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LA RIDEFINIZIONE DEL RAPPORTO CON LA NATURA COME PUNTO DI PARTENZA DELL’AZIONE ANARCHICA

LA RIDEFINIZIONE DEL RAPPORTO CON LA NATURA COME PUNTO DI PARTENZA DELL’AZIONE ANARCHICA

Siamo carne, emozioni, ragione. Siamo volontà. Ogni essere vivente dal più al meno evoluto vuole vivere. La gazzella eviterebbe di scappare dal leone, ma corre veloce. Il leone preferirebbe sonnecchiare all’ombra di un albero, ma la insegue. Stessa cosa vale per l’uomo. Nonostante una capacità autodistruttiva superiore a qualunque altro essere, è disposto a tutto, accetta di tutto pur di soddisfare quest’istinto primigenio. Così perché la volontà di vivere non è un desiderio, né un sentimento o un bisogno, ma sostanza primordiale che accumuna ogni essere del mondo. Dalla natura proviene e alla natura torna per rigenerarsi in nuova forma.

Da principio la terra produsse la famiglia delle erbe e il verde splendore intorno ai colli… in seguito creò le stirpi mortali, che nacquero in gran numero. Perciò a terra a ragione ha ricevuto e conserva il nome di madre, poiché da se stessa creò il genere umano1. Da queste parole di Lucrezio l’innegabile verità che il creato è fonte, è casa, è necessità e piacere, è equilibrio, è l’assoluto nelle sue infinite, spettacolari manifestazioni. Se una vita più vicina alla natura ci porta più vicini alle verità2, come diceva Tolstoj, è solo perché siamo la stessa cosa.

Nonostante questo, l’uomo la domina, la altera, la usa, la distrugge, in un processo crudele, vigliacco e irreversibile di cui è fin troppo facile immaginare la fine. Siamo testimoni di una catastrofe e nessuno fa niente. Le persone sono sempre più inebetite. La politica insegue l’economia. L’economia si arricchisce approfittando dell’emergenza.

La sola speranza è data dalle poche, isolate menti ribelli che hanno capito, non accettano e combattono. Individui liberi che non si realizzano nella materialità e vivono in armonia, senza finzioni e attraverso continue relazioni di sympatheya con le cose. Un uomo nuovo che rifiuta il profitto, consapevole che esso genera autorità, da cui deriva il potere, che è arbitrio perché esercitato sempre egoisticamente. Persone che attuano un rapporto paritario e non dominante con l’ambiente, di conseguenza paritario e non dominante con i propri simili.

Il potere è sempre pericoloso, attira le cose peggiori e corrompe le migliori. Non ho mai desiderato il potere. Il potere è dato solo a quelli che sono disposti ad abbassarsi e raccoglierlo dice Ragnar a suo figlio Bjorn3. Anche il re vichingo aveva infatti compreso che per essere, bisogna non avere. Che si è liberi solo quando si è puri. E la purezza è immergersi nella realtà e divenire con essa senza condizionamenti.

La finitezza non può essere sanata con la sopraffazione. La volontà non diventa immortale se domina quella altrui. Può invece essere eterna quando si alza verso il cielo attraverso le ramificazioni degli alberi, affonda nella terra insieme ai vermi, si immerge nelle acque indorate dal sole, corre nelle praterie, riposa sulle rocce e si risveglia uomo.

Se non è determinata dal bieco tornaconto, essa può esprimere la propria creatività. E perché avvenga questo balzo evolutivo occorre che l’individuo cessi di essere homo faber, che si considera anima del mondo4, copula mundi dice Ficino4, e pensi e agisca come homo humilis, che concepisce la terra come geometria, come misura della vita5. Solo così i beni non sono più strumento di privilegio e arbitrio, ma mezzo attraverso cui conseguire l’equilibrio naturale nel quale interagire mettendo la propria soggettività a servizio degli altri esseri viventi.

E quando l’uno diventa tutto, tutto cambia. Spariscono i dannosi rapporti di forza che asfissiano la quotidianità: le relazioni diventano orizzontali, il lavoro si trasforma in prestazione con qualcuno non per qualcuno, l’autogestione favorisce la partecipazione alle decisioni, la cooperazione stimola lo svolgimento delle attività in maniera conviviale, a rotazione e tenendo conto delle capacità e competenze personali, la solidarietà garantisce il minimo necessario, l’equa distribuzione delle eccedenze e il fondamentale sostegno morale. E così via.

