senza il dominio e la schiavitù, tantomeno quello contemplato dalla religione per cui la persona viene soggiogata dalla promessa del bene sommo e non presta più attenzione ai propri desideri, o l’homo oeconomicus, poiché nell’avere, ossia negli averi, gli uomini sono diseguali…»

«Non è che ci rimanga granché!» rilevò Manganello.

«Per Stirner, infatti, idealismo, società, Stato, religione, capitale sono forme di autorità che includono sempre la prospettiva di un nuovo dominio e realizzano schiavitù, servitù, rinnegamento di sé. Occorre pertanto che l’Unico si ribelli e non sia più schiavo di Dio o della legge ma diventi padrone di sé, cioè individuo capace di determinarsi secondo la propria volontà senza subire le pressioni, le suggestioni, i fantasmi che da sempre la soggiogano. Solo quando il mondo sarà nostro, il suo potere non sarà più contro di noi ma con noi, afferma3».

«Lo diceva anche mia nonna che bisogna essere se stessi!» squittì il maresciallo.

«Le nonne sono sempre molto sagge!» convenni.

«L’urgenza di diventare padroni di se stessi è un concetto trasversale all’anarchia. Kropotkin, ad esempio, pur avendo una concezione del mondo, della società, dell’anarchia stessa completamente opposta dall’individualista, sostiene a sua volta che il capitalismo, la religione, la giustizia, il governo sono grandi cause di depravazione. Lo afferma per dimostrare la potenza del mutuo appoggio, ma la sostanza non varia: noi non chiediamo che una cosa, ovverosia eliminare tutto ciò che nella società umana impedisce il libero sviluppo, cioè tutto ciò che falsa il nostro giudizio: lo Stato, la Chiesa, lo sfruttamento; il giudice, il prete, il governo, lo sfruttatore, poiché in una società basata sullo sfruttamento e la servitù, la natura umana si degrada4».

Feci un’altra pausa perché la loro espressione da perioftalmo mi inquietava.

«Ho citato questi due filosofi così diversi ma così eguali perché entrambi parlano degli ingranaggi mentali da cui dobbiamo affrancarci per essere padroni di noi stessi: religione, società, Stato, capitale». Guardai il pubblico ministero: «Adesso li vediamo uno alla volta.»

«Non basta citarli?» chiese.

«Dottore, mi dia un po’ di soddisfazione!».

 

NOTE

– 1 Mi illumino d’immenso è una poesia di Giuseppe Ungaretti, 1888, 1970.

– 2 I Masnadieri sono un’opera che critica le convenzioni sociali e l’autorità del poeta tedesco Friedrich Shiller 1759-1805.

– 3 Max Stirner, L’Unico e la sua proprietà, 1844.

– 4 Peter Kropotkin, La morale anarchica, 1890.

IN foto: Andre Martin De Barros, EArotic Illusion, 2009

Editing a cura di Costanza Ghezzi

 

 

La scuola

“E crearono la scuola come il “diavolo” aveva ordinato.
“Il bambino ama la natura, quindi l’hanno chiuso in quattro mura.
Non può stare seduto per ore senza muoversi, quindi hanno ridotto al minimo la sua libertà di movimento.
Gli piace lavorare con le mani e hanno iniziato a presentargli informazioni e teorie.
Ama parlare sinceramente – gli hanno insegnato a tacere.
Si sforza di capire – gli hanno insegnato a memorizzare.
Vorrebbe esplorare da solo e usare la propria conoscenza (dell’anima) – ma ha ottenuto tutto in forma preconfezionata su decine di fogli di lavoro grigi.
Attraverso tutto questo, i bambini hanno imparato ciò che non avrebbero mai imparato in altre circostanze: hanno imparato a non mettere in dubbio nulla e ad adattarsi”.
– Adolphe Ferrière (1879 -1960), è stato un educatore svizzero e uno dei fondatori di Éducation nouvelle.

Essere come l’acqua

“Ecco come bisogna essere! Bisogna essere come l’acqua. Niente ostacoli – essa scorre. Trova una diga, allora si ferma. La diga si spezza, scorre di nuovo. In un recipiente quadrato, è quadrata. In uno tondo, è rotonda. Ecco perché è più indispensabile di ogni altra cosa. Niente esiste al mondo più adattabile dell’acqua. E tuttavia quando cade sul suolo, persistendo, niente può essere più forte di lei.”

