11- La giustizia non è la legge

«Dico solo che per dare un senso alle cose non c’è bisogno di inventarsi chissà che. Come non è necessario Dio, non occorre una legge per stabilire cosa è bene cosa è male.»

«Ah, no?» Pottutto esclamò.

«Eh, no!». Ne imitai il tono. «Tanto perché la legge è emanazione dello Stato, “l’equivalente laico della Chiesa” come lo definiva Bakunin, il cui fondamento contrattualistico ha la stessa valenza di una Madonna che piange. In secondo luogo perché la legge definisce dall’esterno le condotte degli individui». Recuperai la loro attenzione con una pausa. «La legge, statale o morale che sia, non produce mai vera libertà. Quando la nostra condotta è ingabbiata nelle regole, si ha solo subordinazione a una volontà esterna. Con la legge, infatti, io non scelgo, sono libero solamente di obbedire a essa, direbbe Stirner. Se vuole…». Indicai la pila di fogli.

Pottutto cercò l’articolo con fare scocciato.

Lessi: «”Lo Stato restringe la libertà dei singoli solo per assicurare loro la parte restante. Ma ciò che resta può essere sicurezza, non è mai libertà”, perché, “la libertà è indivisibile; non si può toglierne una parte senza ucciderla tutta. Questa piccola parte che si toglie è l’essenza fondamentale della mia libertà”1.» Non li vidi convinti: «tutto chiaro?»

«Preso appunti, Manganello?». Il pubblico ministero colse in fallo il maresciallo a cui si era rotta la punta del lapis.

«Solo se incondizionatamente libero, ossia non determinato dai preconcetti, dalle superstizioni, dai dogmi, l’individuo può sviluppare una propria, esclusiva coscienza di sé, cioè una personalità, ed essere nel mondo, non essere del mondo. A quel punto potrà determinarsi come, uso le parole di Proudhon, “autocrate di se stesso”. Al contrario, senza consapevolezza non c’è personalità, quindi niente autonomia. E senza autonomia addio etica. Quando Stirner diceva che “La libertà deve essere totale, un pezzetto di libertà non è libertà” è perché aveva capito che la libertà è la condizione necessaria per il compimento della volontà, senza la quale ci scordiamo l’autodeterminazione».

Il pubblico ministero mi guardò storto.

«Perché mi fissa in quel modo?»

«Secondo me sta dicendo un sacco di fregnacce per nascondere la verità!»

Un «Cioè?» grosso come una casa penzolò dalle mie labbra.

«E cioè che volete fare quello che vi pare!»

«Dice? Se mi permette, faccio l’esempio della Scuola di Little Commonwealth fondata da Homer Lane.»

«Conosciamo questo Homer Lane?». Il magistrato domandò a Manganello che, in fretta e furia, sfogliò le prime due pagine di un blocchetto su cui erano appuntati alcuni nomi: «Non c’è!» gli rispose.

«Allora segni!» ordinò il primo.

«È morto anche lui!» dissi.

Ci rimasero molto male.

«Little Commonwealth era un esempio di scuola comunitaria autogestita che accoglieva giovani disadattati, in gran parte poveri o delinquenti. All’interno della struttura essi erano liberi di fare quello che volevano, compreso sfogare la spontaneità ribelle. Lane, invece di rimproverarli o punirli, li lasciava fare o partecipava al gioco. In quel modo lo scontro perdeva di significato e i ragazzi non solo si calmavano, ma cominciavano ad autoregolamentarsi.2»

Feci una pausa impressionato dalle loro espressioni da cernie nel congelatore. «Questa esperienza di educazione libertaria ci insegna due cose: la prima è che è possibile passare dalla legge del più forte all’auto-responsabilità. La seconda è che qualunque gruppo sociale, anche se costituito da “rifiuti della società”, può creare spontaneamente e armonicamente una comunità fondata sulla condivisione delle regole senza bisogno di imposizioni dall’alto. Da ciò consegue un’altra sacrosanta verità, ovverosia che le leggi servono solo a chi le fa, per perpetuare i propri privilegi.»

«Non può convincere un uomo di legge che la legge sia inutile!» esclamò Pottutto con sufficienza.

«Quindi, fosse un uomo d’agricoltura, ci riuscirei?» lo sferzai. «Se volete, possiamo leggere un altro estratto. Stavolta di Kropotkin.»

«Ancora questo Kropotkin?»

«Ha una prosa sublime!»

Il magistrato lesse: «“L’anarchia non è sinonimo di caos, ma corrisponde a una situazione armoniosa risultante dall’abolizione dello Stato e di tutte le forme di dominio e di sfruttamento dell’uomo. Si fonda sull’eguaglianza degli individui, la libera associazione, la federazione, l’autogestione e talvolta il collettivismo. L’anarchia, dunque, è strutturata e organizzata senza che vi sia una qualsiasi preminenza dell’organizzazione sull’individuo…”». S’interruppe un attimo. «Scommetto tre giorni senza rancio che vi siete messi d’accordo!»

«Emma Goldman invece aggiungeva che lo Stato “crea ordine con la sottomissione e lo conserva grazie al terrore”3».

«Ma io mica la sto terrorizzando?» il pubblico ministero s’inalberò.

«No, ma le piacerebbe!»

Lo ammise con una fugace oscillazione di quell’orribile capoccia a forma di pera.

++++

«Quasi quasi leggerei anche Malatesta. Che ne dite?»

Silenzio polare.

Poi il PM cercò la pagina: «”Il governo infatti si piglia la briga di proteggere, più o meno, la vita dei cittadini contro gli attacchi diretti e brutali; riconosce e legalizza un certo numero di diritti e doveri primordiali e di usi e costumi senza di cui è impossibile vivere in società; organizza e dirige certi esercizi pubblici, come posta, strade, igiene pubblica, regime delle acque, bonifiche, protezione delle foreste, ecc…”»

«Ora viene il bello. Legga, legga!»

«”Apre orfanotrofi e ospedali e si compiace spesso di atteggiarsi, solo in apparenza s’intende, a protettore e benefattore dei poveri e deboli. Ma basta osservare come e perché esso compie queste funzioni, per riscontrarvi la prova sperimentale, pratica, che tutto quello che il governo fa è sempre ispirato allo spirito di dominazione, ed è ordinato dal difendere, allargare e perpetuare i privilegi propri e quelli della classe di cui egli è il rappresentante e il difensore”». Il magistrato appoggiò il foglio sul tavolo.

«Non è finito!» dissi.

«Ah, no?»

«Un altro pezzettino!»

«Ma sono stanco!». Il PM brontolò. «”Un governo non può reggersi a lungo senza nascondere la sua natura dietro un pretesto di utilità generale, esso non può far rispettare la vita dei privilegiati senza darsi l’aria di volerla rispettata in tutti; non può far accettare i privilegi di alcuni senza fingersi custode del diritto di tutti”4».

«Bel paraculo lo Stato, eh?» dissi sornione. «Ma in tutto questo, sapete qual è la cosa buffa?»

«Ora mi fa anche gli indovinelli?»

«La cosa buffa è che le persone credono davvero che agisca per il bene pubblico. Sono talmente plagiate da essere convinte che la legge rappresenti la loro volontà. ”Ipnosi collettiva”, la chiamava Tolstoj». Sospirai. «Più prosaicamente, è semplice stupidità!»

NOTE

1 – M. Bakunin, Federalismo, Socialismo, Antiteologismo, incluso nel volume Libertà, eguaglianza, rivoluzione, 1976.

2 – Filippo Trasatti, Lessico minimo di pedagogia libertaria, 2020.

3 – Femminismo e Anarchia, Emma Goldman, Raccolta di scritti di Emma la rossa, pubblicata nel 2009.

4 – E. Malatesta, L’Anarchia, 1891.

Editing a cura di Costanza Ghezzi: www.costanzaghezzi.com, costanza ghezzi@gmail.com

Immagine: Avvocati e giudici del ritrattista Honoré Daumier

10- La giustizia non è Dio

«Okay!» dissi. «Tanto per cominciare la nostra idea di giustizia non è data da un’entità intangibile. Per intenderci: non ci sono comandamenti a cui obbedire per conquistare il Paradiso. Non c’è Dio, nessun Dio che impone cosa è bene e cosa è male.»