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Ma non basta. La consapevolezza identitaria e la pratica etica che ne consegue non sono sufficienti. Non è vero l’assunto di Max Nettlau per cui l’uomo vive libero e felice quando consegue l’indipendenza economica grazie alle condizioni di utilizzo delle risorse della terra e dei doni spontanei della natura nell’ambito di un’organizzazione volontaria6. Occorre che essa non sia condizionata dai retaggi della società civile. Perché come l’arbusto svigorisce e poi muore nel deserto, l’individuo si svuota in un contesto dominato dalla competizione e dal profitto.

Il dominio è un blob che asfissia e, in men che non si dica, ingurgita. Da una parte ci sono lo Stato, l’economia, la religione, il senso comune, che impongono le loro leggi, dall’altra l’antagonista decide personalmente. Lo scontro è inevitabile. Gli anarchici, tuttavia, hanno imparato sulla propria pelle che la suggestione del faccia a faccia col potere fa troppi lividi, così agiscono nell’underground. Non partecipazione alle sue pratiche, non collaborazione con le sue istituzioni, trasgressione alle sue regole. Dopo tutto non c’è bisogno dello Stato perché la società funzioni: la parte essenziale della vita sociale si compie al di fuori dell’intervento governativo, perché le cose in cui esso non ha ingerenza sono quelle che camminano meglio7. La società esiste di per sé quale umano esercizio di sopravvivenza ed è partecipe, efficiente, produttiva, solidale, stimolante quando non viene intorpidita dalle logiche del dominio.

Una volta che le comunità sono attive, strutturate e sviluppate autonomamente, seppur nel rispetto delle specifiche differenze, devono coordinarsi per disobbedire agli ordini del tiranno, sottrargli potere attraverso l’organizzazione di strutture indipendenti che assolvano funzioni sociali, creare meccanismi di protezione che sfruttino quelli prevalenti, e svilupparsi, per quanto possibile, senza vicoli territoriali in maniera da attaccare e fuggire come pirati. E innanzi all’inevitabile repressione, resistere e unire le forze per colpire il Mostro nei punti vitali sottraendogli profitto e autorità.

Depredato, fiaccato, indebolito dall’azione di infinite sovranità che si riproducono continuamente, pur di mantenere i propri privilegi, a quel punto l’oppressore potrebbe concedere il diritto di astensione. Riconoscere che l’individuo non sia più sottoposto alla sua autorità per nascita, ma possa scegliere liberamente se e come governarsi. A parte lo Stato e nonostante esso, possano cioè emergere raggruppamenti legittimati che operano sovranamente per conseguire scopi condivisi. Un sistema di multigoverno non necessariamente territoriale, sviluppato attraverso comunità collegate su base federalista che garantisca l’antiautoritarismo e le preservi dai rischi di isolamento e regressione, svincolato da potere centrale seppur non in conflitto con esso.

Non è il massimo, ma da qualche parte bisogna pur cominciare.

NOTE

1 – Lucrezio, 94 ac-50 ac, De Rerum Natura.

2 – Una vita più vicina alla natura ci porta più vicini alle verità di una dominata dalle complicate norme della legge e della moda, frase completa.

3 – Così parla Ragnar al figlio Bjorn nella serie televisiva Viking.

4 – Termine usato da Appio Claudio Cieco (350-271 ac) nell’opera Sententiae col significato di uomo che guida il proprio destino e ripreso dall’umanesimo in antitesi all’Homo sapiens, con l’intento di rendere il sapere non più esclusivamente speculativo, quindi fine a se stesso, ma pratico, cioè utile all’edificazione di una realtà funzionale all’uomo.

5 – Concetto espresso dal pioniere dell’ambientalismo Aldo Leopold, 1887-1948, Pensare come una montagna, Piano B edizioni.

6 – Max Nettlau, Alcune idee false sull’anarchia (1905) in Gian Piero de Bellis, Panarchia, D Editore, 2017.

7 – Errico Malatesta, Anarchia, Ed Anarchismo, 2013. Da cui ho tratto le sue citazioni presenti in questo articolo. Testo: la parte essenziale della vita sociale si compie anche oggi al di fuori dell’intervento governativo… le cose in cui lo Stato non ha ingerenza sono quelle che camminano meglio, che fan luogo a minori contestazioni e si accomodano per la volontà di tutti in modo che tutti ci trovino utile e piacere perché la vita quotidiana si svolge al di fuori della portata del codice ed è regolata, quasi inconsciamente, per tacito o volontario assenso di tutti, da una quantità di usi e costumi ben più importanti alla vita sociale che gli articoli del codice penale, o meglio rispettati, quantunque completamente privi di sanzione.