31 – LA POLIZIA
«Se il governo impone la volontà del Potere attraverso la legge, le forze dell’ordine e i magistrati ne garantiscono l’attuazione. Sui magistrati non ho molto da dire». Guardai Pottutto. «Sono burocrati e ho grande fiducia nella burocrazia, forse l’ultima speranza perché lo Stato imploda!». Poi guardai Manganello: «Il compito della polizia, invece, è di proteggere il sistema mantenendo l’ordine e la disciplina grazie alla capacità persuasiva dei lustrini e dei manganelli. Potrei dire che sono bravi tutti a farlo con la violenza, ma… Sto parlando di voi!» richiamai l’attenzione del maresciallo.
«Mi dia pure del lei!» replicò uno sguardo sfatto.
Con un’occhiata il pubblico ministero mi invitò a ignorarlo.
«A proposito delle forze dell’ordine… conoscete la Canzone di Maggio?»
«Chi è questo Maggio?». Manganello con tono inquisitorio.
«La canzone è di Fabrizio De André e s’intitola Canzone di Maggio.»
«Mica la canterà?»
«La leggiamo insieme». Indicai al PM la pila di fogli. Può trovarla nell’articolo del 1.11.23».
Gli diede una scorsa annoiata: «Sembra una poesia!»
«Come tutte le sue opere!»
Lessi:
Anche se il nostro maggio
Ha fatto a meno del vostro coraggio
Se la paura di guardare
Vi ha fatto chinare il mento
Se il fuoco ha risparmiato
Le vostre Millecento
Anche se voi vi credete assolti
Siete lo stesso coinvolti
E se vi siete detti
Non sta succedendo niente
Le fabbriche riapriranno
Arresteranno qualche studente
Convinti che fosse un gioco
A cui avremmo giocato poco
Provate pure a credervi assolti
Siete lo stesso coinvolti
Anche se avete chiuso
Le vostre porte sul nostro muso
La notte che le pantere
Ci mordevano il sedere
Lasciandoci in buonafede
Massacrare sui marciapiedi
Anche se ora ve ne fregate
Voi quella notte, voi c’eravate
E se nei vostri quartieri
Tutto è rimasto come ieri
Senza le barricate
Senza feriti, senza granate
Se avete preso per buone
Le verità della televisione
Anche se allora vi siete assolti
Siete lo stesso coinvolti
E se credete ora
Che tutto sia come prima
Perché avete votato ancora
La sicurezza, la disciplina
Convinti di allontanare
La paura di cambiare
Verremo ancora alle vostre porte
E grideremo ancora più forte
Per quanto voi vi crediate assolti
Siete per sempre coinvolti
Per quanto voi vi crediate assolti
Siete per sempre coinvolti. 1»
Appoggiai il foglio alla pila. «Beh, che ve ne pare?» chiesi.
«Un po’ lunghetta!» gorgogliò Manganello.
«Bella la rima maggio-coraggio all’inizio!» disse contrito Pottutto.
«Vi è piaciuta o no?»
«Anche Le Mille Bolle Blu di Mina, però, se non è cantata sembra una str…!2» il PM non concluse.
«La Canzone di Maggio esprime un sentimento di rabbia mista a malinconia verso tutti coloro che chinano il mento consentendo al Potere di consolidarsi. Al tempo stesso Faber non rinuncia alla speranza: voi non potete fermare il vento, dice. La sua poetica è una continua dialettica fra consapevolezza amara e slanci fiduciosi…»
«Sì, ma che c’azzecca con quello che stavamo dicendo?»
«Le canzoni di De André rappresentano la colonna sonora delle speranze represse dalla violenza dell’Autorità. Violenza con cui aggredisce i manifestanti, violenza con cui tace i ribelli, violenza con cui protegge i più forti.» E ancora rivolto a Manganello: «Non ve ne faccio una colpa. Ce l’avete nel sangue di temere la libertà degli altri. La reprimete perché ogni pensiero che essa conquista, ogni spazio in cui si diffonde, ogni cambiamento che essa agogna, è una sottrazione della vostra autorevolezza» dissi. «Ricordo d’aver letto da qualche parte, mi sembra nel libro Educazione Siberiana di Lilin3, un concetto che condivido. E cioè che vi distinguete dal resto delle persone perché siete gli unici a vivere orgogliosamente come servitori. Simultaneamente, però, questo vi impedisce di capire cosa sia la libertà e odiate chi la professa. Ciò vi crea ansia, frustrazione, stordimento, gelosia…»
«Ora vado a chiamare l’agente Sevizia, gliela faccio venire io l’ansia!» grugnì Manganello.
«Lasci perdere!» lo fermò Pottutto.
«Non mi faccio prendere in giro da un anarchico!»
«Mi perdoni maresciallo, ma queste cose le ho dette da cittadino!» precisai.
«E noi pubblici ministeri, invece, come siamo?» Pottutto protese il collo.
«Voi pubblici ministeri?»
«Noi pubblici ministeri, sì!»
«Uguali» dissi. «Senza divisa, però!»
«Vada a chiamare il suo collega!» ordinò il PM a Manganello.
«Suvvia, non fate i permalosi!» li fermai. E cercai nella pila di fogli quello che mi interessava: «La polizia detiene il monopolio della violenza, perché ridefinisce le norme della propria azione e, appellandosi alla sicurezza, accresce la propria pretesa sulla vita dei singoli. La sua sovranità violenta è tanto inafferrabile quanto spettrale». Saltai qualche riga: «Proprio perciò le sue violenze non sono anomalie, ma rivelano piuttosto il fondo oscuro di questa istituzione. Sono come istantanee che la colgono mentre acquista spazio, acquisisce poteri sui corpi, esamina e sperimenta una nuova legalità, ridefinisce i limiti del potere. Un monopolio della violenza interpretativa che ridefinisce le norme della propria azione e, appellandosi alla sicurezza, accresce la propria pretesa sulla vita dei singoli4… Non credo ci sia bisogno di ulteriori spiegazioni!»
«Ottimo» disse Manganello. «Allora non le dia!»
«Solo un pensierino della buona notte: diceva Malatesta che governo significa diritto di fare la legge e imporla a tutti con la forza. Senza forza di polizia non c’è la forza… Rifletteteci sotto le coperte!»
«Capito Manganello?». Il PM al maresciallo. «Poi domani mi fa sapere!»
«Dotto’» questi si gonfiò come un palloncino. «Ma io la notte dormo!»
NOTE
– 1 Fabrizio De André, Canzone del maggio, 1973.
– 2 Mina, Le mille bolle blu, 1961.
– 3 Nicolai Lilin, Educazione siberiana, Einaudi, 2013.
– 4 Donatella Di Cesare, Il tempo della rivolta, Bollati Boringhieri, 2020.
Editing a cura di Costanza Ghezzi
Disegno di Salvator Rosa, Teschio che urla, 1640