«Lo sapevo. È ateo!» gorgoglio sprezzante Manganello.

«Maresciallo, si calmi Forse ha capito male!» osservò il PM. «Sarà mica ateo?» chiese rivolto a me.

«Solo durante la settimana. Il weekend mi dedico all’orto!»

«Ha visto?». Pottutto tranquillizzò l’ufficiale. «Il weekend si dedica all’orto… Che c’entra l’orto?» di nuovo a me.

«Un uomo che non ama la natura, che non apprezza la sua bellezza, che non prova tenerezza per gli animali è un uomo senza spiritualità, un automa incapace di cogliere che nel continuo divenire della vita, seppur per un attimo insignificante dell’infinito, è parte di una meraviglia. “Deus sive Natura” diceva Spinoza». E sospirando: «Non avete idea di quanta trascendenza c’è in una gallina!»

«Una gallina?»

«In un fiore che sboccia o in un ciliegio che fruttifera!»

«In un ciliegio?»

«Ha mai colto un frutto dall’albero e poi lo ha mangiato?»

«Una volta. Una mela.»

«E cosa ha provato quando l’ha morsa?»

«C’era il baco dentro!»

«La mela col baco… sublime!» recitai. «A parte questa personalissima visione eracliteo-panteistica, gli anarchici non credono in una vita a venire. Non possono concepire un’entità che guarda da chissà dove o giocherella con le esistenze come facevamo da bambini con i Playmobil

«Ma la mia mammina dice che la fede spiega il mondo!»

«Se lo dice la sua mammina!». Alzai le braccia in senso di resa. «La fede, come lo spiritualismo, nasce da un bisogno di risposte. Ma se quest’ultimo non si stanca mai di cercarle, la prima ricorre a costrutti suggestivi che intontiscono le menti: è una “fantasia dell’immaginazione vestita di onnipotenza”, diceva Elisee Reclus.»

«Dio non intontisce nulla: c’è il libero arbitro.»

«Quindi osserva e giudica? E siamo più tipo film, serie televisiva o reality show? In ogni caso non mi sembra molto consolante! Se gli uomini hanno bisogno di guardare oltre per dare un senso alla cose, confidare nell’irreale è il metodo più sbrigativo per rendere tutto accettabile!»

«Quanto cinismo! La fede è… la fede è un atto d’amore!»

«Non la facevo così sentimentale!»

«E si sbagliava perché metto amore in tutto quello che faccio!»

«Anch’io ci metto tanto amore!» intervenne Manganello che, evidentemente, si sentiva emarginato dalla discussione.

«Come potrei mandare in prigione le persone se non mettessi amore nel mio lavoro?» precisò il PM.

«Perché io nell’estorcerle la confessione?» disse Manganello.

«Perdonate. Mi ero lasciato fuorviare dal pregiudizio!»

«E quando ci metto amore è come se sentissi Dio che mi parla e mi dice: continua così, sono fiero di te!»

«Sicuro non sia il diavolo?» scherzai. «Pensi, però, come siamo diversi: io quando ho bisogno di trascendenza mi dedico all’orto.»

«Ancora quest’orto?»

«Cosa è più mistico di una pianta che cresce dopo averla innaffiata o di un albero che torna a sorridere dopo averlo potato? E poi prendersi cura della natura non è solo spirituale, ma anche piacevole. La sua bellezza, l’armonia, quel senso di essere parte di un tutto… Le piace passeggiare nei boschi?» chiesi al pubblico ministero.

«A volte!» Pottutto rimase vago. «Ma quegli alberi uno accanto all’altro, le chiome che coprono il cielo, quei fruscii misteriosi… non so come spiegarle: mi mettono ansia!»

«Mai camminato a piedi nudi?»

«A piedi nudi? Con tutti i sassi, la mota, le formiche…?»

«Preferisco pensare che Dio zampetti fra loro piuttosto che immaginarlo lassù!»

«Si chiama fede proprio per questo!»

«Si chiama fantasia proprio per questo!» replicai. «Emile Armand diceva che la fede è “un fenomeno di catalessi interiore e sentimentalità mistica”1. Credere nell’ignoto, infatti, sarà molto consolatorio e suggestivo, ma non è meno illusorio dell’idolatrare una sedia, un foglio di carta, una ciabatta, oppure il Quelo2. Capisco chi ha bisogno di conforto e apprezzo le persone spirituali. Ma se cercassero nel fango anziché in cielo, sicuramente l’uomo sarebbe più consapevole. Per non parlare degli effetti devastanti che la religione ha prodotto nella storia… leggiamo Bakunin?»

«Non è che ne senta tutto questo bisogno!»

«Mi creda, è illuminante!»

«A casa lo farò sicuramente!». Pottutto provò a eludere.

Presi il foglio dalla pila. «“È necessario ricordare quanto e come le religioni intorpidiscano e corrompano i popoli? Esse uccidono in loro la ragione, il principale strumento di emancipazione umana, e li riducono all’imbecillità, condizione essenziale della loro schiavitù. Esse disonorano il lavoro umano e ne fanno un contrassegno e una fonte di servitù. Esse uccidono la cognizione e il sentimento dell’umana giustizia, facendo pendere sempre la bilancia dalla parte dei bricconi trionfanti che godono del privilegio della grazia divina. Esse uccidono la fierezza e la dignità umane, proteggendo solo gli esseri servili e gli umili. Esse soffocano nel cuore dei popoli ogni sentimento di fratellanza umana, colmandolo di crudeltà divina”». E prosegue: «”Tutte le religioni sono crudeli, tutte sono fondate sul sangue; perché tutte si adagiano principalmente sull’idea del sacrificio, cioè sul sacrificio perpetuo dell’Umanità all’insaziabile vendetta della Divinità. In questo sanguinante mistero, l’uomo è sempre la vittima, e il prete, uomo anch’esso ma uomo privilegiato dalla grazia, è il divino carnefice. Questo ci spiega perché i preti di tutte le religioni, i migliori, i più umani, i più comprensivi, hanno sempre nel fondo del loro cuore, hanno sempre nei loro sentimenti qualcosa di crudele e sanguinario”.3»

«Non sarei così categorico, la Chiesa fa anche cose buone. Prenda, ad esempio, la mensa per i senzatetto che sta alla fine della strada!»

«Quella è solidarietà» precisai. «Crede davvero che l’uomo non sarebbe solidale col prossimo se non ci fosse la religione? Certo che lo sarebbe! Tutti proviamo pietà e desiderio, quasi un bisogno fisico, di aiutare chi sta peggio. Prima ho citato Malatesta per il quale essa è un principio assoluto, ma Proudhon parla di mutualismo, Kropotkin di mutuo appoggio. La solidarietà è innata in ciascuno di noi. Non ha bisogno di imposizione divina, casomai di un ambiente che la valorizzi». Mi interruppi perché Manganello scuoteva la testa vistosamente. «Non è d’accordo, maresciallo?»

«Pensavo alla pietà…»

«E…?»

«Quando l’arrestato nega l’evidenza… vi giuro, è più forte di me!»

«Non se ne faccia un cruccio. Negli psicopatici è consueto il deficit affettivo!» lo consolai. E perché non replicasse: «Per il momento, comunque, preferirei non dilungarmi sull’argomento.»

«Eviterei di tornarci anche più tardi!» sottolineò Pottutto.

«Come vuole, dottore. Ma se deve essere una confessione, sarebbe meglio fosse completa. Non le pare?».

NOTE

1 – Emile Armand, Vivere l’anarchia, raccolta di articoli del filosofo pubblicata nel 1983.

2 – Culto di un pezzo di legno inventato dal genio comico di Corrado Guzzanti.

3 – M. Bakunin, Dio e lo Stato, 1882.

editing a cura di costanza Gezzi -www.costanzaghezzi.com, costanzaghezzi@gmail.com

Immagine: Pierre Paul Proud’hon, La giustizia e la vendetta divina, 1804

 

9- Morale e etica

«Ma c’è di più!» li presi in contropiede.