(Lao Tzu)

N. 21 – LA LIBERTÀ

«Qualificare la libertà è complesso perché non esiste una definizione unica. Lo dimostra il fatto che ogni dottrina filosofica ha voluto spiegarla a modo suo. Si va da Aristotele per il quale un’azione è volontaria e libera quando non è condizionata da fattori esterni, alla teologia per cui la razionalità non conta niente perché Dio è tanto buono che ci dona la sua grazia; da Spinoza per il quale l’uomo è uno dei modi di essere Dio ma Dio è migliore, all’ottimismo di Rousseau per cui: l’uomo nasce libero, ma ovunque è in catene; dalla libertà kantiana che si realizza attraverso la ragione e fuori dall’esperienza, alla concretezza di Hegel che la identifica in un processo dialettico dello Spirito Universale insito nella storia; da Marx per cui è strumento di liberazione economica, sociale, politica, a…»

«Oh!» esplose Pottutto. «Ora basta!»

«Solo l’ultima, dottore!» lo pregai. «A Sartre per cui l’uomo sarà sempre un’infelice perché consapevole di non essere trascendente; da… scherzavo!».

Il pubblico ministero ne approfittò per tirare fuori dalla tasca della giacca una baguette farcita con prosciutto crudo, cipolle rosse tagliate a rondelle, scaglie di grana, pancetta, uovo sodo, tonno, bresaola, mango, cetriolini, crema di piselli, due gocce di olio al tartufo, frittata, pomodori secchi, e un mix di mascarpone, maionese, senape e mostarda.

Lo so perché ne chiesi un pezzettino.

«Gustosissimo!» dissi.

«L’ha preparata la mia mammina!».

Con un’occhiata gli feci capire che Manganello stava sbavando.

Lo ignorò.

«Quanto le piacerà citare i filosofi!». Tornò a me con tono confidenziale.

«Tutto ciò che diciamo è già stato detto. Allora perché non riconoscerlo? E poi la filosofia aiuta a pensare e pensare è importante, ci distingue da… un cetriolo!». Ne raccattai un pezzetto caduto sui pantaloni. «Filosofia a parte, vorrei dare una versione personale della libertà.»

«È una cosa lunga?»

«La definizione è brevissima: la libertà è assenza di costrizioni o detto alla Nettlau: non fare socialmente quello di cui uno non sente bisogno

«Tutto qui?»

«Suppergiù!» sollevai le spalle. «Sono libero quando nessuno mi impone o mi impedisce di svolgere la mia attività intellettuale, oppure ostacola o determina la mia condotta. Sono libero se penso, scelgo e agisco come voglio per soddisfare il mio interesse, per realizzare il mio bene, per conseguire la mia felicità che, lo dico benché sia scontato, non può essere materiale giacché condizionata dalla necessità. Ma quali sono gli ostacoli alla mia libertà

«A parte una decina di ergastoli?».

Ignoro: «Sono quelli che le impediscono lo sviluppo personale: tutto ciò che avversa la vita, la salute, l’identità personale, la libera manifestazione del pensiero, eccetera. In sintesi: un’autorità che dica di fare ciò che non voglio fare.»

«Ha citato i diritti soggettivi sanciti dalla Costituzione che però con il non voler fare…?»

«La quale, però, non ha fatto altro che codificare diritti innati preesistenti a essa, che l’uomo ha sempre considerato inalienabili, irrinunciabili e imprescrittibili. In questo modo se ne è appropriata affinché i governi potessero interpretarli secondo la convenienza.»

«Non la seguo!»

«Prendiamo un diritto a caso: il diritto alla salute. Non c’è bisogno che dimostri che l’uomo lo riconosce e garantisce da sempre. La Costituzione lo definisce come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Ciò significa che lo Stato si impegna a fornire gli strumenti per assicurare alla società i mezzi per tutelarla. Lo stesso articolo, però, prevede che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Ecco l’ipocrita, benché immancabile, contraddizione che consente di derogare il diritto naturale: stabilendo infatti che il trattamento sanitario può essere disposto nei confronti dell’individuo anche contro la sua volontà o il suo interesse con una semplice legge, di fatto lo spoglia della titolarità conferendola allo Stato. Facile immaginare come gli effetti di questa stortura possano essere devastanti. Se domani, ad esempio, un governo ritenesse utile che fossimo biondi, basterebbe una legge e tutti dovremmo tingere i capelli, pena la sanzione, la segregazione, la disapprovazione sociale… Ma non divaghiamo!»

«Ecco bravo, non divaghiamo!»

