42- LA COMUNITÀ
42- LA COMUNITÀ
«Mi perdoni» intervenne Pottutto. «Non è che quello che lei chiama dominio da un giorno all’altro fa le valige, saluta tutti e se ne va. Una rivoluzione dovrete pur farla?»
«Sarò più chiaro: la rivoluzione non serve a niente. Il Potere vince sempre perché ha l’interesse, il denaro, e i mezzi per potersi rigenerare. Soprattutto in epoca di sonnambulismo tecno-consumistico, dove l’indifferenza edonistica consente il moltiplicarsi delle pratiche arbitrarie» dissi. «Bisogna lavorare ai fianchi perché le gambe dell’avversario cedano. Fuor di metafora, occorre sovvertire la superstizione per cui l’autorità è condizione necessaria allo svolgimento delle ordinarie funzioni sociali: l’individuo deve essere autocrate di se stesso perché una vita da subalterni è una vita sprecata!».
Manganello sollevò lo sguardo per soffiare un epigrafico: «Boh!».
Pottutto se ne accorse e: «Può rispiegare, che il maresciallo non ha capito?»
«Certo che ho capito!»
«Allora che ho detto?» lo stuzzicai.
«Per cortesia, non ci si metta anche lei!». Il PM mi stoppò.
«Nelle persone alligna una sorta di “ipnosi collettiva”1, come diceva Tolstoj, per cui sembra che senza qualcuno che decide per loro sia impossibile organizzare una vita comune…»
«E voi volete risvegliarle con la rivoluzione!»
«Rivoluzionari!» squittì Manganello.
«No. La rivoluzione guarda le masse, noi le libere coscienze. Nietzsche diceva che la massa è il trionfo della mediocrità dove l’individuo spersonalizzandosi perde la capacità di agire autonomamente e ha bisogno di un leader carismatico che dica cosa fare. Essa si crogiola nell’uniformità, anche se è sovversiva. Quando Bakunin, Malatesta, Kropotkin e così via auspicavano la rivolta, non intendevano il gregge belante, bensì l’unione degli individui. Perché solo il singolo può avere coscienza di sé e agire autonomamente per il proprio benessere. Un’unione che, come diceva Godwin, si raggiunge sviluppando attitudini, sensibilità, consapevolezza attraverso il dialogo. Un confronto di uomini puri, cioè liberati dagli ingranaggi mentali, che realizzano scopi condivisi attraverso la partecipazione personale.»
«Voglio proprio vedere come fate se le persone non si mettono d’accordo neanche…?»
«È vero. Le persone sono egoiste. Ma sono egoiste perché nella società del dominio l’egoismo è una virtù. E lo saranno finché continueranno a identificarsi nel profitto. Quando dico che l’anarchia è innanzi tutto una scelta etica mi riferisco non solo al rifiuto di ogni forma di autorità, ma anche alla possibilità di concepire la propria persona e le relazioni sociali e con l’ambiente in un’ottica completamente diversa da quella a cui siamo stati abituati. L’uomo deve smettere di pensare e agire in termini di guadagno, debolezza che lo porta a lottare con l’esistenza, per immergersi nell’esperienza dove godere della partecipazione al tutto. Capito che il profitto nega il sé e che il dominio è una gabbia, la vita semplice è la via maestra per l’antiautoritarismo. Un’esistenza disintossicata dal perseguimento degli interessi materiali ogni qual volta essi ostacolano il godimento della naturale sostanza delle cose. E quando si è puri, donarsi diviene un atto spontaneo: la solidarietà è una legge naturale dell’umanità, come Malatesta la definisce, in quanto l’armonia degli interessi e dei sentimenti, il concorso di ciascuno al bene di tutti e di tutti al bene di ciascuno, è lo stato in cui solo l’uomo può esplicare la sua natura e raggiungere il massimo sviluppo e il massimo benessere possibile2.»
«Che sintetizzando significa…?»
«Significa che quando l’individuo capisce di essere determinato dalle idee fisse e schiavizzato dal profitto, può riscattarsi in due modi: suicidarsi se non ha sufficiente volontà ribelle», sorrisi beffardamente, «o realizzare la propria personalità unendosi ad affini consapevoli che essa si manifesta in armonia col tutto. Questa unione di affratellati da una società cosciente e voluta è la comunità anarchica.»
«Le ricordo che i figli dei fiori si sono estinti cinquant’anni fa!»
«Il paragone non mi sembra appropriato!»