«Ci vuole dire dove tenete le armi?». Pottutto si eccitò.

«Le nostre armi sono le parole!» scherzai.

Dalla tasca interna della giacca, la stessa da cui prima aveva tirato fuori il castagnaccio, prese una clessidra. «Le do due minuti!». La sabbia cominciò a cadere. «Uno e cinquanta, uno e quarantanove, uno e quarantotto…».

Presi fiato. «L’anarchia è una scelta etica» sentenziai. «Conoscete la differenza fra etica e morale?» chiesi.

«La morale è andare a messa!». Il pubblico ministero improvvisò.

«Commettere un reato è immorale!» aggiunse il maresciallo per non essere da meno.

«La differenza è molto semplice: la morale è quel complesso di valori, ideali, tradizioni culturali e religiose che una società si dà per soddisfare il bisogno di sopravvivenza. E la società cos’è? È quella somma di persone riunite da un potere sovrano a cui viene detto che solo realizzando il suo interesse potranno conseguire il proprio. Quindi la morale è data dai valori, ideali, eccetera eccetera, che tale Potere crea e impone per legittimarsi e perpetuarsi. In altri termini, la morale è uno strumento di controllo: devi fare quello, non devi fare quello!».

 Conclusi: «E se per i primitivi queste prescrizioni si saldavano nelle consuetudini, in epoca medioevale negli imperativi religiosi, oggi che Dio è morto…»

«Come è morto?». Manganello sobbalzò sorpreso.

«È un po’ che è morto!» replicò saccente il pubblico ministero.

«Lo sanno tutti che la civilizzazione gli ha dato il colpo di grazia!» dissi.

«Ma dai!»

«La tecnologia ha ucciso l’immaginazione e senza immaginazione…». Non c’era bisogno che terminassi la frase. «Morto Dio, il suo posto è stato preso dallo Stato prima, dal capitalismo scientifico poi. Non cambia granché: una volta l’autorità stava lassù, oggi sta qua giù, in mezzo a noi. E non c’è autorità che non esprima la sua morale». Mi presi una pausa. «Ma, oltre a consentirle la conservazione, perché l’autorità ha bisogno della morale?»

«Per essere più giusta?»

«Wow, il nostro Manganello!» giubilai. «Soprattutto perché senza morale non ci sarebbero gli ingiusti, e senza ingiusti, il Potere non potrebbe proclamarsi giusto!». Schiarii la voce. «Non è detto, però, che un comportamento moralmente corretto sia anche oggettivamente corretto. Faccio un esempio: mio padre, oltre a essere un bevitore numero uno, aveva il vezzo di dimostrarci il suo amore con delle sane labbrate. Un giorno vidi mio fratello che frugava nel suo armadio. Colto in flagrante, confessò che stava cercando qualche spicciolino per uscire con gli amici. L’avessi riferito al babbo, cioè avessi raccontato la verità, avrei tenuto un comportamento moralmente corretto, ma mio fratello avrebbe preso una tale vagonata di botte che non lo avrei più riconosciuto. Non avessi detto la verità, sarei stato complice, cioè avrei tenuto una condotta moralmente improba, e il vecchio avrebbe cambiato i connotati anche a me.»

«Scommetto che non ha detto niente!». Pottutto sogghignò.

«I soldi li ho presi io senza dire nulla. Così mio padre non è impazzito e mio fratello non ha rischiato la vita… e sono andato al cinema con la mia ragazza!».

Il pubblico ministero mi fissò interdetto. Poi: «Mi spiace, ma la clessidra…». La indicò per mostrare che la sabbia era scesa completamente.

«C’è l’extra-time» dissi. «Mi avete interrotto più volte!».

Alzarono le mani.

++++

«L’etica, dal greco ethos, cioè carattere, comportamento, ha un significato più ampio. Di fronte a una determinata situazione, a una condotta da tenere, una scelta da fare, l’individuo si interroga su cosa è giusto e cosa è sbagliato. Attiva quindi un ragionamento che tenga conto degli aspetti personali, sociali, ambientali, altro, che lo portano a una soluzione che contempli la sua personale idea di giustizia». Li vidi dubbiosi. «Faccio un esempio. Se mi trovo in un bosco, posso buttare la sigaretta accesa fra le sterpaglie rischiando un incendio, oppure posso spengerla con le dita e metterla in tasca. Decido per questa seconda alternativa in quanto valuto che, se provocassi un incendio, non solo violerei la legge, cosa di cui mi fregherebbe il giusto, ma ucciderei gli alberi, gli animali, la natura circostante, cosa di cui non mi darei pace. Attraverso un giudizio razionale-emotivo, quindi, scelgo un comportamento che realizza il mio senso di giustizia, ovvero proteggere madre natura. Questa è l’etica.»

«No, questa è la morale!» replicò Pottutto piccato.

«No, è etica!» ribattei.

«È morale!» insistette.

«Etica!». E siccome le vene cominciavano a gonfiarsi: «Prego!» Gli passai la pallina di pongo. «Se non si arrabbia, glielo spiego in un altro modo!» dissi conciliante.

«Già, lo spieghi anche a me, perché non ho mica capito tanto bene!» sibilò il maresciallo.

«Lo spiego a entrambi, contenti?». Mi voltai verso le segretaria gobboni sul computer. «Lo spiego anche a lei, signorina?».

Fece no col ditino.

«Ho detto che il Potere impone alla società la sua morale per non estinguersi. Ma chi o cos’è questo Potere?» chiesi a bruciapelo. «Ve lo dico io!» li soccorsi. «È il potere economico: chi ha i soldi. In una società autoritaria, sempre loro comandano!» dissi con la faccia dell’ovvietà. «Quindi la morale è quell’insieme di linea guida a cui le persone devono conformarsi per soddisfare il potere economico che si ramifica nelle molteplici strutture di dominio. Fin qui ci siamo?».

Proseguii: «Con l’etica la situazione si ribalta: è l’individuo che giudica, dubita, valuta, sceglie. Non è più un soggetto passivo, ma diventa attore, interprete e giudice della contingenza. Stabilisce cosa è giusto e cosa è sbagliato. E lo fa attraverso un processo razionale ed emotivo, sottolineo emotivo perché non esiste ragione senza sentimento, che tenga conto del carattere, delle esperienze, delle conoscenze, degli affetti, di tutto ciò che forma la sua personalità in divenire.»

«Mi sa di già sentito!» eccepì il pubblico ministero convinto.

«Probabile in quarta liceo!» chiarii. «Il concetto ha radici, infatti, nell’illuminismo.»

«Ecco, nell’illuminismo… Ce l’avevo sulla punta della lingua!». Il PM gongolò. «Grozio?».

Non mi sembrò il caso di spiegare che Grozio era un giusnaturalista. Mi limitai a un Kant detto sottovoce per non mortificarlo. «L’anarchia, infatti, coglie, e in alcuni casi estremizza, i principi illuministici. A proposito…»

«Mi perdoni». Il magistrato indicò ancora la clessidra: «Ormai abbiamo superato l’extra-time, i supplementari e i calci di rigore!»

«Chiudo velocemente!» lo rassicurai. «Nel 1781…»

«Allora mi prende in giro? Dice di fare veloce e va indietro di tre secoli?»

«Mi faccia finire, vedrà che… Nel 1781 Kant scriveva quel Vangelo contemporaneo che è la Critica della ragion pura. Per farla breve, egli distingueva fra il fenomeno e il noumeno. Il fenomeno è la conoscenza empirica data dall’esperienza. Il noumeno è la conoscenza della cosa in sé, che può avvenire soltanto attraverso la ragione pura, cioè un giudizio emancipato da ogni determinazione morale, normativa, eccetera. Un processo razionale che sfocia nell’idea. Etico, quindi. In maniera simile ragiona l’anarchico, che può considerarsi l’ultimo degli illuministi, quando critica l’ordine esistente per tendere alla propria idea assoluta di giustizia suprema. Egli rifiuta la legge e la morale per creare un proprio codice che tenga conto della sua personalità, dei suoi interessi, delle sue aspirazioni. Si affranca così dai condizionamenti esterni per porre in essere scelte autonome. Come diceva Ghandi, infatti, l’etica sta nel scegliere la propria strada e percorrerla senza paura. Ed è proprio in virtù di quell’ideale supremo, di quel giudizio di valore che guida ogni decisione personale che Malatesta attribuisce al sentimento di amore che nasce dal soffrire quando gli altri soffrono, il fondamento dell’essere anarchico. Perché cosa è più etico di voler eliminare ogni sorta di ingiustizia?»