«Stavo dicendo che la libertà è determinarsi nel mondo senza ostacoli. Cercate voi stessi, diventate egoisti, ognuno di voi divenga Dio onnipotente! diceva Stirner, che aggiungeva: riconoscete ciò che siete veramente e lasciate correre le vostre aspirazioni ipocrite, la vostra stolta mania di essere qualcos’altro da ciò che siete1. Per gli anarchici, infatti, libertà significa essere sovrani di se stessi, quindi scegliere di dare forma alla propria volontà. Essere liberi di pensare, di vestire, di andare, di condividere, di lavorare, di amare, e potrei continuare. Una libertà, pertanto, non assoluta né astratta, ma concreta. Siamo en dehors, dice Emile Armand, che vogliono vivere per vivere, per compiere la propria funzione di bipede a statura eretta, dotato di pensiero e di sentimento, capace di analizzare delle emozioni e di catalogare le sensazioni. Vivere per vivere, senz’altro. Vivere per trasferirsi da un luogo all’altro, per apprezzare le esperienze intellettuali, morali, fisiche, delle quali è cosparsa la strada di ciascuno: per goderne; per suscitarne quando l’esistenza appare troppo monotona; per porvi fine o rinnovarle, secondo i casi. Vivere per vivere, per soddisfare i bisogni del cervello e il richiamo dei sensi. Vivere per acquistare il sapere, per lottare e formarsi un’individualità spiccata, per amare, per abbracciare; per cogliere i fiori dei campi e mangiare i frutti degli alberi. Vivere per produrre e consumare, per seminare e raccogliere, per cantare all’unisono con gli uccelli, distendersi al sole sulla spiaggia dei mari e sul greto dei fiumi». E ancora: «Vivere per vivere, per goderne aspramente, profondamente, di tutto ciò che offre la vita» E qui si fa quasi poetico: «Per sorseggiare fino all’ultima goccia la coppa di delizie e di sorprese che la vita tende a chiunque acquista coscienza del proprio essere».

Attesi qualche secondo perché Pottutto e Manganello si riprendessero dallo shock della lunga citazione.

«Ma perché ciò sia possibile, gli anarchici vogliono vivere in libertà, senza che una morale esteriore o imposta dalla tradizione o dalla maggioranza stabilisca comunque delle frontiere fra lecito e illecito». Altra veloce pausa e: «Vivere per vivere, senza opprimere altrui, senza calpestare le aspirazioni o i sentimenti di chicchessia, senza dominare o sfruttare, ma da essere liberi che resistono con ogni forza alla tirannia di Uno Solo come all’assorbimento delle Moltitudini2».

Il volto di Manganello era ormai nascosto fra le pieghe della pappagorgia.

Pottutto mi fissava con due biglie da pista sulla spiaggia al posto degli occhi.

Avrei giurato di scorgere in una la foto di Moser, nell’altra quella di Saronni.

 

«Le parole di Armand ribadiscono quanto per giungere alla libertà sia necessario affrontare quel periglioso quanto entusiasmante processo di iniziazione, che attraverso la conoscenza del sé, giunge alla possibilità di compiere un’azione intelligente, spontanea, contingente e non lesiva degli altri…coniugandosi con autonomia, solidarietà, volontà, in una dinamica infinita3

«Iniziazione tipo caverna platonica!»

«Bello quest’esempio filosofico!»

«Massoneria!». Pottutto mi corresse. «È la stanza buia in cui mi hanno chiuso per ore!4»

«La libertà è una conquista. Non può essere concessaparziale, cioè elargita dallo Stato, dal Re, dal Potestà, da Dio, dalla società, da un individuo chicchessia, in quanto nasconderebbe nel suo seno una qualche forma di autorità. È indivisibile, non si può toglierne una parte senza ucciderla tutta diceva Bakunin. E aggiungeva: sono veramente libero solo quando tutti gli esseri che mi circondano, uomini o donne, sono egualmente liberi. La libertà degli altri, lungi dall’essere un limite o la negazione della mia libertà, ne è al contrario la condizione necessaria e la conferma. Non divengo veramente libero se non attraverso la libertà degli altri, così che più numerosi sono gli uomini liberi che mi circondano, e più profonda e ampia diviene la mia libertà. È invece proprio la schiavitù degli uomini a porre una barriera alla mia libertà, o, che è lo stesso, è la loro bestialità a negare la mia umanità; perché, di nuovo, posso dirmi veramente libero solo quando la mia libertà, o, che è lo stesso, quando la mia dignità di uomo, il mio diritto umano, che consiste nel non obbedire a nessun altro uomo e nel determinare i miei atti in conformità con le mie convinzioni, mediate attraverso la coscienza ugualmente libera di tutti solo quando la mia libertà e la mia dignità mi ritornano confermate dall’assenso di tutti. La mia libertà personale, così convalidata dalla libertà di tutti, si estende all’infinito5»

Ripresi fiato.

