41 – RIBELLIONE: INSURREZIONE E ALTRE FORME DI AZIONE DIRETTA -segue
Pottutto chiese a Manganello di portargli un cappuccino.
Il maresciallo uscì senza fiatare. Pochi secondi e rientrò per avvisarlo che il latte era finito.
«Allora solo caffè!»
«La macchinetta dà solo tè all’ibisco…»
«Lasci perdere, ho la pressione bassa di mio!». Il PM replicò stizzito. Dalla solita tasca della giacca estrasse una moka e un fornellino elettrico. Accese e la fissammo in silenzio finché non cominciò a fischiare.
«Senti che profumo!». Riempì la tazzina sua, quella del maresciallo. «Lei ne vuole?» chiese a me.
Lo gustammo come tre vecchi amici al bar. Dopo di che mi domandò se volessi fare qualche nome. Gli risposi «Più tardi!». Replicò un laconico: «Tanto lo sapevo!».
Ricominciai a parlare: «C’è un momento in cui il ribelle capisce che non basta disertare, che il sopruso può cessare solo quando si annienta la fonte che lo determina. A quel punto si presentano due soluzioni non necessariamente antitetiche: creare una realtà alternativa ed elusiva, l’underground, oppure ricorrere all’insurrezione. Approfondirò la prima fra un po’. Due parole sulla seconda. L’insurrezione è quell’azione che si compie attraverso una protesta violenta e decisa con lo scopo di minare il sistema e imporre il cambiamento mediante scontri asimmetrici, tipo la guerriglia, e psicologici, tipo il terrorismo.»
«Insurrezionalisti!» gorgogliò Manganello.
«Non solo!» replicai. «Perché sicuramente queste azioni producono un bell’effetto scenico, ma hanno scarsa sostanza… Anche se riconosco che sono un bel palo in culo al Potere!»
«Dopraho!». Manganello schizzò indignato.
«Mi perdoni, ma ci stava!»
«Dottore?». Fissò Pottutto in attesa di una sua reazione.
«Effettivamente ci stava!»
«Grazie!» replicai.
«Prosegua!»
«Il ribelle è sempre un insubordinato perché l’insubordinazione consiste nel non sottomettersi all’ordine a cui si dovrebbe obbedire. Si può assimilare alla disobbedienza, benché più reattiva. In cuor suo, ogni anarchico è un insubordinato!»
«Qui la volevo!» bramì Pottutto soddisfatto. «Manganello, aggiunga l’insubordinazione al capo di imputazione!» esclamò roboante. «Beh, che c’è?» fece rivolto a me.
«Mica sono un militare!» eccepii indignato.
«Dovrebbe dirmi grazie. Guardi che bel curriculum le ho preparato?». Indicò il capo d’imputazione.
Lo assecondai e ripresi: «Non è però un no che cambia le cose. Al rifiuto devono seguire azioni che destabilizzino il Potere. La prima che mi viene in mente è il boicottaggio. Sapete come è nato il nome? Nell’Irlanda del XIX secolo viveva un proprietario terriero di nome Boycott. Era un tipo vecchia maniera che amava sfruttare i propri lavoratori. Così essi decisero di inscenare un’azione non violenta nei suoi confronti. I vicini di casa non gli parlavano, se entrava in un negozio fingevano di non vederlo, in chiesa evitavano di sedergli accanto, cose di questo tipo. Insomma, venne così preso di mira che alla fine fu costretto ad abbandonare il paese.»
«Più che boicottaggio, mi sembra bullismo!» esclamò Pottutto.
«Ma a fin di bene!» replicai. «Oggi con il termine boicottaggio s’intende quell’azione di disturbo dai connotati prevalentemente economici realizzata nei confronti di un’azienda. Consiste nel non comprare o nell’ostacolare l’acquisto dei prodotti, colpendola nell’unica cosa che le preme: il profitto. Detta così può sembrare una goliardata. Vi garantisco invece che è molto efficace. Ed è pure etica perché trafigge al cuore sia i principi su cui si fonda il capitalismo, sia la democrazia che lo tutela.»
«Riecco il comunista!» grugnì Manganello.