«Non ho capito una cosa». Pottutto borbottò guardando Manganello, che gli rispose con un’espressione da: «Solo una?». Giochicchiò con il tappino della penna. «Lei parla di giustizia, di bene e male, ma non ho capito a cosa si riferisce. E soprattutto, è un’ora che siamo qui e ancora non mi ha fatto un nome! Per me, ad esempio, a questo punto potrebbe essere giusto applicarle due elettrodi… Dove va, Manganello?»

«A prendere il generatore coi cavi elettrici!» bofonchiò il maresciallo. «Non ha appena detto che…?»

«Si metta a sedere!».

Ringraziai il pubblico ministero per la clemenza e gli feci presente che non sarebbero bastati due giorni per riassumere tremila anni di storia di filosofia etica.

«Allora mi dica quale è la vostra idea di giustizia e tagliamo la testa al toro!».

 

Dipinto: Minjun Yue, Free and leisure, 2003

Editing a cura di Costanza Ghezzi, www.costanzaghezzi.com, costanzaghezzi@gmail.com

 

8- Anarchia e nichilismo: distruggere ed edificare

Il PM sbirciò nuovamente l’immagine della showgirl.

«Andiamo avanti con l’interrogatorio?» dissi. Non capivo se la sua espressione fosse dovuta alla consapevole rassegnazione che non gli sarebbe mai toccata oppure a quel tipo di biasimo che neanche anni di liberazione sessuale con Wilhelm Reich1 avrebbero sanato. «Vorrei sottolineare un altro aspetto…»

«Su di lei?». Puntò il dito sulla soubrette.

«Dell’anarchia.»

«Giusto, dell’anarchia. Di quello parlavamo!»

«In tanti associano erroneamente l’anarchia al nichilismo. Sono due cose completamente diverse» sentenziai.

«Diverse!». Pottutto gorgogliò ancora imbambolato.

«Benché abbiano tratti comuni…»

«Comuni.»

«Granciporro» dissi per vedere se ripeteva anche quello.

«Come?»

«Dicevo che il nichilismo e l’anarchia sono due cose completamente diverse. Il nichilismo è una dottrina filosofica che…»

«Mi scusi se la interrompo» mi fermò il magistrato.

«Non si preoccupi, sarò breve!» avendo intuito cosa volesse chiedere. «Il nichilismo nasce verso la metà del XIX secolo. Si sviluppa in Russia e si diffonde in Europa come critica radicale della società, dei suoi valori, delle sue leggi, della metafisica, della morale. Molti dei suoi esponenti, infatti, pianificavano di sovvertire i regimi uccidendo i tiranni. Ma il nichilismo è anche una filosofia. Afferma che, se il reale non è reale, non è possibile conoscerlo, quindi la realtà è nulla.»

«Non fa una piega!» disse Manganello.

«Zitto un po’!» Pottutto pensieroso. «Tipo Gorgia? Anche lui, se non sbaglio…»

«Si vede che ha fatto il classico!» lo adulai. «E ha ragione, perché la filosofia è come un bravo cuoco, non butta via niente!» dissi. «A proposito di cucina, mi raccomando i complimenti alla mammina per il castagnaccio. Veramente buono!» unsi ancora. «Tornando al nichilismo, esso nasce in reazione alla fede irrefutabile che l’illuminismo riponeva verso la ragione e trova in Artur Schopenhauer uno dei maggiori sostenitori. Egli afferma che il mondo non esiste perché è pura apparenza, però la volontà può percepirlo attraverso la propria negazione. Un po’ contorto, lo so. Ma Il mondo come volontà e rappresentazione è un libro bellissimo2. Anche Stirner, l’ho citato prima, può considerarsi un nichilista…»

«L’albanese?»

«Il filosofo!»

«Anche Stirner, dicevo, è considerato un teorico del nichilismo, soprattutto per le sue posizioni antireligiose e negazioniste. Ma l’elenco dei sostenitori è lunghissimo. Pensate che alcuni anarchici, in gran parte anarco-individualisti, si dichiaravano nichilisti per distinguersi dalla corrente sociale dell’anarchismo. Mi viene in mente Renzo Novatore, che si vantava di negare qualunque cosa e lo faceva, parole sue, con entusiasmo dionisiaco che irride qualsiasi prigione teoretica, scientifica, morale. Un rifiuto del mondo che lo portava a lottare contro le strutture coercitive per affermare la propria capacità di potenza3.» 

«Sembra Nietzsche!»

«Novatore si è molto ispirato al grande filosofo. Parla di capacità di potenza da realizzare attraverso azioni di lotta individuale, spesso anche violenta, contro il sistema…»

«Un rompipalle, insomma!»

«Coi controfiocchi!»

«E dov’è che abita questo Novatore?»

«Abitava!»

«Si è trasferito?»

«Anche lui è morto.»

«No!» tuonò Manganello candidamente deluso.

«Commissario» lo rasserenai, «mica li può arrestare tutti!».

++++

«Se il nichilismo nega pervicacemente la società, Dio, l’uomo, l’essere, l’anarchia si sviluppa in tutt’altro modo. Essendo una dottrina pratica che ambisce al progresso della condizione umana, contempla la distruzione dell’ordine esistente per sviluppare una realtà alternativa, diversa, migliore. Diceva, infatti, Proudhon: destruam et aedificabo4. Ovvero: distruggerò e edificherò. Gli anarchici abbattono per creare. Non per piacere o bisogno o semplicemente per negare, ma per realizzare il fine etico di una società più giusta. E quando anche Bakunin afferma che la passione per la distruzione è anch’essa passione creatrice è convinto, come lo sono tutti gli anarchismi, dell’importanza di cancellare gli impianti, gli apparati, le dottrine, l’ideologia, la morale, qualunque dogmatismo che regge il sistema per crearne uno nuovo fondato su una libertà ed eguaglianza che siano finalmente reali, concrete, incondizionate, reciprocamente godibili, non speciosamente concesse dall’alto.»

«E così si ritorna all’autorità!». Manganello sollevò la testa.

«Sempre là si va a finire!». Il pubblico ministero mugugnò con un’espressione sufficiente.

«Quindi l’anarchia non è nichilismo. Non vuole distruggere punto e basta. Vuole sì eliminare ogni forma di autorità che deturpa lo spirito umano, ma vuol anche costruire un mondo antiautoritario e paritario. Destruam et edificabo, appunto! Distruggere le dipendenze alienanti per diventare padroni di se stessi. Finalmente attori principali della propria vita. Questa è l’anarchia».

 

NOTE

1 – Reich, assertore della liberalizzazione sessuale per eliminare la “corazza caratteriale” che impedisce alle persone di essere felici.

2 – Artur Shopenhauer, Il Mondo come volontà e rappresentazione, 1819.

3 – Renzo Novatore, da Anch’io sono un nichilista, articolo scritto nel 1920.

4 – Proudhon, Il sistema delle contraddizioni economiche, 1846.

Dipinto: Cornelis Escher, Occhio, 1955.

Editing a Cura di Costanza Ghezzi, www.costanzaghezzi.it, costanzaghezzi@gmail.com

7- Trilussa

A proposito di socialismo, mi venne in mente una poesia di Trilussa.

«Vogliamo farci una risata?» proposi al pubblico ministero.

«Ci dice tutti i nomi degli anarchici che hanno collaborato con lei?»

«Molto meglio!»