«Dice?»
«Direi proprio di sì!»
«E allora perché tiene la camicia aperta?».
Feci finta di nulla: «Dopo due secoli di insurrezioni fallite, di supplizi fisici e morali, di emarginazione sociale, gli anarchici hanno capito che l’anarchia non si realizza risvegliando le masse, ma attraverso un cambiamento cosciente che porti alla costituzione di infinite comunità quanti sono gli obiettivi, con regole condivise, orizzontali e solidali.»
«La solita vecchia strategia dell’unione fa la forza!»
«Ci si associa per proteggersi dalla tirannia o per vivere l’alternativa al conformismo. Ci si associa per realizzare interessi comuni, discussi e deliberati consensualmente. E non c’è associazione senza accordo fra uomini liberi. In luogo delle leggi porremo i contratti, preconizzava Proudhon. Gli affini si trovano e decidono insieme. Stipulano un vero e proprio contratto perché l’idea di contratto esclude quella di governo, in quanto, fra parti contraenti v’è, necessariamente, un autentico interesse personale per ciascuna, mentre, fra governante e governato, invece, qualunque sia il sistema di rappresentazione, o delega della funzione governativa, v’è necessariamente un’alienazione di parte della libertà e dei mezzi del cittadino3. Lo trovate citato nell’articolo del 1.3.24.»
«Devo leggerlo?»
«Una letta veloce gliela darei!»
Pottutto si volse repentinamente verso Manganello.
«Maresciallo che fa, mangia durante l’interrogatorio?». Lo stordì con una spintarella. «Dia a me!». Gli sequestrò lo snack. «È quello col caramello filante dentro?»
«Ci sono anche le noccioline.»
«È buono?»
«Buono assai!»
«Non ci credo!»
«Glielo assicuro, dottore!».
Per accertarsi che dicesse la verità, se lo pappò.
«Siete tipo separatisti?» brontolò pulendosi i denti con l’unghia del mignolo.
«Lo sapevo che erano separatisti. Come quelli spagnoli…». Manganello cercò il suo l’ausilio: «Com’è che si chiamano?». Poi gorgogliò esaltato: «Siete dei separatisti bergamaschi!»
«Sì, i famosi separatisti bergamaschi!» lo dileggiò Pottutto. «Baschi, maresciallo. Sono i separatisti baschi!»
«Non siamo separatisti!» affermai laconico. «I separatisti vogliono sottrarsi alla sovranità politica e territoriale dello Stato per crearne uno proprio. Gli anarchici, invece, non riconoscono la sua autorità tout court. Non vogliono costituirne una identica, vogliono vivere senza che qualcuno o qualcosa decida per loro.»
«Indipendentisti?»
«No!»
«Un po’ rompicoglionisti, però…!»
«Il cambiamento è una metamorfosi, non una trasfigurazione. Costituita una comunità ne sorgeranno dieci, da dieci mille, da mille infinite. E quando le bolle temporanee di autonomia si trasformeranno in comunità permanenti e libere senza interagire con i sistemi economici, sociali o politici più ampi in cui sono inserite4, quando sarà chiaro che se ogni uomo ha la libertà di fare tutto quello che vuole, a patto che non violi l’eguale libertà di ogni altro uomo è al contempo libero di interrompere il rapporto con lo stato5, a quel punto, sentendosi accerchiato, il Potere reagirà, ruggirà, scalcerà come l’animale ferito che sa di dover morire. Oppure, per evitare la propria dissoluzione, cesserà la repressione e accorderà il diritto di separazione. Sarà l’inizio di una nuova epoca…». Sospirai. «Nel frattempo, non rimane che sovvertire il visibile con l’invisibile. Anche nell’ombra la gemma diventerà fiore, il fiore un albero, l’albero una foresta che restituirà respiro a un mondo ormai arido…»
«Leopardi?» chiese il pubblico ministero.
«Leopardi?».
Seguì qualche secondo di silenzio cosmico.
NOTE
– 1 Le Tolstoj, Il rifiuto di obbedire, ivi.
– 2 Malatesta, Anarchia, ivi.
– 3 P.J. Proudhon, L’idea generale della rivoluzione, 1865.
– 4 D. Graeber, Rivoluzione. Istruzioni per l’uso, 2009.
– 5 Herbert Spencer, Social Statics, 1851.
editing a cura di costanza Ghezzi
In foto: H. Bosh, Il volo verso il cielo