«Bakunin giunge quindi alla straordinaria conclusione che la libertà deve essere condivisa perché uno è tutto e tutto è uno. Se vivessi su un’isola deserta, sicuramente sarei libero: un Robinson Crusoe solitario che parla con la noce di cocco. Divertente all’inizio, ma poi dovrei scegliere fra abbattere la palma a testate o concedermi agli squali. Allo stesso modo, fossi circondato da servi, mi vergognerei della mia libertà, mi disprezzerei per la mia indifferenza. Perché la libertà, la vera libertà, non può prescindere dalla co-partecipazione all’armonia universale. Sono libero solo se anche gli altri lo sono e gli altri lo sono se tutti siamo eguali. Per questo libertà ed eguaglianza sono complementari. La libertà senza eguaglianza è privilegio, l’uguaglianza senza libertà è una tirannia6. Ed è in questa identità fra individui che l’eguaglianza si realizza spontaneamente sotto forma solidarietà. Che non è la solidarietà evangelica, cioè la virtù teologale per la quale si ama il prossimo per amore di Dio, non è la solidarietà sociale che impone l’uniformità per essere manipolabili, bensì una comunità di affinità che si oppongono alla tirannia e condividono uno scopo. Fratelli, infatti, gli anarchici si chiamano fra loro. Per taluni camerati, compagni per altri. In sostanza, individui riuniti sotto la stessa bandiera, guidati da obiettivi comuni, stimolati da un’unione materiale e spirituale autentica, razionale e sentimentale».

Al mio silenzio Pottutto replicò con un’espressione fra il pianto e la nausea.

«Che ha, si sente male?» chiesi preoccupato.

«Tutto bene» singhiozzò. «Rimpiango solo d’aver accettato l’incarico

 

 

«So a cosa sta pensando. Lei sta pensando che sono un illuso perché gli uomini sono divoratori di altri uomini, vero?»

«Homo homini lupus

«Bravo, ha studiato Hobbes!» rilevai sarcastico. «La concezione che gli uomini siano guidati da istinti animali e che, se non controllati, si mangerebbero vicendevolmente è la solita giustificazione autolegittimante del dominio che fa leva sul servilismo dei molti. La maggior parte degli uomini non mangia nessuno. Al massimo abbaia senza mordere. Di sicuro, però, vivere in una società che nel migliore dei casi non ha fatto altro che imporre un unico modello di vita a tutti, senza rispettare le differenze e i bisogni individuali e sociali, come diceva Emma Goldman, accresce frustrazione e alienazione, quindi induce a rifiutare la vita, le relazioni, la natura stessa, impedendo all’individuo di raggiungere la piena consapevolezza di sé. Che fare allora?»

«Già, che facciamo?»

«Nessuno ci libererà se non noi stessi. Dobbiamo dichiarare guerra agli agenti dannosi che fino a ora hanno impedito la fusione armoniosa degli istinti individuali e sociali, afferma ancora la Goldman. Perché la vera armonia scaturisce naturalmente dalla comunanza di interessi, cioè dalla fusione dell’individuo con la collettività. Una fusione che si realizza spontaneamente superando i fantasmi7 della religione che plagia le menti, del governo che soggioga le condotte, della proprietà che vincola ai bisogni e nega le aspirazioni. Ma la libertà non sarà mai concessa. La logica del dominio non può tollerarla. La libertà si conquista

«Scommetto mezzo sigaro», Pottutto tirò fuori un cubano dalla tasca della giacca, «che avete in progetto di far esplodere qualche bella bombetta!» disse tutto eccitato.

«Parli, stragista!» grugnì Manganello.

«Mi spiace deludervi» risposi. «Ma non faccio scoppiare neppure i petardi a Capodanno!»

«Rapimento di qualche autorità?»

«Tipo?»

«Non so… un parlamentare?»

«Ci costerebbe troppo» dissi. «Quelli mangiano assai!»

«Allora un assessore!»

«E, secondo lei, mi abbasserei a rapire un assessore?»

«Un generale dell’esercito?»

«Meglio uno sbirro. Quantomeno gli restituiremmo pan per focaccia!» dico scherzando.

«Spero non sia un pubblico ministero!»

«Non si preoccupi, non rapiamo nessuno!». Chiusi la questione. «Per Malatesta la libertà è la massima aspirazione di ogni anarchico, che non si conquista e non si conserva se non attraverso lotte faticose e sacrifici crudeli. La lotta è infatti il più sacro dei doveri, dice Bakunin, ma non potrà svilupparsi in un confronto suicida col Potere

«Perché ne tocchereste, eh?» si svegliò Manganello.

«Non mi dica che sta pensando di imbrattare qualche muro, mi deluderebbe!» disse Pottutto.

«Sarà spontanea. Sarà un’ombra. Sarà silenziosa. Sarà impercettibile. Sarà costante e diffusa. Sarà…»

«Sarà, sarà quel che sarà, del nostro amore che sarà…». Pottutto iniziò a cantare.

«Prendiamo oggi quel che dà, e quel che avanza per domani basterà…» seguì Manganello.

«E quando avremo qualche anno di più, se a dirmi t’amo sarai ancora tu…» di nuovo il magistrato.

«La mia dolce gelosia ti terrà un po’ compagnia ogni volta che andrai via!8» In coro. Stringendosi poi in un caloroso abbraccio.

 

NOTE

1 – Max Stirner, L’unico e la sua proprietà, ivi.