«Ha deciso di iscriversi al concorso per allievi ufficiali?»

Il pubblico ministero sfogliò le pagine del blog fino ad arrivare a quella che avevo indicato.

Mi bastarono due versi per capire che manco la filastrocca del pulcino aveva mai letto.

«Dia a me!» lo esortai.

«Provo io?». Manganello si propose.

«No!» rispose un coro che comprendeva oltre al sottoscritto e il pubblico ministero, anche la segretaria e, seppur con un sibilo informe, la Sfinge davanti alla porta.

«Mi raccomando, silenzio finché non ho finito!» li istruii. Cominciai:

«Un Gatto, che faceva er socialista

solo a lo scopo d’arivà in un posto,

se stava lavoranno u pollo arrosto

nella cucina d’un capitalista.

 

Quanno da un finestrino su per aria

S’affacciò un antro Gatto: Amico mio,

persa – je disse – che ce so pur’io

ch’appartengo a la classe proletari!

 

Io che conosco bene l’idee tue

So certo che quer pollo che te magni,

se vengo giù, sarà diviso in due:

mezzo a te, mezzo a me… Semo compagni!

 

-No, no: – rispose er Gatto senza core

Io nun divido gnente cò nessuno:

fo er socialista quanno sto a diggiuno,

ma quanno magno so conservatore!1».

 

Terminata la lettura seguì qualche secondo in cui il pubblico ministero e il maresciallo non batterono ciglio. Fu la segretaria la prima a strozzare un abbozzo di risata. Bastò perché Pottutto gorgogliasse un: «Ah!» vibrato, a cui seguì l’eh, eh! di Manganello che lo fissava per capire se e quanto osare.

«Carina!» disse il primo sospettoso. «Socialista quando ha fame… conservatore quando mangia…»

«È geniale!» replicai deluso da quella reazione asfittica. «Carina è una felpa con un bel disegno. Carina è la giraffa di peluche che si vince al Luna Park. Carina può essere Elisabetta Canalis!»

«No, quella è bona!». Il maresciallo sciolse gli istinti.

«Manganello!». Pottutto lo riprese. E parlandogli con la mano davanti alla bocca: «Chi è Elisabetta Canalis?»

«Non la conosce?»

«Dovrei?».

Il maresciallo smanettò il cellulare e gli mostrò una foto in cui la soubrette era avvolta da pizzi e trasparenze.

«Simpatica!» il PM frinì. «Simpatica e intelligente!»

«Suvvia, dottore!» Manganello gli fece gomitino. «Si lasci andare. Altro che simpatica, questa è proprio bona!».

 

NOTE

1, Trilussa, Er compagno scompagno.

 

Dipinto: Enrico Robusti, Rane fritte, 2002.

Editing a cura di Costanza Ghezzi – www.costanzaghezzi.com, costanzaghezzi@gmail.com

 

DUE PAROLE VELOCI SU “UNDERGROUND ANARCHICO”

Underground Anarchico è un blog a puntate in cui parlo di anarchia. Lo faccio immaginando di trovarmi nella stanza degli interrogatori davanti ai simpatici pubblico ministero dottor Pottutto e al fido scudiero il maresciallo Manganello. Ovviamente si tratta di fantasia: nella realtà lo sarebbero molto meno.

I capitoli sono brevi e ciascuno di essi tratta un argomento. Verranno pubblicati ogni primo del mese.

Ho scelto il dialogo sia per dare risalto alla spontaneità della narrazione piuttosto che alla sistematicità del ragionamento, sia perché l’anarchia è un “sentimento” che non ha bisogno di sistemi per essere compreso. Che poi compreso da chi? Gli anarchici sanno cosa sono. Sono gli altri, i farisei e i sempliciotti, che ne parlano senza cognizione. Posso dire, quindi, che il blog sia rivolto prevalentemente a loro. Per questo ho cercato di essere il più semplice, a tratti banale, possibile.

Il linguaggio è immediato e diretto. Ho voluto spogliare il testo da ogni orpello e artificio narrativo per dare risalto allo scambio di battute, fondamentale per fare emergere la personalità dei personaggi ed esaltare, seppur in maniera sintetica, i concetti e la passione anarchica.

Numerose sono le citazioni. Anche se non le amo particolarmente, su questo la penso come Shopenhauer, lo scopo degli articoli è divulgativo, quindi non potevo non dare voce ai padri dell’anarchia che l’hanno spiegata in maniera molto più efficace di quanto sarei in grado di fare personalmente.

Invito chiunque a contribuire. Accetto pareri, consigli, anche collaborazioni. Chi volesse può scrivere alla mail: raimondomariadopraho@gmail.com

Dedico Underground Anarchico alle vittime di Stato, per le quali non ci sarà mai giustizia.

Adesso vi saluto perché non ho da dire altro.

Anzi no, quasi dimenticavo: come non ringraziare la mia editor Costanza Ghezzi? Perché vogliamo parlare dell’ideatore e consulente editoriale del blog Raimondo Preti?

6- L’anarchia non è comunismo

«Un’altra caratteristica essenziale dell’anarchia è che essa non è una filosofia sistematica ma pratica. Forse l’unica che può definirsi tale. Non fluttua nell’astrazione, ma scava nel fango e nella poltiglia, nella melma in cui l’essere si trova quotidianamente intrappolato. Paul Goodman diceva che “la relatività del principio anarchico rispetto alla situazione esistente ne rappresenta una parte essenziale”. Mi fermai per indicare il punto esatto della pagina. «Posso leggere?»

«Perché?»

«Goodman sostiene che “non può esserci una storia dell’anarchismo che definisca anarchico uno stato di cose divenuto permanente. È un continuo misurarsi con una nuova situazione, una vigilanza continua per garantire che le libertà passate non vadano perdute, che non si trasformino nel loro opposto, proprio come la libera impresa si è tradotta nella schiavitù del salario e del capitalismo monopolistico; l’autonomia del potere giudiziario nel monopolio dei tribunali, dei poliziotti e degli avvocati; e l’autonomia didattica negli apparati scolastici”1».

 Sollevai lo sguardo: il pubblico ministero conversava col soffitto, Manganello si puliva le unghie con la cannuccia dell’Estathé.

«L’anarchia è quindi pensiero e azione. Pensiero che aspira alla libertà e all’eguaglianza, azione finalizzata a realizzarla. Per questo fa così paura!»

«Più che paura, direi, rompe i coglioni!» rilevò Pottutto.

«Sicuramente» sorrisi. «Ma solo a chi sta al potere!»

«Parla come i comunisti!». Manganello si illuminò.

Mi aspettavo quell’obiezione: «Il comunismo non c’incastra niente!». Sollevai teatralmente le mani in un gesto di rifiuto. «A eccezione di alcuni pensatori libertari come ad esempio Landauer, che sostiene che “l’anarchia è il fine il socialismo è il mezzo”, vale per tutti l’affermazione di Bakunin: “il così detto stato popolare è nient’altro che il governo dispotico della massa da parte di un’aristocrazia nuova e molto ristretta”». Con tono elastico aggiunsi: «Bakunin è un altro dei padri dell’anarchia. Un vero rivoluzionario. Conoscete?»

«Non mi sovviene! A lei Manganello?»

«Non mi dice nulla. Signorina Servile» si rivolse alla segretaria, «mi può dare un’occhiata alla banca dati per vedere in quale carcere è detenuto?»

«È morto in Svizzera» precisai.

«Vedi i colleghi elvetici!» esclamò il maresciallo con un pizzico d’invidia.

«Nel 1876. Per morte naturale!» lo delusi. «L’anarchia, come il liberismo e il comunismo, nasce fra il XVIII e il XIX secolo in reazione al machiavellico separatismo fra etica e politica. Presente la frase “il fine giustifica i mezzi”? A un certo punto ci si rese conto che autorizzare il potere a fare quello che vuole non è il massimo, così i liberali provarono a tirare le fila con la teoria contrattualistica. Poi vennero i comunisti col loro materialismo storico. Distante dagli uni e dagli altri, c’è l’anarchia. Posso?» chiesi il permesso di prendere la pila di fogli su cui erano stampate le pagine del mio blog.

