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47 – COMUNITÀ: FEDERALISMO

47 – COMUNITÀ: FEDERALISMO

 

«A questo punto, se mi consente, spenderei due parole sul federalismo

«Perché?»

«Giusto per riempire i vuoti emotivi che ci separano!» ironizzai.

Pottutto sollevò un sopracciglio e con un sorriso bonario: «Magari un giorno rideremo di tutto questo!»

«Magari un giorno!» replicai.

«Già!» proferì fissando il vuoto come un depresso che ha finito il Prozac.

Manganello intuì e: «Dotto’, chiamo il bar per un aperitivo?». Rafforzò la proposta: «Magari con due stuzzichini, qualche schiacciatina, dei pezzettini di pizza…»

«Sempre a mangiare pensa lei?»

«Bisogna pur dare un senso alla vita!»

«Dicevo del federalismo… Intanto una precisazione: troppo spesso viene confuso col decentramento. Con quest’ultimo il potere trasferisce autorità a organi periferici che da lui dipendono. Il federalismo, invece, sviluppa un’organizzazione che parte dal basso esaltando il concetto di autonomia. L’anarchia è federalista perché non prevede la ripartizione di un potere centrale, ma si struttura in entità autonome e libere che si relazionano orizzontalmente. Come le persone sono sovrane e coesistono rispettando l’eguale libertà, le comunità sono entità dotate di propria funzionalità, regole, scopi, dinamiche, unicità. Al tempo stesso però, esattamente come i membri di un aggruppamento, agiscono in continua interconnessione favorendo lo sviluppo reciproco. Il meccanismo è il solito…»

«Lasciamo perdere la propaganda!»

«Non era mia intenzione!» dissi. «Sa com’è, però… Ricordo di aver letto una volta un bel libro su Pinelli in cui si diceva che quando incontrava qualcuno prima mostrava una targhetta con scritto io sono un anarchico, poi cominciava a discorrere di politica25… Abbiamo nel sangue l’educazione alla libertà!»

«Se lo tenga per Sevizia!» mugugnò Manganello.

«Cosa, l’insegnamento di Pinelli?» chiesi ingenuamente.

«Il sangue. Adora veder zampillare la vostra libertà!»

«Maresciallo non faccia l’arrogante!». Pottutto lo riprese. «Ma non mi aveva promesso di testare quel nuovo sistema a conduzione elettrica?» bisbigliò al suo orecchio.

Sviai con un sorrisetto accondiscendente: «Anche fra comunità si applica il principio del libero accordo. Vengono realizzati protocolli per ogni tipo di relazione: da quella commerciale a quella che, seppur impropriamente, potremmo definire giuridica, da quella culturale allo scambio di informazioni, dalla tutela alla difesa dal Mostro…»

«Di quali mostro parla?»

«Lo Stato, naturalmente!» dissi. «La rete di queste comunità dà vita alla Confederazione, che svolge principalmente funzione di garanzia e collegamento. Quando ad esempio una di esse viene scoperta, le altre intervengono in suo aiuto coordinate dall’Assemblea Confederale.»

«Quindi la confederazione comprende tutte le comunità?»

«In linea di massima sì, ma non necessariamente. L’adesione non è obbligatoria, anche se è fondamentale per la sopravvivenza, soprattutto finché c’è lo Stato.»

«E come le sceglie?»

«La Confederazione non sceglie. Sono le comunità che liberamente decidono di costituirla o di farne parte. Può essere organizzata, ad esempio, su base territoriale. Avete mai sentito parlare della Confederazione Valbisenzio che riunisce tutte le associazioni anarchiche della zona di Prato?»

«Spieghi un po’?»

«Non l’avete mai sentita perché non esiste!»

Non avrei dovuto, ma scoppiai a ridere.

«Non si prenda gioco di noi!»

«Vi prendo talmente sul serio che l’ho inventata!». Mi ricomposi: «Però è reale quello che ho detto e cioè che esistono confederazioni su base territoriale. Anche se la maggior parte sono costituite per affinità, per cui può capitare che aderiscano gruppi anche molto distanti fra loro.»

«E come fanno?» chiese il maresciallo.

«Come fanno cosa?»

«Se sono distanti, come si relazionano?»

«Ẻ un metodo infallibile. Non lascia tracce, non è intercettabile, non parla…»

«Me lo dice o non me lo dice?»