2 – Emile Armand, Iniziazione individualista anarchica, ivi. (NdA. En dehors è come Armand chiamava i refrattari, i ribelli).

3 – Francesco Codello, Né obbedire né comandare lessico libertario, 2009, Eleuthera.

4 – Nell’iniziazione massonica è il luogo buio in cui sosta l’iniziato durante il rito di passaggio prima di vedere la luce. Simbolizza la morte prima della nascita.

5 – M. Bakunin, Dio e Stato, 1882, Feltrinelli.

6 – NdA. La frase originale è: la libertà senza socialismo è un privilegio dell’ingiustizia; il socialismo senza libertà è schiavitù e brutalità.

7 – NdA. Per Stiner, Stato, religione, morale, società, altro non sono che fantasmi.

8 – Tiziana Rivale, Sarà quel che sarà, 1997.

 

Editing a cura di Costanza Ghezzi

In foto: Rob Gonsalves, Badtime aviation, 2001

N.20 – EDUCAZIONE: EDUCAZIONE LIBERTARIA

«Anche Ward affermava che lo scopo della scuola è svolgere una “funzione socializzante”, cioè conformare l’individuo alla società per garantire la sua perpetuazione. Nell’articolo del 1.8.23 asserisce: la società assicura il suo futuro educando i bambini secondo il suo modello. Nelle società tradizionali il contadino alleva i figli insegnando loro a coltivare la terra, un capo insegna loro a esercitare il potere, i sacerdoti tramandano le mansioni del loro ruolo. Nello stato moderno il sistema scolastico è lo strumento di più ampia portata per condizionare la gente. Dall’età di cinque anni, tenta di plasmare lo sviluppo intellettuale e buona parte della maturazione sociale, fisica, ideologica di un individuo durante dodici anni o anche più del periodo cruciale dal punto di vista formativo6».

Sollevo la testa: «Fin qui ci siamo?».

Solita fuga di sguardi.

«A questo sistema si oppone la pedagogia radicale, cioè libertaria, il cui obiettivo è la realizzazione della personalità dell’individuo e lo sviluppo dei suoi interessi, delle sue aspirazioni, dei suoi bisogni, dei suoi propositi. Abbandonando il sistema educativo autoritario, impositivo, trasmissivo, passivo e certificatorio, si focalizza sul discente. Sperimenta una serie di metodi mediante i quali aiutarlo a diventare cosciente di sé, quindi capace di autodeterminarsi. Metodi fondati sull’esperienza, sull’esplorazione, sul sovvertimento del rapporto gerarchico docente-allievo, sul rigetto della conformistica psicologia del risultato perpetuante l’ordine esistente.»

«Ci mancava Freud!» Pottutto si animò.

«Per psicologia del risultato intendo il voto.»

«Che c’incastrano le elezioni!» il solito Manganello.

«Forse si riferisce a quello religioso!» lo corresse Pottutto.

Pensai a quanto fosse divertente avere un uditorio di quel livello.

«A proposito di educazione libertaria anche Isabelle Attard dice che per vivere in una società senza Dio né padroni l’educazione è prioritaria. Ma non si tratta di modellare il cervello dei futuri militanti anarchici come nelle scuole di indottrinamento politico o militare. Esattamente il contrario: l’obiettivo è di sviluppare nei futuri cittadini l’autonomia, lo spirito critico e la capacità di mettere in discussione. L’educazione libertaria, quindi, non mira a formare esseri docili e uniformi che non mettano mai in discussione né l’esistenza dello Stato-nazione e delle sue istituzioni, né il modello economico vigente7, ma individui liberi che sappiano criticarlo. Una capacità critica che è strumento di emancipazione contro ogni omologazione uniformante e conformista, senza la quale è appiattimento totale, assoluto annichilimento. Le proposte anarchiche sono una continua ricerca della soluzione alla necessità stirneriana di diventare padroni di se stessi, con l’obiettivo di realizzare uno stile di vita alternativo, contraddistinto da un’etica che richiama ciascun individuo alla coerenza tra il pensiero e la propria esistenza concreta8».

«Che c’è?». Pottutto si rivolse a Manganello.

«Scuola si scrive con la C o con la Q? Mi confondo sempre!»

«Lei come l’ha scritto?»

«Con la S maiuscola poi il punto».

«Andiamo avanti!». Il PM si rivolse a me.