«Assolutamente no!». Pottutto batté sopra la mano.

La sua rudezza non mi impressionò: «Allora vada all’articolo in cui parlo di Godwin». Attesi che raggiungesse la pagina. «Come vede, cito più volte la sua Giustizia politica del 1793. Legge lei o leggo io?». Lessi io: «”Chi possiede l’autorità di fare le leggi?”». Guardai la platea per essere sicuro mi seguisse. «”Quali sono le caratteristiche di quell’uomo o di quel gruppo cui spetta la tremenda facoltà di prescrivere agli altri membri della comunità ciò che essi devono fare o devono evitare? La risposta a questa domanda è estremamente semplice. La legislazione, come generalmente la si intende, non è un affare di competenza umana. Il vero legislatore è l’immutabile ragione, ai cui decreti ci dobbiamo ricondurre. Le funzioni della società si estendono non già alla creazione, ma all’interpretazione della legge; essa non può decretare, può solo dichiarare ciò che la natura delle cose ha già stabilito, la cui priorità scaturisce irresistibilmente dalle circostanze”2»

Gli restituii il foglio.

«Qui nasce l’anarchia moderna!» decretai. «Da queste premesse, Godwin sviluppa e amplifica il concetto illuminista di ragione. Essa diventa il mezzo mediante il quale l’individuo persegue il bene comune in ogni settore della vita: l’educazione, la politica, l’economia, la società. Come per Kant, l’uomo è il solo padrone di se stesso e deve esercitare la propria sovranità fuori dai condizionamenti empirici della morale e delle leggi. E lo fa attraverso un processo razionale che porta alla verità, alla giustizia, al bene comune. Quindi etico. Meraviglioso, non vi pare?»

«Splendido!» esclamò Pottutto con l’occhietto pio.

«Può ripetere, per favore? Mi sono perso quando si è domandato chi può fare le leggi!» Manganello senza ritegno.

Rilessi tre volte, e una il pubblico ministero. Alla quinta, il PM propose di spiegarglielo con un disegno.

Con pazienza sintetizzai: «L’illuminista Godwin è considerato l’iniziatore dell’anarchia moderna perché per primo nega qualunque forma di dominio. È grazie a lui che, anni dopo, Proudhon affermerà: “il governo dell’uomo da parte dell’uomo è la schiavitù”. Per gli anarchici, infatti, niente e nessuno può comandare l’individuo poiché non esiste un’autorità che gli è superiore. Detto questo, non c’è bisogno che specifichi qual è la nostra posizione sui totalitarismi, seppur popolari!»

«Si riferisce ai comunisti…?» chiese Pottutto.

«E i socialisti?» domandò Manganello.

«Che c’entrano i socialisti, Manganello!». Il PM lo rimbrottò. «Lo sanno tutti che sono stati fatti fuori dai comunisti perché erano invidiosi dei democristiani!»

«Ma dai?»

«Tangentopoli!».

Manganello avvampò: «I comunisti sono democristiani? O i democristiani sono socialisti? Non ci sto capendo più niente».

Proseguii: «Esistono un’infinità di motivi che portano gli anarchici a diffidare di qualunque sistema che trasferisce il dominio da un tipo di Stato all’altro mantenendo il principio di autorità e il conseguente sfruttamento degli uomini.»

«Me ne dica tre perché dobbiamo passare ad altro.»

«Ma sono molti di più!»

«Allora non li voglio sapere!». Pottutto ghignò beffardo. «Prego!»

«Grazie!»

«Non c’è di che!»

«Come ho detto prima citando Bakunin, il comunismo sfocia inevitabilmente nel dispotismo. Elisee Reclus parlando ai “troppo spesso fratelli nemici” usava una massima che amo tantissimo, e cioè che “l’uomo che va in carrozza non sarà mai amico dell’uomo che va a piedi”, per invitarli a diffidare dai loro capi in quanto “la loro morale in stretta connessione col loro interesse si altera e, pur credendosi sempre fedeli alla causa dei loro rappresentati le divengono per forza di cose infedeli”. A quel punto, “divenuti detentori del potere, dovranno servirsi degli strumenti del potere: esercito, preti, magistrati, carabinieri, poliziotti e spie”3. Anche Reclus, come Bakunin, aveva intuito la deriva autoritaria del comunismo». Mi fermai un attimo. «Il secondo motivo che mi viene in mente è che socialismo, comunismo, liberismo e altre soluzioni stato-centriche sono distanti anni luce dalla cultura anarchica. Noi vogliamo realizzare la massima sovranità individuale, per cui è inconcepibile una sovranità superiore, sia essa pagana o religiosa, che la neghi». Con la mano indicai il numero tre. «La terza motivazione è forse più intuitiva, ma non meno importante: socialismo e comunismo negano la libertà; al contrario, il liberismo sacrifica l’eguaglianza in suo nome. Per noi anarchici, invece, non c’è libertà senza eguaglianza e non c’è eguaglianza senza libertà. La dimensione etica anarchica fa leva proprio sul presupposto che la vera libertà individuale si realizza garantendo l’eguaglianza del prossimo e che l’eguaglianza del prossimo ha bisogno della completa realizzazione di ogni singola libertà. Per l’anarchia si è liberi quando si è uguali e si è uguali quando si è liberi: “né opprimere, né essere oppressi”, direbbe Emile Armand: né servi né padroni!».

Il pubblico ministero portò la penna fra i denti e mi fissò dubbioso.

Il maresciallo lo imitò. Ma anziché tra i denti la punta del lapis finì in una narice. «Ahia!» starnazzò.

«Ha finito?» chiese il pubblico ministero. Poi si massaggiò la pancia. «Mi consente una chiamata?» 

«Prego!» dissi.

«Sono Pottutto, con chi parlo? Assistente Randello può cortesemente procurarmi una lavagna? Non una lavanda, ho detto una lavagna!… Non ho detto bevanda, ho detto lavagna, come quella che sta in classe! … Come non è mai andato a scuola?». Guardò Manganello: «Da quando assumete gli analfabeti?».

Gli occhietti del commissario articolarono un prolungato nistagmo: «il sovraintendente Coltello ci teneva tanto che suo genero lavorasse con noi!»

«Dei cartoncini bristol? Non avete neanche quelli?». Tappò la cornetta e si rivolse a Manganello: «Capisco l’ignoranza e chiudo un occhio per la raccomandazione, ma che sappiano almeno mettere due neuroni insieme, cribbio!». Gli fumavano le orecchie. «Già che ci sono, Randello, volevo anche chiederle… Mi ha riattaccato!». Per qualche secondo si guardò intorno con aria da naufrago che si è appena svegliato sulla spiaggia di un’isola deserta. Ricompose il numero: «Randello, è sempre lei? Ispettore Puntello buongiorno, sono il pubblico ministero Pottutto. Sto chiamando dalla stanza degli interrogatori. Posso chiedere a lei?». Pausa. «La schiacciata coi ciccioli a questo punto sarà carbonizzata!». Si morse il labbro. «So che non è un cameriere!». Pausa. «So che sta lavorando!». Pausa. «So che… ehi, abbassi la voce. Sa chi sono io?». La faccia divenne color mammola e riemerse la famigerata arterite alla tempia. «Mi ha riattaccato!» bisbigliò nel vuoto.

Per distrarlo ripresi il discorso: «A proposito di distinzione fra libertà ed eguaglianza, sa che Simmel diceva che non esisteva prima del XIX secolo? Prenda Kant, ad esempio. Per Kant l’individuo è concepito non nella sua peculiarità, ma come parte di un’universalità che chiama “umanità”. Lo stesso imperativo categorico “agisci come se la massima della tua azione sia massima di legislazione universale”, considera ogni pensiero e azione individuale come elementi di un tutto, l’umanità appunto. È nel XIX secolo che l’individualità prende forma. Nascono il socialismo e il liberalismo. Pensi solo a come il romanticismo esaltava le emozioni individuali!4». Diversamente dalle mie aspettative, però, continuava a guardarsi intorno irritato.

