28- STATO: DEMOCRAZIA DIRETTA CONSENSUALE – SEGUE
Feci il punto della situazione: «Ho sottolineato che lo Stato è illegittimo in quanto espropria la sovranità individuale. Ho spiegato perché la democrazia rappresentativa e la regola della maggioranza sono panzane. Aggiungo che l’anarchia non è acrazia poiché una società spogliata da ogni forma gerarchica si sviluppa mediante la partecipazione condivisa al bene comune. Riprenderò l’argomento quando parlerò della comunità. Qui voglio ribadire che l’unico sistema che garantisca il faccia a faccia, l’orizzontalità e la condivisione è la democrazia diretta consensuale. Riunirsi insieme, partecipare, discutere, decidere ricorrendo a organismi decentralizzati come le assemblee, i consigli, i comuni, chiamateli come volete, in cui le determinazioni siano prese all’unanimità.»
«Mi faccia capire: sta parlando di quando vi ritrovate tutti insieme?»
«Esatto!»
«E discutete…?»
«Preciso!»
«E quando discutete indossate una tunica bianca con la medaglia e un cappuccio? Ma non sarete anche voi…?»
«Non siamo massoni!»
«Vabbè, lasciamo perdere i dettagli. Una domanda: ma se tutti decidete, chi decide?»
«Tutti, ovviamente!»
«Suvvia, non scherzi!»
«Nella democrazia diretta unanime tutti partecipano alla deliberazione, tutti votano e non c’è decisione finché l’accordo non è unanime.»
«Figuriamoci!»
«Anche quando essa richiede maggiori conoscenze tecniche, il parere e il voto dello specialista valgono quanto quelli del manovale. Solo così si può escludere che la maggioranza prevalga sulla minoranza o che si formino pericolose posizioni di dominio all’interno delle assemblee.»
«Cosa di fatto impossibile!»
«Invece è possibilissimo in un contesto in cui chiunque è consapevole che l’interesse personale si realizza quando si compie quello comune. Vi faccio un esempio: supponiamo che gli abitanti di un quartiere vogliano trasformare una piazza in un bel giardino. Convocano l’assemblea a cui partecipano tutti gli interessati. In fase di discussione parlano i tecnici, i cittadini, ognuno dice la sua. Quando si vota tutti tranne uno sono d’accordo nel realizzare l’opera. Che fare? Tenga presente che se non viene raggiunta l’unanimità la decisione non passa. Tre le soluzioni: la prima è convincere l’oppositore che vivere a contatto con la natura è una scelta estetica, salutare, spirituale che può solo migliorare la sua esistenza. In subordine la comunità può aiutarlo a trovare una dimora alternativa a quella in cui vive…»
«Lo sfrattate?» chiese Manganello sospettoso.
«Nessuno sfratta nessuno!»
«Allora gli espropriate la casa come fanno i comunisti?» intervenne Manganello.
«Non si espropria se non c’è niente da espropriare!»
Mi fissarono come Monna Lisa e non riuscii a fare a meno di sorridere: «Avete ragione!» esitai. «Mi sono dimenticato di informarvi che nella comunità anarchica non c’è proprietà!». E aggiunsi quasi imbarazzato: «E questo vale anche per la casa!»
Pottutto ebbe un mancamento.
Manganello rimase a bocca aperta.
Ebbi come la sensazione che anche la signorina Servile si fosse mossa.
La Sfinge, Sfinge era, Sfinge rimase.
«Poi c’è una terza soluzione» proseguii. «Per conciliare gli interessi della collettività con quelli dell’individuo occorre creare un tipo di comunità flessibile1 in cui sia consentito il diritto di astensione. Non viene quasi mai praticata, ma è una possibilità. Colui che non concorda, infatti, può dichiarare di astenersi dal deliberare. La comunità accetta la sua decisione e la risoluzione non sarà vincolante nei suoi confronti. Peraltro, posto che può sempre cambiare opinione, il suo dissenso non avrà ripercussioni morali o sociali e la sua complicità nell’attività comunitaria non subirà alterazioni» chiosai. «In questo modo, cioè favorendo la continua adesione individuale e applicando le decisioni unanimi, ciascuno è – non viene illuso che sia – attore della vita politica. La partecipazione è attuazione della libertà e dell’eguaglianza. Libertà ed eguaglianza che esistono se l’individuo è autonomo, cioè sceglie ed è responsabile della scelta verso se stesso e gli altri.»