 

«I paradigmi della scuola libertaria sono la sperimentazione, la spontaneità, l’autodeterminazione e il pluralismo. Sperimentare significa educare attraverso un approccio esperienziale: la consapevolezza di sé, quindi delle attitudini e delle abilità personali, cosi come dei difetti e delle lacune, si forma passo dopo passo, attraverso una crescita che solo l’approccio diretto col caso concreto consente di sviluppare. L’impegno degli insegnanti deve focalizzarsi sul ragazzo lasciandolo libero di apprendere, sbagliare, correggersi. Nessuna imposizione di nozioni astratte, ma un confronto continuo con la vita, perché, come diceva Emile Armand riferendosi all’individualista anarchico, il concetto si estende a chiunque si affranca dal dominio, l’uomo libero tende verso la vera vita la vita puramente e semplicemente che egli si sente attratto, la vita in libertà che contrasta così violentemente con l’esistenza che gli hanno imposto le condizioni economiche, la politica e tante altre cause. È la vita che lo interessa, che lo sollecita, che lo trascina; la vita naturale che ignora i compromessi, i mercanteggiamenti, le sofisticazioni, gli orpelli le parvenze ingannatrici le false riputazioni, il calcolo, l’arrivismo. Perché egli vuole vivere a qualunque prezzo, costi quel che costi, ben inteso senza dominare né sfruttare altrui.

Per questo la sua vita sarà un campo di esperienze e un continuo ammaestramento, di cui tenderà sempre di rimanere il padrone… giammai a consentire che esse lo padroneggino9. In sintesi, l’uomo vuole vivere, e per vivere pienamente e intensamente deve essere libero dalle costrizioni mentali e fisiche». Pausa. «Se proprio dobbiamo insegnargli qualcosa, insegniamogli a godere l’estasi dell’esperienza: la bellezza del qui e ora. È sfiorando puramente l’essenza dell’attimo che l’uomo è. Al contrario, l’imposizione impedisce l’armonica compenetrazione nel tutto a cui si appartiene». Sorpreso io stesso da tanta saggezza: «Che ve ne pare?»

«Sono tutto un fremito!» Pottutto rispose caustico.

Il maresciallo, invece, si mordicchiava il sottomento.

«Trovate le sue parole nell’articolo citato prima, dove peraltro accenno ai metodi di apprendimento spontaneo sperimentati da Ferrer con la Escuela Moderna, da Homer Lane con la scuola di Little Commonwealth e da Alexander Neill con quella di Summerhill

«L’ho sempre detto che gli inglesi sono strani!»

«Non si preoccupi maresciallo, ci sono anche gli italiani. Ad esempio Marcello Bernardi e Marco Lodi. Il primo è tra i massimi esponenti della scuola negativa che riprende le teorie di Freire, Tolstoj, Ferrer e, perché no, anche Don Milani, per i quali l’educatore deve lasciare libero il giovane di apprendere spontaneamente, senza essere condizionato dalla figura dell’insegnante o dell’ambiente in cui è inserito. Massima importanza viene dato al contatto diretto con le cose, alla manualità, all’immaginazione, alla creatività quali propellenti per sviluppare la curiosità, l’interesse, la ricerca, quindi l’apprendimento.»

«Niente di nuovo sotto il sole» gorgogliò Pottutto.  «Anch’io giocavo col Lego!»

«Evidentemente non abbastanza!» dissi fra i denti. «Alla scuola negativa si affianca quella positiva, dove l’educatore fa da guida e fondamentale diventa il contesto di riferimento attraverso il quale il giovane apprende per imitazione. Un esempio è la Scuola di Vho creata da Marco Lodi dove si educava senza testo, stimolando la comunicatività attraverso le arti espressive come la pittura o la danza…»

«Invece delle lezioni gli studenti ballavano?»

«Valzer, Mazurca, Cha Cha Cha!» scherzai. «Fra le tante cose, ha sviluppato anche la ricerca interdisciplinare e la scrittura collettiva: famosi sono stati negli anni Sessanta alcuni racconti scritti insieme ai suoi studenti come Cipì, una pietra miliare della letteratura infantile, La Mongolfiera e tanti altri. Li ha letti?»

«Eh, come no!»

«A prescindere dal metodo, i pedagoghi libertari ritengono fondamentale che i ragazzi imparino spontaneamente, senza che intermediari impongano tabelle, nozioni, autorità e, soprattutto, senza manipolazione. Usano spesso il gioco, perché il divertimento favorisce la ricerca, l’interesse, l’immaginazione, la creatività, tutte attività necessarie per l’apprendimento e la crescita personale. Soltanto l’esperienza diretta forgia la consapevolezza di sé e consente di appropriarsi del mondo

«Abbiamo finito con la scuola?». Pottutto approfittò della mia pausa.

«No!»

«No?»