«Gli anarchici rifiutano la legge del più forte, non negano lo scambio. Il commercio è un fenomeno naturale anche in un sistema di relazioni fra comunità autogestite, dove però prevalgono i principi della solidarietà, del minimo necessario, del dono, della reciprocità. Le merci che produciamo sono fatte perché ne abbiamo bisogno: lavoriamo per il benessere dei nostri simili, nonché per il nostro e non già per un astratto mercato, di cui non sappiamo nulla e che non possiamo in alcun modo controllare, diceva Morris nel suo meraviglioso Notizie da nessun luogo6. L’anarchia non ha niente a che vedere con la dittatura del proletariato perché è autarchica, orizzontale, solidale, e non le interessa appropriarsi del capitale. Vuole distruggerlo quale causa di divisione per produrre solo ciò che è necessario» chiosai la digressione economica. «Tornando al boicottaggio, ne riconosco l’efficacia a breve termine. Nel medio tuttavia non impedisce allo Stato di intervenire a favore dell’impresa danneggiata e ripristinare lo status quo. Occorre pertanto che tale azione sia rafforzata da condotte più incisive…»
«Tipo?»
«Tipo il sabotaggio. Quell’azione solitamente diretta ad arrecare un danno sia per riequilibrare le posizioni durante una negoziazione, sia come strumento di lotta per rivendicare diritti. Presente il luddismo?7»
«Conosce questo luddismo, Manganello?»
Il maresciallo sollevò gli occhi e quando li riabbassò: «L’ho visto una volta, ma solo di sfuggita!»
«Il luddismo fu un movimento di protesta operaia del XIX secolo sorto quando l’introduzione del telaio meccanico provocò un abbassamento del salario e l’incremento della disoccupazione. Si va dal più moderato ostruzionismo, allo sciopero, al rallentamento di attività economiche e civili, alle più cruente espressioni di rappresaglia come le manomissioni, i danneggiamenti, le distruzioni di strutture pubbliche o private o infrastrutture…»
«Uh, quante belle cose!», mi interruppe il maresciallo. «Prima di proseguire, però, mi consente di…». E al PM: «Posso chiamare Sevizia? Vista l’ora non vorrei che tornasse a casa senza…?».
Parlò con il corpo di guardia, l’infermeria, il deposito e la palestra. Tutti posti in cui era stato avvistato. Poi trillò il telefono.
«Pronto?» rispose Pottutto. «Buona sera Spaccafegato. Ha chiamato il suo collega Manganello per sapere dov’è l’agente Sevizia… No, non le ho chiesto del maggiore Sparo… neppure del sottotenente Legnata!». Qualche secondo di attesa e: «Perfetto, la ringrazio. Gli comunichi di passare da noi quando ha finito. Arrivederci!». Attaccò. «È impegnato con un cinese. Pare che sia una cosa lunga perché quello non spiccica una parola di italiano!», e a me: «Cosa diceva del sabotaggio?»
«Del sabotaggio?»
«Di quello parlava!»
«Giusto!». Schioccai le dita. «Stavo dicendo che, se unito al boicottaggio e soprattutto alle tecniche di guerriglia, logora l’avversario con attacchi continui e rapidi realizzando l’arte di fiaccare il nemico con mille piccole punture a spillo, come la chiamava Mao Tze-Tung. Si tratta di un complesso di azioni adattabili alla flessibilità delle organizzazioni anarchiche consentendo a ogni cellula di decidere autonomamente e, sul campo, di sfuggire alla rappresaglia. Inoltre, non implicando un movimento di massa, non generano effetti collaterali e stimolano la partecipazione sociale. La controindicazione è sempre la solita e cioè che queste condotte non cancellano né eludono l’ordine costituito che può riorganizzarsi e diventare più repressivo di prima. Più efficace, invece, è l’occupazione di fabbricati, scuole, terreni, imprese e eccetera» ripresi.
«Ah ah!» starnazzò Manganello. «Fa tanto il superiore, ma alla fine anche voi quando c’è da prendere…!»
«Occupiamo siti solitamente in stato di abbandono, dismessi, a volte anche fatiscenti e li restituiamo a nuova vita per svolgere attività sociali, ludiche, incontri, riunioni, ma anche economiche, di intrattenimento e via discorrendo.»
«Tanto poi vi facciamo sgomberare!»
«Vero. Ma può capitare che la nostra resistenza prevalga. E così vi rivediamo in borghese al mercatino dell’artigianato la domenica. La divisa vi rende un corpo di scherani, che si abituano a considerare i cittadini come carne da manette e da prigione e faccian della caccia all’uomo la principale o l’unica fonte di occupazione8. Sotto sotto però siete dei bravi ragazzi!»