«Anche le elezioni però sono una forma di partecipazione!»
«Il proprio dovere si realizza impegnandosi personalmente. Si compie quotidianamente attraverso la convivenza, la comunità, la solidarietà, la convivialità. Pensate forse che i governanti vi avrebbero lasciato le elezioni se potessero essere utili a fare una rivoluzione?2, diceva Louise Michell. Il cambiamento non si ottiene delegando un partito anziché un altro, ma curando da soli i propri interessi come sosteneva Gustav Landauer, che aggiungeva: il popolo si illude ancora, malgrado secoli di esperienza, che tutto andrebbe meglio se al governo ci fossero altre persone o altri partiti. Invece no, andrebbe peggio, in quanto il popolo si disabitua ulteriormente a intervenire in prima persona e non sa neppure che forma dovrebbero assumere le istituzioni dell’autodeterminazione3.»
«Mi scoppia la testa con tutte queste citazioni!» grugnì Pottutto.
«Quando sono troppe, sono troppe!» echeggiò Manganello.
«Capisco!» dissi. «Allora ve ne faccio un’altra: la partecipazione diretta è un confronto continuo, un faccia a faccia entusiasmante in cui ciascuno esprime il proprio interesse nel solco del bene comune. È il trionfo della bellezza, di una società di individui liberi di godere della bellezza dell’altro liberamente espressa in una società il cui obbiettivo è il mantenimento di quella condizione essenziale, diceva Piger4. Ma perché ciò avvenga occorre eliminare lo Stato.»
«Si rende conto che sta vaneggiando?»
«Perché pensa che senza non sarebbero garantiti i servizi sanitari o l’istruzione o che nessuno riparerebbe le strade?»
«Per la verità pensavo a me. Che ne sarà dei dipendenti pubblici?»
«E delle forze dell’ordine?». Anche Manganello sembrò preoccupato.
«Non so come sarà la società anarchica e che fine faranno i numerosi vampiri attaccati alle istituzioni. Di sicuro non esisterà una soluzione unica e le scelte dipenderanno da un insieme di variabili spazio-temporali, sociali, ambientali che dovranno essere analizzate al momento opportuno. Posso dire però che se domattina ci svegliassimo con lo Stato che si è dissolto, la varietà di anarchismi offrirebbe una pluralità di opportunità. Per cui, state sicuri, una sistemazione verrebbe trovata anche a voi!»
«Meno male!». Pottutto e Manganello si alzarono per sancire l’accordo con una stretta di mano.
«Sarà divertente scoprire quale!» aggiunsi sarcastico mentre la sfilavo. «Detto questo» ripresi, «per conseguire un reale cambiamento è imprescindibile l’abbattimento dello Stato. Perché esso è il principale strumento, benché non l’unico, con cui il Potere esercita il suo dominio sull’individuo. Sapete cosa diceva Bakunin a proposito?»
«Non è che me ne freghi tutto sto…!»
«Vuole una confessione completa o no?». Ottenuta la loro attenzione: «Bakunin diceva che Nessuno Stato, per quanto democratiche siano le sue forme, sarà mai in grado di dare al popolo quello che vuole… perché ogni Stato, sia pure il più repubblicano e il più democratico, anche lo Stato pseudo popolare creato dal signor Marx, non rappresenta in sostanza nient’altro che il governo della massa dall’alto in basso da parte di una minoranza intellettuale… per le classi proprietarie e di governo è quindi assolutamente impossibile soddisfare le rivendicazioni del popolo, per cui resta solo un mezzo, la violenza di Stato, in una parola, lo Stato perché lo Stato significa precisamente violenza. La dominazione mediante la violenza, quanto possibile mascherata, se assolutamente indispensabile sfrontata e pura5».
«A proposito di violenza…» Manganello a Pottutto. «Una telefonatina al nostro Sevizia la farei!»
«Non dica sciocchezze!», gli rispose il PM. «Se non ha fatto un nome fino ad adesso, si figuri quando non sarà in grado di parlare!».
NOTE
– 1 Z. Bauman, Voglia di comunità, Laterza, 2001.
– 2 Louise Michel, Presa di possesso, ivi.
– 3 Gustav Landauer, La comunità anarchica, ivi.
– 4 Gaston Piger, Signorina anarchia, ivi.
– 5 Michael Bakunin, Stato e anarchia, Feltrinelli, 1873.
Editing a Cura di Costanza Ghezzi
Disegno: Martin Zanollo, Intuition, 2023