«Quasi, però!» dissi. «Condizione necessaria affinché lo studente impari ad autodeterminarsi è che la sua maturazione avvenga in un contesto pluralista. L’educazione deve pungolare l’individuo a fare da sé. Deve imparare a gestirsi, deve superare gli ostacoli, deve darsi degli obiettivi. Deve autodeterminarsi ricorrendo alle proprie capacità, affrontando caso per caso, moltiplicando il confronto costante con i propri simili. Un confronto fatto di differenze, discussioni animate, errori, tentativi e apprendimento. Un confronto pluralista. Per l’anarchia le differenze non sono mai pregiudizievoli. Senza di esse non c’è sviluppo. Come dice Amedeo Bertolo, il potere, per sua natura, nega tutto ciò che gli si oppone e la diversità gli si oppone in quanto ingovernabile. Per questo il potere deve distruggere le diversità o, quanto meno, incanalarla nella diseguaglianza. Al contrario, l’anarchia si nutre e cresce grazie alla diversità. Il confronto, che non è competizione, aiuta a maturare la propria identità e prenderne coscienza. Perché soltanto quando si riconosce la propria e l’altrui specificità è possibile coesistere. La diversità deve essere non solo accettata, ma esaltata, ricercata, creata, ricreata continuamente. Perché la diversità è il bisogno dell’uomo di dare valore a se stesso. Diverso è bello, dice ancora Bertolo, che conclude sottolineando come l’unione dei diversi non sia fratellanza, che definisce un concetto specularmente simile all’utopia gerarchica di una conciliazione coattiva10, ma solidarietà, quel sentimento ancestrale che ci rende uomini e non isolate unità biologiche. In tal senso la pedagogia libertaria è assolutamente originale, in quanto nega qualunque forma di omologazione. Nessun voto, nessuna gerarchia, nessuna autorità, nessuna imposizione. Non ci sono differenze di merito, non ci sono vantaggi, nessuno è privilegiato. E poi accadrà quel che deve accadere!».

Pottutto tirò un sospiro di sollievo: «Adesso abbiamo finito?»

«Aggiungo solo che aveva ragione José Antonio Emmanuel quando diceva che se non vi liberate attraverso la scuola, vi costerà fatica redimervi e liberarvi quando sarete grandi11. Altrettanto vero è che per conseguire la coscienza di sé e la conseguente capacità di autodeterminazione è necessario un ulteriore scatto». Feci una pausa. «Che ne dite se parliamo di libertà?».

 

NOTE

1 – Emile Armand, L’iniziazione individualista anarchica, 1923, Tip di C. Mori 1956.

2 – Bakunin, Stato e anarchia, 1873, Feltrinelli.

3 – Bibbia, Lettera agli Ebrei, 11,8. NdA – Il chiamato da Dio, obbedì è Abramo.

4 – Hannah Arendt, La banalità del male, 1963, Feltrinelli.

5 – Comitato invisibile, L’insurrezione che viene, 2007.

6 – Colin Ward, Anarchia come organizzazione, 1976, Eleuthera.

7 – Isabelle Attard, Perché sono diventata anarchica, 2021, Eleuthera.

8 – G. Ragona, Anarchismo, ivi.

9 – Emile Armand, L’iniziazione individualistica anarchica, 1923, Tip di C. Mori 1956.

10 – Amedeo Bertolo, Anarchici e orgogliosi di esserlo, 2017, Eleuthera.

11 – José Antonio Emmanuel, L’anarchia spiegata ai bambini, 2022, Ed Risma.

 

Editing a cura di Costanza Ghezzi

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N. 19 – EDUCAZIONE: EDUCAZIONE TRADIZIONALE

«Splendido!». Pottutto attese che tornassi al mio posto. «Vuole una sigaretta?»

«Ho smesso da quando mio padre…»

«La prenda!». Sorrise a bocca stretta. «Mica vorrà godersi tutti gli ergastoli?» Svaporò sulle lenti degli occhiali. «Sa cosa credo?»

«Sono curioso» dissi.

«Credo che le piaccia parlare di libertà e di eguaglianza, ma sotto sotto vorrebbe che tutti la pensassero come lei!»

«Di solito questo avviene in democrazia…»

«Non vuole che gli altri le dicano cosa fare, ma vorrebbe che gli altri facessero cosa dice!»

«Questa invece è la tirannia che sta dietro la sua maschera!»

«Non le credo!»

«Se non crede a me, creda a Emile Armand quando dice che gli anarchici ritengono che l’esercizio e la pratica della dominazione sia pregiudizievole e nefasta allo sviluppo e alla espansione della personalità umana. Per questo non si sognerebbero mai di imporre il loro punto di vista a coloro che dichiarano di non saper fare a meno dei paraocchi e delle redini dell’autorità1. L’anarchia non impone la propria visione del mondo. Auspica però che le persone diventino più consapevoli e si uniscano per migliorarlo. Una crescita che comincia da ragazzi, quando si è fragili e manipolabili. Non a caso i libertari considerano l’educazione il principale mezzo di emancipazione contro le deturpazioni provocate dal dominio. Criticano, infatti, la scuola tradizionale, che invece di sviluppare la personalità degli individui, mortifica e annichilisce imponendo nozioni inutili, un apprendimento acritico e costringe all’obbedienza annullando la soggettività. Insomma, tutti siamo andati a scuola…».