«Usiamo gli uccelli viaggiatori!» dissi.

«Uccelli viaggiatori?». Avvinazzò per lo stupore. «Corvi o piccioni?»

«La sta prendendo in giro!» intervenne Pottutto. E a me: «Suppongo quindi ci sia poi una sorta di Grande Confederazione che le riunisce tutte?»

«No. Non esiste una confederazione unica. Sarebbe impossibile assicurarne la funzionalità e, forse, si rischierebbe di creare una sovrastruttura accentratrice che altererebbe l’equilibrio» dissi. «Ogni Confederazione però è dotata di un’Assemblea che si ritrova periodicamente. È composta da un membro nominato da ciascuna comunità…». Mi fermai sperando in una loro reazione. «Ho appena detto un membro nominato… Non vi si è accesa la lampadina?»

Sventolai le mani davanti ai loro occhi come se dovessi rianimarli.

«Questo è uno dei pochi casi in cui i libertari non agiscono personalmente ma delegano». Mi sentivo quasi offeso da tanta indifferenza. «Convocare tutte le comunità sarebbe impossibile. E non solo per motivi logistici. Per cui, ogni volta che l’assemblea si riunisce, ciascuna nomina un rappresentante.»

«Mi perdoni, non avevo colto!» confessò Pottutto.

«Ciò è possibile perché non ha potere decisionale. Altrimenti…»

«Altrimenti non sarebbe possibile?» chiese.

«Bravo dottore!», lo incoraggiai. «Oltre a occuparsi della garanzia e del coordinamento fra le collettività che la compongono, l’Assemblea ha infatti il compito di relazionarsi con le omologhe in un confronto continuo. Ma soprattutto, assolve funzioni consultive fornendo pareri illustrativi, chiarificatori, orientativi.»

«Una specie di Corte Costituzionale!»

«Senza però che i loro membri guadagnino stipendi a sei cifre!» ironizzai. «E poi le loro deliberazioni non hanno forza vincolante.»

«E a cosa serve se non sono vincolanti?»

«Se l’avessero non sarebbero pareri. E se non fossero pareri si chiamerebbe Parlamento!»

«Ineccepibile!»

«La Confederazione non può interferire sulle scelte di una comunità. La sua competenza è meramente propulsiva, consultiva, di raccordo e coordinamento. Anche quando interviene, che so, per sanare una controversia fra associazioni, il suo responso è esimente visto che le decisioni devono essere deliberate espressamente dagli individui. In questo caso, infatti, se le parti litiganti non si conciliano, spetta alle altre comunità orientarle alla pace o suggerirne lo scioglimento… Perché quella faccia delusa?» chiesi. «Vi garantisco che senza la sua guida sarebbe impossibile svolgere l’azione di quotidiano logoramento necessario per la causa anarchica!»

«Di quale logoramento parla?»

«Sottrarre costantemente funzioni allo Stato, ovviamente!»

Pottutto non replicò subito: «E ce lo dice così?»

«Se vuole glielo dico in esperanto, che è la lingua che utilizziamo quando ci ritroviamo!» sdrammatizzai prima di concludere. «Se la comunità è l’essenza dell’autogestione anarchica, la Confederazione è il più importante propellente di cui disponiamo. E se vogliamo che sia priva di sovranità e i delegati svolgano funzioni non deliberative né decisorie, siano scelti a rotazione e incaricati con un mandato specifico non interpretabile né derogabile, nonché temporanei e non retribuiti, è per eludere i rischi di accentramento di potere, corruzione e parzialità, evitare cioè di replicare la perversione della vostra cleptocrazia democratica…»

«Non so cosa voglia dire cleptocrazia!» crocchiò Manganello.

«Perché democratica lo sa?».

 

NOTE

 

– 25 Licia Pinelli, Piero Scaramucci, Una storia quasi soltanto mia, Feltrinelli, 2009.