«Ahimè, siamo umani anche noi!» sospirò Manganello.
«Può capitare di occupare anche aree, diciamo così, più istituzionali come fabbriche o sedi di imprese. Ma sono per lo più azioni dimostrative. L’esempio forse più eclatante è la Zad, o più propriamente zona da difendere. Si tratta di stanziarsi in un territorio per impedire l’edificazione di grandi opere. Com’è avvenuto per Notre Dame Des Landes vicino Nantes nel 2008, dove gli occupanti si opposero alla costruzione di un aeroporto e svilupparono al suo posto una comunità anticapitalista, ambientalista e autogestita. Qualcosa di simile è stato realizzato anche in Val Susa per contrastare la realizzazione della linea ad alta velocità. Ma dalle nostre parti chi parla di diritti e libertà vola dalla finestra o va in prigione per terrorismo.9»
«Dovrei ridere?»
«Una volta occupato il sito, la comunità si autogestisce. Autogestirsi significa autogovernarsi, cioè governarsi autonomamente. Determinarsi senza l’intermediazione dell’autorità. Come dice Antonio Senta, per superare lo Stato è necessario creare esperienze di autogestione, allargare la sfera della cooperazione umana non statale, basata sulla reciprocità e non sul profitto, sul dono e non sul valore. Dare cioè vita a innumerevoli forme di democrazia diretta, assemblate, decentrate, collegate fra loro in senso federalista… Vuole che ne parli adesso o facciamo più tardi?»
«Sono quasi le otto di sera!»
«La notte è giovane!» esclamai. «Comunque le dico che è un metodo organizzativo del vivere sociale innanzi tutto etico, in quanto rifiuta il comando e si esplica in senso non gerarchico, attraverso una pratica collaborativa, solidale e paritaria10. È partecipazione faccia a faccia, mediante un confronto continuo finalizzato a realizzare l’interesse comune. Non c’è un’autorità che decide chi, come e perché. Ciascuno contribuisce agli obiettivi condivisi secondo le sue capacità e le sue forze e…»
«Mi perdoni, ma sul terrorismo non dice nulla?». Pottutto mi incalzò famelico.
«L’anarchia ha abbandonato certe pratiche. Non ha bisogno di creare terrore nella collettività per destabilizzare l’ordine.»
«Nessun attentato, rapimento, strage?»
«No!»
«Suvvia, non faccia il modesto!»
«Che le devo dire?» sbuffai. «Se con terrorismo intende un atteggiamento che vuole realizzare un’idea in maniera radicale, dico che siamo terroristi in quanto realizziamo la nostra idea di mondo. Se invece significa violenza che crea terrore colpendo innocenti indiscriminatamente, sottolineo che è una pratica vile che ripudiamo categoricamente sia perché l’individuo è intangibile, sia perché una società libera non può essere l’imposizione di un ordine nuovo al posto di quello vecchio11.»
«Vuol farmi credere che non ha mai fatto esplodere una bomba?»
«Ma che discorsi, certo che l’ho fatto!»
«Ora confessa!». Pottutto tirò una gomitata ingalluzzita al maresciallo.
«Come potrei rinunciare alla bomba di Maradona per i botti di capodanno?».
NOTE
– 6 William Morris, Notizie da nessun luogo, 1890.
– 7 Luddismo, la prima fase del movimento operaio britannico (primi decenni del sec. XIX), caratterizzato da reazioni violente contro l’introduzione delle macchine e la conseguente disoccupazione.
– 8 Errico Malatesta, Al caffè, 2010.
– 9 Nel primo caso faccio riferimento all’anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra della Questura di Milano nella notte fra il 15 e il 16 dicembre del 1969. Nel secondo a Maria Soledad Rosas e Edoardo Massari, arrestati insieme a Silvano Pellissero il 5 marzo 1998 con l’accusa di essere membri del gruppo terroristico dei Lupi Grigi, poi suicidatisi in carcere. Pellissero, invece, venne assolto.
– 10 Antonio Senta, Premesse del curatore in P. Kropotkin, L’anarchia, 2013.
– 11 Paul Goodman, Individuo e comunità, ivi.
Editing a cura di Costanza Ghezzi
Immagine: Pablo Picasso, Donna che piange, 1937