Manganello tossicchiò.

«Okay, quasi tutti!» precisai. «Ricordiamo i banchi scomodi, il silenzio durante le lezioni, la possibilità di parlare se interrogati, l’alzarsi se autorizzati e via discorrendo. C’è un professore che comanda, ci sono gli studenti che obbediscono. Un rapporto vessatorio, verticale, che inevitabilmente degenera in relazione sociali alterate, in cui l’individuo non può esprimere la propria autenticità perché costretto a essere disciplinato, deferente e remissivo. Disciplina, consenso e remissività che, come dice Francesco Codello, sono le basi su cui il potere si regge.»

«Mi sta dicendo che se il mondo non le piace la colpa è dei maestri?»

«Le sto dicendo che la scuola è uno dei tanti strumenti utilizzati per ammaestrare le persone e renderle incapaci di agire autonomamente. Dice Bakunin: la libertà di ogni individuo è il riflesso della sua umanità o del suo diritto umano nella coscienza di tutti gli uomini liberi, suoi fratelli, suoi eguali in quanto io stesso sono umano e libero soltanto nella misura in cui riconosco la libertà e l’umanità di tutti gli uomini che mi circondano. Solo rispettando la loro umanità rispetto la mia essenza umana2. Ma perché l’individuo realizzi questo egoismo altruistico occorre che apprenda e viva l’esperienza coscientemente, senza condizionamenti che lo determinano: sia capace di autodeterminarsi. Cosa che sarà sempre preclusa se la sua mente verrà infarcita dalla logica della supremazia. Non è un caso, infatti, che i più innovatori pedagoghi fossero libertari.»

«Libertini?»

«Libertari!»

«Libertari?»

«È sinonimo di anarchici» spiegai: «Come dice Gaston Piger: è un termine che fa meno paura di anarchico» precisai. «Però fa molto fariseo. Per questo piace tanto ai perbenisti!»

 

«L’educazione tradizionale, che indottrina e plasma la mente all’obbedienza, è l’espressione della società autoritaria, in cui il chiamato da Dio, obbedì3 porta le sue convinzioni a realizzare la banalità del male di cui parla Hannah Arendt4». E guardando Manganello che esitava a scrivere il nome: «Hannah si scrive con due H» dissi.

«Come Deborah-h?» Con doppia aspirazione finale.

«Una all’inizio e una alla fine» precisai. «Le scuole sono carceri e l’apprendimento acritico crea solo individui narcotizzati che una volta tornati in società sono automi consenzienti. L’errore, non casuale, è di prospettiva: io studio perché mi piace, perché mi aiuta a crescere, perché il Potere non si combatte con l’ignoranza o la remissività. E poi, mi permetta…»

«Deve andare in bagno?»

«No!» risposi. «Educare viene da ex-ducere, tirar fuori. Non plasmare, imporre, trasferire, determinare o altro. Anche etimologicamente…!»

«Quindi?». Pottutto mi sollecitò a concludere.

«Quindi l’educazione tradizionale assolve la funzione di conformare e di selezionare. Addomesticare il discente all’obbedienza a cui sarà costretto per tutta la vita e selezionare per il mercato gli individui più obbedienti, docili, remissivi, perciò efficienti, produttivi, performanti, sottomessi proprio come vuole il sistema.»

«Come al solito le piace esagerare. A scuola, come nella vita, sono i migliori che vanno avanti!»

«I migliori chi?» sorrisi. «La meritocrazia è una baggianata. Già nell’Ottocento Bakunin la definiva l’ideologia del nuovo capitalismo. Recentemente anche il Papa ha detto che è la legittimazione etica della disuguaglianza. E poi, chi sono questi così detti migliori? I più bravi a sgobbare? I più obbedienti? I drogati del profitto? Per non parlare di come il denaro assicuri ai soliti figli di scuole prestigiose, master, esperienze all’estero e conoscenze necessarie all’inserimento nel mondo del lavoro che conta.»

«Non sapevo che il qualunquismo fosse una caratteristica dell’anarchia!»

«La chiamerei più presa di coscienza che nella società del dominio l’eguaglianza sostanziale, cioè la parità di condizioni di partenza, è l’ennesima illusione soffiata in faccia ai sempliciotti.»

«Quindi, secondo lei la scuola non serve a niente?»

«Non ho detto questo! Senza la castrazione scolastica la società del dominio non potrebbe sfornare a getto continuo impiegati ben addomesticati5

«Quanti bei discorsi!» il maresciallo si stizzì. «Posso andare a chiamare l’agente Sevizia che questo non lo sopporto più?»

«Si rimetta a sedere, Manganello!» lo esortò Pottutto.

 

NOTE

Vedi cap 20

Editing a cura di Costanza Ghezzi

In foto: Francisco Goya, Scene di scuola, 1785