Intuito che il problema fosse dovuto alla lunga attesa per la schiacciata coi ciccioli: «vuole che solleciti io?». Indicai il telefono.

Disse che preferiva lasciar perdere. Infilò una mano nella tasca della giacca ed estrasse un contenitore di plastica con dentro un triangolo di castagnaccio. «L’ha fatto la mia mammina!» gemette.

E così, tra un morso e un altro, gli raccontai del voltagabbana comunista nella guerra civile spagnola: «Sa che probabilmente sono stati i sicari stalinisti a uccidere il leader anarchico Buenaventura Durruti?… La stessa fine che i marxisti hanno fatto fare a Nestor Machno e agli anarchici durante la guerra civile russa. Finché gli facciamo comodo…!»

«Non ci pensi!». Pottutto mi consolò.

«Però spiace. Perché se i comunisti fossero stati meno stronzi, adesso, invece di essere qui, avrei potuto battere la punizione che avrebbe salvato la mia squadra dalla retrocessione!».

Note

1 Riflessioni sul principio anarchico in Individuo e comunità, 1995

2 William Godwin, Giustizia politica, 1793.

3 Elisee Reclus, L’Anarchia, 1894.

4 George Simmel, Forme dell’individualismo, 2001.

 

Dipinto: Boris Kustodiev, Il Bolscevico, 1920.

editing a cura di Costanza Ghezzi, www.costanzaghezzi.com, costanzaghezzi@gmail.com

 

5- L’anarchia non è caos

«Non è vero che noi anarchici vogliamo fare quello che ci pare!» eccepii. «Abbiamo una visione antigerarchica della società, ciò non significa che non ci sono regole. L’anarchia mica è anomia!». Mi infervorai.

«Ma se nessuno comanda?»

«L’anarchia non è il caos. Così viene narrata dai media, così credono i sempliciotti, così è perché la massa ragiona per luoghi comuni, perché chi è al potere ha paura di perderlo e s’inventerebbe chissà cosa pur di denigrare gli antagonisti. Dice uno scrittore anarchico contemporaneo che il governo, qualunque governo, ha sempre bisogno del ribelle come metro di paragone: “Se Tizio è contro lo Stato, Tizio è cattivo, quindi lo Stato è buono”1. La realtà però è ben altra cosa. Il caos è provocato dalla disuguaglianza, cioè dagli squilibri di un mondo in cui prevale la forza del dominante sul dominato…»

«Ancora con questo dominio? È un’ossessione la sua!»

«Ma il nocciolo è tutto qui! Se impongo a taluno qualcosa che non vuole fare e lo costringo oggi e lo costringo domani e dopo domani e dopo domani ancora, è probabile che prima o poi gli girino i così detti e voglia farmela pagare. Non le pare? Sa cosa diceva Rousseau nel suo Discorso sulla ineguaglianza

«Rousseau, quello di Emilio?2»

«Esatto!»

«Reminiscenze liceali!». Pottutto gongolò.

«Diceva che Hobbes si sbagliava! Diceva che non è vero che senza lo Stato le persone si sbranerebbero le une con le altre. E portava a conferma i recenti studi sulle comunità primitive, da cui si poteva evincere che nello stato di natura gli uomini non erano in continuo conflitto, anzi vivevano in armonia, spontaneamente, erano dei bravi selvaggi. Poi qualcuno ha creato la proprietà, sono nate le associazioni e i furbetti di turno hanno inventato lo Stato per difenderla. Così, per il filosofo ginevrino, è sorta la disuguaglianza.»

«Un po’ semplicistico!» obiettò il pubblico ministero.

«Stai a vedere che la salvezza dell’umanità è il ritorno alla scimmitudine!» si inserì Manganello.

«Si dice scimmiezza!». Pottutto lo corresse.

«Volevo semplicemente significare che il disordine si crea laddove c’è frustrazione, alienazione, spaesamento, superstizione, subordinazione, soggezione. Cioè dominio. Sa che già nel 1849 Proudhon affermava che l’anarchia è ordine senza potere?3»

«Non l’ho capita!»

«Conoscerà allora l’aforisma secondo cui la libertà è madre, non figlia dell’ordine

«No. Lei Manganello?».

Manganello trasalì: «Io conosco il coro: “o mamma mamma mamma, sai perché mi batte il corazon”…!» intonandolo pure.

«Ve la spiego in poche parole». Scossi la testa. «Per Proudhon l’imposizione provoca sempre una reazione che sfocia in quel disordine che l’autorità vorrebbe evitare o ricomporre4. Sostiene altresì che sia possibile costruire un’alternativa armonica, pluralistica e antiautoritaria in cui ognuno possa realizzare se stesso in comunione con gli altri, senza prevaricazione dell’individuo sull’individuo, della società sull’individuo, delle istituzioni sull’individuo. L’insegnante e lo studente, il carceriere e il detenuto, l’imprenditore e l’operaio, il marito e la moglie in una famiglia patriarcale, il governo e il cittadino-suddito, l’economia e i consumatori, sono alcuni esempi di rapporti di soggezione o gerarchici o chiamateli come volete, che l’anarchia vuole eliminare.»

«E se schiaccio una zanzara sul vetro della finestra è soggezione?». Il maresciallo si destò. «Mi perdoni, dottore. M’è venuta così!»

«Beh, a suo modo, ha senso…», difesi il commissario. «Negli ultimi decenni, infatti, con lo sviluppo delle nuovi correnti eco-anarchiche tanti compagni parlano di antispecismo… Non ho mai sentito prendere le difese delle zanzare, però la questione è più seria di quello che sembra!»

«Allora pure i cacciatori!» ribatté Pottutto per non essere da meno.

«Lì è serissima!» esclamai con un sorriso falso che mi consentisse di tornare al discorso principale.

Note

*1 Davide Marini, Anarchismi, Amazon.

*2 Jean Jacques Rousseau, Discorso sull’ineguaglianza, 1755; Emilio o dell’educazione, 1762.

*3 P. J. Proudhon, confessioni di un rivoluzionario, 1849.

*4 P.J Proudhon, Che cos’è la proprietà?, 1840.

Immagine: Robusti Enrico, Goal, 2015.

Editing a cura di Costanza Ghezzi, Thàlia Servizi Editoriali, www.costanzaghezzi.com, costanzaghezzi@gmail.com

 

4- Differenza fra anarchia e anarchismo

 

Prima di dare una definizione di anarchia, mi sembrò opportuno spiegare la differenza fra il termine anarchia e anarchismo.

«Adesso ci mettiamo a fare della semantica?»

«La filosofia è sempre una questione semantica!». Replicai con Heidegger.

«Le chiedo solo di essere il più breve possibile!»

Promisi di fare del mio meglio.

«Cos’è l’anarchia?» riflettei a voce alta. «L’anarchia è tante cose… Per me, direi, è un sentimento. Un sentimento di avversione verso qualunque forma di autorità, di oppressione, sopruso, ingiustizia. Ma non tipo: vedo un extracomunitario picchiato dal caporale, mi dispiace per lui ma tiro dritto. Più come: vedo un extracomunitario picchiato dal caporale e il giorno dopo gli faccio trovare i chiodi nel punto in cui parcheggia il furgone ogni mattina

«Manganello aggiunga: danneggiamento a proprietà privata!». Il pubblico ministero si eccitò.

«C’è già!» confermò il maresciallo.

«Allora scriva… manovre speculative su merci!». E a me: «Le piace?»

«Non so cosa sia, ma suona benissimo!» mi congratulai. Ripresi a parlare: «Come direbbe Malatesta: “la molla motrice” della scelta anarchica “è l’amore degli uomini, il fatto di soffrire delle sofferenze altrui”, cioè “il desiderio che tutti gli altri abbiano eguale libertà” e “giustizia”1. Questa è l’anarchia. La mia anarchia!»

«Tutto qui?» chiese Pottutto con un’espressione piuttosto delusa.

«Mi avete chiesto di essere sintetico!»

«Prosegua!»