Editing a cura di Costanza Ghezzi

Immagine: M. C. Escher, La balconata, 1945

28- STATO: DEMOCRAZIA DIRETTA CONSENSUALE – SEGUE

 

Feci il punto della situazione: «Ho sottolineato che lo Stato è illegittimo in quanto espropria la sovranità individuale. Ho spiegato perché la democrazia rappresentativa e la regola della maggioranza sono panzane. Aggiungo che l’anarchia non è acrazia poiché una società spogliata da ogni forma gerarchica si sviluppa mediante la partecipazione condivisa al bene comune. Riprenderò l’argomento quando parlerò della comunità. Qui voglio ribadire che l’unico sistema che garantisca il faccia a faccia, l’orizzontalità e la condivisione è la democrazia diretta consensuale. Riunirsi insieme, partecipare, discutere, decidere ricorrendo a organismi decentralizzati come le assemblee, i consigli, i comuni, chiamateli come volete, in cui le determinazioni siano prese all’unanimità.»

«Mi faccia capire: sta parlando di quando vi ritrovate tutti insieme?»

«Esatto!»

«E discutete…?»

«Preciso!»

«E quando discutete indossate una tunica bianca con la medaglia e un cappuccio? Ma non sarete anche voi…?»

«Non siamo massoni!»

«Vabbè, lasciamo perdere i dettagli. Una domanda: ma se tutti decidete, chi decide?»

«Tutti, ovviamente!»

«Suvvia, non scherzi!»

«Nella democrazia diretta unanime tutti partecipano alla deliberazione, tutti votano e non c’è decisione finché l’accordo non è unanime

«Figuriamoci!»

«Anche quando essa richiede maggiori conoscenze tecniche, il parere e il voto dello specialista valgono quanto quelli del manovale. Solo così si può escludere che la maggioranza prevalga sulla minoranza o che si formino pericolose posizioni di dominio all’interno delle assemblee

«Cosa di fatto impossibile!»

«Invece è possibilissimo in un contesto in cui chiunque è consapevole che l’interesse personale si realizza quando si compie quello comune. Vi faccio un esempio: supponiamo che gli abitanti di un quartiere vogliano trasformare una piazza in un bel giardino. Convocano l’assemblea a cui partecipano tutti gli interessati. In fase di discussione parlano i tecnici, i cittadini, ognuno dice la sua. Quando si vota tutti tranne uno sono d’accordo nel realizzare l’opera. Che fare? Tenga presente che se non viene raggiunta l’unanimità la decisione non passa. Tre le soluzioni: la prima è convincere l’oppositore che vivere a contatto con la natura è una scelta estetica, salutare, spirituale che può solo migliorare la sua esistenza. In subordine la comunità può aiutarlo a trovare una dimora alternativa a quella in cui vive…»

«Lo sfrattate?» chiese Manganello sospettoso.

«Nessuno sfratta nessuno!»

«Allora gli espropriate la casa come fanno i comunisti?» intervenne Manganello.

«Non si espropria se non c’è niente da espropriare!»

Mi fissarono come Monna Lisa e non riuscii a fare a meno di sorridere: «Avete ragione!» esitai. «Mi sono dimenticato di informarvi che nella comunità anarchica non c’è proprietà!». E aggiunsi quasi imbarazzato: «E questo vale anche per la casa!»

Pottutto ebbe un mancamento.

Manganello rimase a bocca aperta.

Ebbi come la sensazione che anche la signorina Servile si fosse mossa.

La Sfinge, Sfinge era, Sfinge rimase.

«Poi c’è una terza soluzione» proseguii. «Per conciliare gli interessi della collettività con quelli dell’individuo occorre creare un tipo di comunità flessibile1 in cui sia consentito il diritto di astensione. Non viene quasi mai praticata, ma è una possibilità. Colui che non concorda, infatti, può dichiarare di astenersi dal deliberare. La comunità accetta la sua decisione e la risoluzione non sarà vincolante nei suoi confronti. Peraltro, posto che può sempre cambiare opinione, il suo dissenso non avrà ripercussioni morali o sociali e la sua complicità nell’attività comunitaria non subirà alterazioni» chiosai. «In questo modo, cioè favorendo la continua adesione individuale e applicando le decisioni unanimi, ciascuno è – non viene illuso che sia – attore della vita politica. La partecipazione è attuazione della libertà e dell’eguaglianza. Libertà ed eguaglianza che esistono se l’individuo è autonomo, cioè sceglie ed è responsabile della scelta verso se stesso e gli altri.»

«Anche le elezioni però sono una forma di partecipazione!»