«Volentieri!». Presi fiato e ripartii: «Il sentimento di disprezzo verso il dominio è comune a tutti gli anarchici. Da questo seme è poi cresciuto un albero con innumerevoli ramificazioni. L’anarchia offre, infatti, una molteplicità di soluzioni a volte anche contrastanti fra loro. Partendo da una comune critica del reale, esse sviluppano una molteplicità di valori-scopi, da cui derivano altrettante tattiche. Gli anarchismi, appunto. Si pensi all’antitesi fra anarco-comunismo e anarco-capitalismo. L’elemento comune di tutti questi anarchismi, però, è e rimane l’antiautoritarismo, cioè l’attitudine a negare, reagire e lottare contro ogni forma di dominio politico, economico, sociale, religioso, morale per costruire una società in cui ognuno sia libero di realizzare se stesso. Come direbbe Emile Armand, uno dei padri dell’anarchismo individualista: vogliamo vivere “senza essere né servi né padroni di nessuno”». Conclusi: «L’anarchia è quindi un sentimento, un’aspirazione, l’anarchismo è la sua attuazione. Pensiero e azione!»

«Pensiero e azione? Questa l’ho già sentita…» gorgogliò Pottutto. «La Giovine Italia? Mazzini, il grande patriota!2»

«Proprio lui!» convenni. «Quel gran patriota su cui pendevano due condanne a morte per terrorismo!»

«Altri tempi quelli!». Pottutto Sospirò.

Note

*1 Errico Malatesta, La Base morale dell’anarchismo, 1922.

*2 Pensiero e Azione è una rivista edita da Giuseppe Mazzini fra il 1858 e il 1860. La Giovine Italia è un’associazione politica insurrezionale fondata da Mazzini nel 1831.

Immagine: Eduard Munch, Vampire, 1893.

Editing a cura di Costanza Ghezzi, Thàlia Servizi Editoriali, www.costanzaghezzi.com, costanzaghezzi@gmail.com

 

3- Underground anarchico

«Non le dispiacerà quindi se tralascio la lettura delle accuse. Sono due pagine!». Pottutto scartabellò i fogli poi ebbe un ripensamento: «Non è curioso? Neanche un pochino? Non le interessa sapere che si va dall’associazione sovversiva, al terrorismo, al disfattismo politico…?»

«Pure il disfattismo?» lo interruppi. «Siamo mica in guerra!»

«La vita è una guerra!» sghignazzò il pubblico ministero.

«A proposito…» dissi.

«Prego!». Mi guardò da sopra gli occhiali.

«Non dovrebbe essere presente il mio avvocato?».

Pottutto oscillò la testa. «Dovrebbe?» chiese a Manganello.

«In teoria…» questi esitò.

«Verbalizzeremo come sommarie informazioni. Sarà una cosa informale. Fra amici, diciamo. Le piace così?».

Strappò coi denti il filtro della sigaretta e lo sputò facendo canestro nel cestino. La passò sulle labbra, la accese. Lesse a voce bassa qualche frase dal primo foglio: «Mi risulta che a dicembre del 2022 lei abbia aperto un blog dal nome di Underground Anarchico». Esibì una foto della home page. «Conferma?»

«Confermo.»

«Splendido!» assentì compiaciuto. «Carina la grafica!». Mostrò il logo al commissario. «L’ha fatta lei?»

«No.»

«Sa che mio figlio studia grafica? È anche bravino! Pure onesto sul prezzo! Se le servisse per le prossime volte… Perché questo nome?»

«Underground Anarchico?». Sollevai le spalle: «Mi sono ispirato al film di Kusturica.»

«Kusturica, certo!»

«Kusturica come Costanzo?». La segretaria chiese senza voltarsi.

«Kusturica come il regista del film Underground1» precisai. «Con la K all’inizio e la C finale.»

«Kusturizac?»

«Prima della A. E senza la Z.»

«Kusturicac?»

«Mi affascinava la storia di un gruppo di persone che vive per anni un’esistenza parallela a quella reale, ignorando la guerra, il regime di Tito, quanto accade fuori. Mi sembrava rappresentasse in maniera efficace, seppur surreale, quell’idea di esistenza alternativa a cui ho accennato nel blog. Perché vede…»

«Okay, okay!». Il pubblico ministero mi interruppe. «Il film le è piaciuto. Ma non credo la recensione sia rilevante ai fini delle indagini». Lasciò i fogli e appoggiò la schiena alla poltrona. «E perché la bandiera nera?»

«Perché è la bandiera degli anarchici. Si dice che venne sventolata per la prima volta da Louise Michel nel 1883 durante una manifestazione di senza lavoro

«Sembra il Jolly Roger dei pirati!»

«Forse perché siamo tutti un po’ pirati un po’ signori!2»

«Si è dimenticato il teschio, pero!»

«Un vezzo di originalità!» ironizzai.

«E perché l’aggettivo anarchico?»

«Perché parlo di anarchia, coglione?» avrei voluto rispondere. Invece: «L’ho trovato poetico!»

«Mi spieghi in che senso anarchico sarebbe un aggettivo poetico, perché non vedo poesia nel fatto che sia qui!»

Su questo niente da obiettare.

«E non vedo poesia neppure se quattro imbecilli imbrattano i muri di una strada o se dei giovani incappucciati sfasciano delle vetrine. Non le pare?». Con lo sguardo cercò l’approvazione di Manganello.

«Per non parlare della musica anarco-punk? Quella sì che…!». Il commissario ci sorprese.

«Anarco-punk?» chiese Pottutto come se non avesse capito bene.

«Clash, Sex Pistols, Crass, i Chumbawamba!»

«Mi spieghi quindi perché si definisce anarchico». Il pubblico ministero tornò a me.

«Lo spiego?»

«Spieghi, spieghi!».

Passai la mano sulla bocca. Milioni di parole, sensazioni, immagini, esperienze mi inondarono la testa. Non era facile sintetizzare. Perché l’anarchia era in me da sempre come io ero per lei. Era i miei pensieri, le mie azioni, le mie aspirazioni. Anarchica era la mia concezione della vita, la propensione con cui mi relazionavo con gli altri, il talento grazie al quale mi determinavo. Era un’idea meravigliosa diventata filosofia di vita. Una filosofia morale, come direbbero Kropotkin e Malatesta, che pulsava nelle vene e batteva, sussultava, martellava incessante.

«Signor Dopraho?» il PM mi riportò nella stanza degli interrogatori.

Recuperai una posizione che mi desse solennità e chiesi se aveva letto il mio blog: «Dopo tutto, sono qui per questo, no?»

«No!». Il pubblico ministero d’impulso. «Cioè sì, è qui per questo!» si corresse. «Quanto al blog, ho letto qualche stralcio». Tossicchiò nervosamente. «Ma è stato più che sufficiente, mi creda!»

«Allora vi avrà trovato la risposta alla domanda» proferii serafico.

«Nel blog?»

«Se l’ha letto!»

«Giusto!» ansimò. «Solo che cercarla adesso… saranno cento, duecento, trecento pagine!» Indicò la pila di fogli legati da un elastico che troneggiava sul tavolo.

«Le trova proprio all’inizio. Cerchi pure… Leggiamo insieme?»

«In coro? Non starà scherzando?»

«La vita è tutto uno scherzo di cui non siamo altro che gli inconsapevoli protagonisti!» Cominciavo a divertirmi. 

Per un attimo, temetti che quell’improvvisa arterite alla tempia destra sarebbe esplosa. Per questo, quando la sua mano arrancò sulla scrivania in cerca della pallina di pongo, la spinsi verso di lui.

Impastare per qualche secondo lo calmò. Tolse e: «Quale articolo devo cercare?» chiese. «Oh, aveva ragione. È proprio all’inizio!».

 

Note

*1 Underground, film di Emir Kusturica, 1995.

*2 Julio Iglesias, Sono un pirata ed un signore, 1978.

Immagine: Caravaggio, Incredulità.

Editing a cura di Costanza Ghezzi, Thàlia Servizi Editoriali, www.costanzaghezzi.com, costanzaghezzi@gmail.com