«Il proprio dovere si realizza impegnandosi personalmente. Si compie quotidianamente attraverso la convivenza, la comunità, la solidarietà, la convivialità. Pensate forse che i governanti vi avrebbero lasciato le elezioni se potessero essere utili a fare una rivoluzione?2, diceva Louise Michell. Il cambiamento non si ottiene delegando un partito anziché un altro, ma curando da soli i propri interessi come sosteneva Gustav Landauer, che aggiungeva: il popolo si illude ancora, malgrado secoli di esperienza, che tutto andrebbe meglio se al governo ci fossero altre persone o altri partiti. Invece no, andrebbe peggio, in quanto il popolo si disabitua ulteriormente a intervenire in prima persona e non sa neppure che forma dovrebbero assumere le istituzioni dell’autodeterminazione3

«Mi scoppia la testa con tutte queste citazioni!» grugnì Pottutto.

«Quando sono troppe, sono troppe!» echeggiò Manganello.

«Capisco!» dissi. «Allora ve ne faccio un’altra: la partecipazione diretta è un confronto continuo, un faccia a faccia entusiasmante in cui ciascuno esprime il proprio interesse nel solco del bene comune. È il trionfo della bellezza, di una società di individui liberi di godere della bellezza dell’altro liberamente espressa in una società il cui obbiettivo è il mantenimento di quella condizione essenziale, diceva Piger4. Ma perché ciò avvenga occorre eliminare lo Stato

«Si rende conto che sta vaneggiando?»

«Perché pensa che senza non sarebbero garantiti i servizi sanitari o l’istruzione o che nessuno riparerebbe le strade?»

«Per la verità pensavo a me. Che ne sarà dei dipendenti pubblici?»

«E delle forze dell’ordine?». Anche Manganello sembrò preoccupato.

«Non so come sarà la società anarchica e che fine faranno i numerosi vampiri attaccati alle istituzioni. Di sicuro non esisterà una soluzione unica e le scelte dipenderanno da un insieme di variabili spazio-temporali, sociali, ambientali che dovranno essere analizzate al momento opportuno. Posso dire però che se domattina ci svegliassimo con lo Stato che si è dissolto, la varietà di anarchismi offrirebbe una pluralità di opportunità. Per cui, state sicuri, una sistemazione verrebbe trovata anche a voi!»

«Meno male!». Pottutto e Manganello si alzarono per sancire l’accordo con una stretta di mano.

«Sarà divertente scoprire quale!» aggiunsi sarcastico mentre la sfilavo. «Detto questo» ripresi, «per conseguire un reale cambiamento è imprescindibile l’abbattimento dello Stato. Perché esso è il principale strumento, benché non l’unico, con cui il Potere esercita il suo dominio sull’individuo. Sapete cosa diceva Bakunin a proposito?»

«Non è che me ne freghi tutto sto…!»

«Vuole una confessione completa o no?». Ottenuta la loro attenzione: «Bakunin diceva che Nessuno Stato, per quanto democratiche siano le sue forme, sarà mai in grado di dare al popolo quello che vuole… perché ogni Stato, sia pure il più repubblicano e il più democratico, anche lo Stato pseudo popolare creato dal signor Marx, non rappresenta in sostanza nient’altro che il governo della massa dall’alto in basso da parte di una minoranza intellettuale… per le classi proprietarie e di governo è quindi assolutamente impossibile soddisfare le rivendicazioni del popolo, per cui resta solo un mezzo, la violenza di Stato, in una parola, lo Stato perché lo Stato significa precisamente violenza. La dominazione mediante la violenza, quanto possibile mascherata, se assolutamente indispensabile sfrontata e pura5».

«A proposito di violenza…» Manganello a Pottutto. «Una telefonatina al nostro Sevizia la farei!»

«Non dica sciocchezze!», gli rispose il PM. «Se non ha fatto un nome fino ad adesso, si figuri quando non sarà in grado di parlare!».

NOTE

 

– 1 Z. Bauman, Voglia di comunità, Laterza, 2001.

– 2 Louise Michel, Presa di possesso, ivi.

– 3 Gustav Landauer, La comunità anarchica, ivi.

– 4 Gaston Piger, Signorina anarchia, ivi.

– 5 Michael Bakunin, Stato e anarchia, Feltrinelli, 1873.

 

Editing a Cura di Costanza Ghezzi

Disegno: Martin Zanollo, Intuition, 2023